Compensazioni ai comuni del minor gettito IMU e TASI (commi 6-8)
I commi 6 e 7 recano le misure compensative del minor gettito IMU e TASI conseguente dall’attuazione del nuovo sistema di esenzione per le abitazioni principali e sui terreni agricoli introdotto dai commi 3 e 4 dell’articolo in esame, prevedendo per i comuni delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna un incremento del Fondo di solidarietà comunale (comma 6) e per i comuni delle regioni a statuto speciale cui la legge attribuisce competenza in materia di finanza locale (Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta) un minor accantonamento sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali (comma 7).
Il comma 6 – modificando il comma 380-ter e 380-quater dell’articolo 1 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013) ed inserendo in essa i nuovi commi da 380-sexies a 380-octies – interviene sul Fondo di solidarietà comunale, che rappresenta il fondo per il finanziamento dei comuni con finalità di perequazione, alimentato con quota parte dell’IMU di spettanza dei comuni stessi.
In particolare, le disposizioni di cui alle lettere da a) a c) del comma 6 mirano, innanzitutto, ad incrementare la dotazione annuale del fondo medesimo a partire dall’anno 2016, al fine di tenere conto dell’esenzione prevista dall’articolo in esame per l’IMU e la TASI per gli immobili adibiti ad abitazione principale (e, con riferimento alla sola IMU, per i terreni agricoli), rideterminando la quota parte dell’imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, che in esso confluisce annualmente. A tal fine viene novellato in più punti il comma 380-ter dell’art. 1 della legge n. 228/2012, che reca la disciplina del Fondo di solidarietà comunale a decorrere dall’anno 2014(3) .
Più in dettaglio:
la dotazione annuale del Fondo di solidarietà comunale, quantificata dal vigente comma 380-ter in 6.547,1 milioni di euro per gli anni 2015 e successivi, viene incrementata di 3.668,09 milioni di euro a decorrere dal 2016, quale ristoro del minor gettito derivante ai comuni delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna dalle esenzioni disposte dai commi 3 e 4 dell’articolo in esame;
al tempo stesso, viene ridotta la quota dell’imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, che alimenta la dotazione del Fondo medesimo, e che viene a tal fine versata dai comuni all’entrata del bilancio dello Stato nei singoli esercizi, dagli attuali 4.717,9 milioni a 2.768,8 milioni di euro per ciascuno degli anni a decorrere dal 2016. Riducendosi la quota di IMU di spettanza comunale che alimenta il Fondo, si riduce di conseguenza – specifica la norma – anche la dotazione “di base” del Fondo di solidarietà comunale di 1.949,1 milioni di euro annui a decorrere dal 2016 (lettera a) del comma 6).
In sostanza, la dotazione del Fondo di solidarietà comunale, a decorrere dal 2016, verrebbe a determinarsi, annualmente, nell’importo di 8.266,1 milioni di euro, assicurata, per un importo pari a 2.768,8 milioni, attraverso una quota dell’imposta municipale propria, di spettanza dei comuni che viene a tal fine versata all’entrata del bilancio dello Stato nei singoli esercizi.
Nel ddl di bilancio per il 2016 (A.S. 2112), il Fondo, iscritto sul cap. 1365/Interno, presenta una dotazione di 4.259,3 milioni di euro per il 2016 e di 4.319,3 milioni per gli anni 2017 e 2018 .
Sono inoltre stabiliti nuovi termini per l’emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di riparto del Fondo rispetto a quelli attualmente indicati (il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento), ora fissati al 30 aprile 2016 per l’anno 2016 ed entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento per gli anni 2017 e successivi (lettera b) del comma 6).
È infine, sostituita la lettera d) del comma 380-ter disponendo che con il D.P.C.M. di riparto del Fondo può essere variata (e non soltantoincrementata, come previsto dal testo vigente) la quota di gettito dell’IMU di spettanza comunale che affluisce al fondo stesso e, corrispondentemente, rideterminata la dotazione del Fondo medesimo. Anche le modalità di versamento al bilancio dello Stato sono stabilite con il medesimo D.P.C.M. (lettera c) del comma 6).
Si ricorda, che il testo vigente della citata lettera d) del comma 380-ter prevede soltanto la possibilità di incrementare, con lo stesso D.P.C.M. di riparto del Fondo, la quota di gettito dell’IMU di spettanza comunale che affluisce al fondo stesso. In tale ipotesi, va rideterminato l’importo da versare all’entrata del bilancio dello Stato, con modalità da determinare con il medesimo D.P.C.M. La eventuale differenza positiva tra tale nuovo importo e lo stanziamento iniziale è versata al bilancio statale, per essere riassegnata al fondo medesimo.
Le lettere d) ed e) del comma 6 riguardano i criteri di riparto del Fondo di solidarietà comunale.
In particolare, la lettera d) interviene sulle modalità di ripartizione della quota del Fondo da distribuire ai comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo.
In particolare – con modifiche al comma 380-quater dell’art. 1 della legge n. 288/2012 – si provvede:
ad aumentare progressivamente negli anni la percentuale del Fondo di solidarietà comunale che viene annualmente accantonata per essere redistribuita tra i comuni sulla base della differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard. Tale quota, attualmente stabilita nel 20 per cento, viene portata al 30 per cento per l’anno 2016, al 40 per cento per l’anno 2017 e al 55 per cento per l’anno 2018;
a precisare che per l’anno 2016 saranno utilizzati, ai fini del riparto, i fabbisogni standard approvati dalla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale entro il 31 marzo 2016;
ad estendere all’anno 2016 la disposizione che determina l’ammontare complessivo di riferimento della capacità fiscale dei comuni delle regioni a statuto ordinario, fissandola in misura pari all’ammontare complessivo delle risorse nette spettanti ai predetti comuni a titolo di imposta municipale propria (IMU) e di tributo per i servizi indivisibili, ad aliquota standard (TASI all’1 per mille), nonché a titolo di Fondo di solidarietà comunale netto per l’anno 2016. Tale importo corrisponde al 45,8 per cento dell’ammontare complessivo della capacità fiscale.
La lettera e) – con l’introduzione dei nuovi commi da 380-sexies a 380-octies all’articolo 1 della legge n. 288/2012 -disciplina i criteri di riparto della quota incrementale del Fondo di solidarietà comunale, pari a 3.668,09 milioni a decorrere dal 2016, assegnata a ristorodel mancato gettito delle esenzioni IMU/TASI.
In particolare, si prevede:
che il suddetto incremento, sia ripartito, in sede di riparto del Fondo complessivo, con il medesimo D.P.C.M. previsto dal comma 380-ter, lettera b), in base al gettito effettivo derivante dagli immobili esentati relativo all’anno 2015 (nuovo comma 380-sexies);
che a decorrere dal 2016, per i comuni delle regioni a statuto ordinario, che l’ammontare del fondo, non distribuita secondo il criterio perequativo e al netto del ristoro del mancato gettito di cui al comma 380-sexies, sia determinata in misura tale da garantire proporzionalmente la dotazione netta del fondo di solidarietà comunale 2015. Relativamente ai comuni di Sicilia e Sardegna per i quali non si applica il criterio della perequazione basato sulla differenza tra capacità fiscali e fabbisogni standard, tale disposizione di garanzia riguarda l’intero ammontare del Fondo (nuovo comma 380-septies);
che ai fini della disposizione di cui sopra, per dotazione netta si intende la differenza tra le assegnazioni di risorse, al netto degli importi erogati ai sensi del comma 380-sexies per ciascun comune, e la quota di alimentazione del Fondo a carico di ciascun comune (nuovo comma 380-septies).
Le disposizioni di cui al comma 7 disciplinano la compensazione del minor gettito IMU e TASI derivante dai commi 3 e 4 per i comunidelle regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta, a cui la legge attribuisce competenza in materia di finanza locale, attraverso un minor accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, ai sensi dell’articolo 13, comma 17, del decreto-legge n. 201 del 2011.
La Relazione tecnica stima l’onere complessivo della suddetta compensazione pari a 82,7 milioni di euro, di cui 7,428 milioni relativi alle disposizioni di cui al comma 3.
Nella tabella che segue sono riassunte le compensazioni finalizzate al ristoro ai comuni del minor gettito derivante dalle disposizioni di esenzione recate dai commi 3 e 4 dell’articolo in esame:
Compensazioni |
Comuni RSO e Sicilia e Sardegna |
Comuni Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta |
Totale |
Esenzione IMU terreni agricoli (co.1 e 3) |
152,40 |
7,428 |
159,83 |
Esenzione TASI prime case (co. 4, l. a)) |
3.500,09 |
74,910 |
3.575,00 |
Esenzione TASI inquilini prime case (co. 4, l. d)) |
15,60 |
0,400 |
16,00 |
Totale compensazioni (co. 6 e 7) |
3.668,09 |
82,738 |
3.750,83 |
Il comma 8 attribuisce ai comuni, per l’anno 2016, un contributo di complessivi 390 milioni di euro, che appare conseguente alle norme di fiscalità immobiliare relative ai limiti massimi posti delle aliquote d’imposta.
Si rammenta in proposito che il comma 15 dell’articolo in esame mantiene ferma per l’anno 2016, limitatamente agli immobili non esentati ai sensi delle norme in esame (tra cui le abitazioni principali “di lusso”), la possibilità per i comuni di maggiorare l’aliquotaTASI dello 0,8 per mille, ove tale maggiorazione sia stata deliberata entro il 30 settembre 2015, per l’anno 2015, nel rispetto delle condizioni di legge.
Più in dettaglio, la norma in commento stabilisce che la quota di spettanza di ciascun comune è stabilita con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, da adottare entro il 28 febbraio 2016, in misura proporzionalealle somme attribuite ai sensi del D.M. Economia 6 novembre 2014, adottato ai sensi dell’articolo 1, comma 731, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014), con il quale è stato effettuato il riparto tra i comuni – sulla base dei gettiti standard ed effettivi dell’IMU e della TASI – dell’analogo contributo concesso per l’anno 2014 e di quota parte di quello concesso per il 2015.
Si ricorda, infatti, che analoghi contributi sono stati concessi ai comuni a partire dal 2014, ai sensi dell’articolo 1, comma 731, della legge di stabilità 2014, come modificata dall’articolo 1, comma 1, lettera d) del D.L. n. 16 del 2014(5) .
In particolare, per l’anno 2014, il contributo, pari a 625 milioni di euro, è stato ripartito con il decreto del 6 novembre 2014(pubblicato nella G. U. n. 271 del 21 novembre 2014) tenendo conto dei gettiti standard ed effettivi dell’IMU e della TASI. Per l’anno 2015, il contributo è stato concesso nell’importo di 530 milioni di euro, ai sensi dell’articolo 8, comma 10, del D.L. n. 78/2015, e ripartito, con D.M. 22 ottobre 2015.
Le disposizioni in commento sembrano dunque finalizzate a fornire adeguato sostegno finanziario ai comuni anche per l’anno 2016, in ragione degli oneri da essi sostenuti con riferimento alla fiscalità immobiliare.
Le somme assegnate ai sensi del comma 8 in esame non sono considerate tra le entrate finali rilevanti ai fini del vincolo del pareggio di bilancio degli enti locali, come disciplinato dall’articolo 35 del provvedimento in esame.
Il comma autorizza, ai fini del contributo in questione, l’utilizzo delle somme iscritte in conto residui nel bilancio per l’anno 2015, nel limite di 390 milioni di euro, del Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili. Tali somme sono fine versate all’entrata del bilancio dello Stato nell’anno 2016.
Il comma 8 entra in vigore il giorno stesso della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge in esame.
Si sottolinea che l’utilizzo di tali somme per finanziare il contributo in favore dei comuni comporta oneri in termini di minori interessi attivi per lo Stato determinati dal venir meno della restituzione, da parte degli enti beneficiari, della quota interessi delle anticipazioni di liquidità del Fondo di cui all’articolo 10 del D.L. n. 35/2013, le cui risorse sono ora destinate a trasferimenti a fondo perduto, che la Relazione tecnica quantifica in circa 2,7 milioni per il 2017, 2,6 milioni per l’anno 2018 e in 2,6 milioni a decorrere dall’anno 2019.
Ai fini dell’utilizzo delle somme in questione per l’assegnazione del contributo ai comuni, andrebbe peraltro chiarito se si tratta di importi iscritti a residuo a fronte dei quali non corrispondono impegni già assunti negli esercizi precedenti.
Accatastamento immobili a uso produttivo (commi da 9 a 12)
I commi da 9 a 12 recano disposizioni agevolative in materia di accatastamento e, dunque, di tassazione degli immobili a uso produttivo e a destinazione speciale; si assegna un contributo ai comuni per compensare la perdita di gettito derivante dall’applicazione delle nuove regole di accatastamento di detti immobili.
In sostanza i macchinari, i congegni, le attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo, sono esclusi dalla stima diretta ai fini dell’attribuzione della rendita catastale. A tale metodo rimangono soggetti il suolo, le costruzioni e i soli impianti che, ordinariamente, accrescono la qualità e l’utilità dell’unità immobiliare, indipendentemente dal processo produttivo nella stessa svolto. Di conseguenza, le predette tipologie di beni escluse dalla stima diretta sono altresì escluse dai relativi effetti fiscali, in particolare per quanto riguarda l’assoggettamento alle imposte immobiliari.
In particolare (comma 9) le norme chiariscono che, dal 1° gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, sia effettuata tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento.
Vengono esplicitamente esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo (ivi compresi i cd. “imbullonati”).
L’articolo 10 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652 dispone che la rendita catastale degli immobili produttivi sia attribuita per stima diretta, per ogni singola unità. La valutazione tecnica è operata dai professionisti incaricati, al momento della presentazione dei documenti di aggiornamento catastale (procedura “Docfa”) ed è verificata dai tecnici dell’Agenzia delle entrate al momento dell’accertamento sugli aggiornamenti e sulle rendite proposte dalla parte, nei termini previsti dalla normativa.
La legge di stabilità 2015 (commi 244 e 245 della più volte menzionata legge n. 190 del 2014) ha introdotto una norma interpretativa (dunque con applicazione retroattiva) del menzionato articolo 10, prevedendo che esso debba trovare applicazione secondo le istruzioni di cui alla circolare dell’Agenzia del territorio n. 6/2012 del 30 novembre 2012.
Detta Circolare ha chiarito che al fine di valutare quale impianto sia incluso o meno nella stima catastale, deve farsi riferimento non solo al criterio dell’essenzialità dello stesso per la destinazione economica dell’unità immobiliare, ma anche alla circostanza che lo stesso sia fisso, ovvero stabile (anche nel tempo), rispetto alle componenti strutturali dell’unità immobiliare. Tale qualifica si rifletteva particolarmente sul profilo fiscale, assoggettando a TASI e IMU gli impianti così qualificati.
Il comma 10 chiarisce la tempistica del riaccatastamento dei beni classificati nelle categorie catastali interessate dalla modifica: dal 1° gennaio 2016, gli intestatari catastali degli immobili delle categorie D ed E, possono presentare atti di aggiornamento ai sensi della disciplina generale (decreto ministeriale 19 aprile 1994, n. 701), per la rideterminazione della rendita catastale degli immobili già censiti nel rispetto delle modifiche sopra illustrate.
Ai sensi del comma 11, limitatamente all’anno di imposizione 2016 per gli atti presentati entro il 15 giugno 2016 le rendite catastali rideterminate hanno effetto dal 1° gennaio 2016, con effetto retroattivo.
La previsione è in esplicita deroga all’articolo 13, comma 4 del decreto-legge n. 201 del 2011, il quale stabilisce che, ai fini della tassazione immobiliare la base imponibile è calcolata applicando specifici valori (moltiplicatori) alla rendita catastale vigente al 1° gennaio dell’anno di imposizione.
Con detta deroga le nuove rendite si applicano, ai fini della determinazione della base imponibile IMU e TASI, dal 1° gennaio 2016 e non dal 1° gennaio 2017.
Il comma 12 attribuisce ai comuni un contributo annuo di 155 milioni di euro, a titolo di compensazione del minor gettito ad essi derivante dalle norme sull’accatastamento degli immobili produttivi e a destinazione speciale, di cui ai commi 9-11 sopra illustrati.
Per l’anno 2016, si prevede che entro il 30 settembre l’Agenzia delle entrate comunica al Ministero dell’economia e delle finanze, con riferimento agli atti di aggiornamento catastale per gli immobili produttivi, i dati relativi, per ciascuna unità immobiliare, alle rendite proposte e a quelle già iscritte in catasto al 1° gennaio 2016. Il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno emana, secondo una metodologia adottata sentita la Conferenza Stato città ed autonomie locali, entro il 31 ottobre 2016, il decreto per ripartire detto contributo.
Dall’anno 2017, il contributo annuo di 155 milioni di euro è ripartito con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno e secondo una metodologia adottata sentita la Conferenza Stato città ed autonomie locali, da emanarsi, entro il 30 giugno 2017, sulla base dei dati comunicati, entro il 31 marzo 2017, dall’Agenzia delle entrate al Ministero dell’economia e delle finanze e relativi, per ciascuna unità immobiliare, alle rendite proposte nel corso del 2016 ai sensi del comma 10 e a quelle già iscritte in catasto al 1° gennaio 2016.
Dal momento che il gettito IMU derivante dagli immobili a uso produttivo (categoria D, con alcune eccezioni), calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento, è riservato allo Stato ai sensi dell’articolo 1, comma 380, lettera f) della legge di stabilità 2013, legge n. 228 del 2012, si presume che tale compensazione sia riferita al mancato gettito derivante dagli immobili a destinazione speciale (categoria E).
Abrogazione dell’Imposta Municipale Secondaria (comma 13)
Il comma 13 abroga la cd. Imposta Municipale Secondaria – IMUS, di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.
Il richiamato articolo 11 del D.Lgs. n. 23 del 2011 prevede l’introduzione dell’Imposta municipale secondaria con deliberazione del consiglio comunale, per sostituire: la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), il canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), l’imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni, il canone per l’autorizzazione all’installazione dei mezzi pubblicitari. Con la risoluzione n. 1/Df del 12 gennaio 2015 il Dipartimento delle finanze del MEF ha chiarito che i comuni possono istituire l’IMU secondaria solo a seguito dell’emanazione del regolamento governativo previsto dall’articolo 11, comma 2, del D.Lgs. n. 23 del 2011. Tuttavia i tributi e i canoni locali, destinati ad essere sostituiti dall’IMU secondaria, restano dovuti e continuano pertanto ad applicarsi. La legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 714 della legge n. 147 del 2014) aveva posticipato dal 2014 al 2015 il termine per l’introduzione di detta forma di prelievo; successivamente, il decreto-legge n. 192 del 2014 (articolo 10, comma 11-bis) ha prorogato al 2016 l’operatività della disciplina dell’imposta municipale secondaria.
Blocco degli aumenti di tributi e addizionali degli enti territoriali (comma 14)
Il comma 14, limitatamente all’anno 2016, blocca il potere delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi e delle addizionali ad essi attribuiti con legge dello Stato, al fine di contenere il livello complessivo di pressione tributaria, in coerenza con gli equilibri generali di finanza pubblica. In particolare, non possono essere deliberati aumenti rispetto ai livelli di aliquote deliberate, entro la data del 30 luglio 2015, per l’esercizio 2015.
Si rammenta che l’articolo 4, comma 4, del decreto-legge n. 16 del 2012 aveva ripristinato il potere di regioni ed enti locali di variare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e regionali, a decorrere dall’anno di imposta 2012; tale potere era stato sospeso dall’articolo 1, comma 123, della legge n. 220/2010 (legge di stabilità 2011) “fino all’attuazione del federalismo fiscale”.
Le norme in esame consentono però di fare salve dal blocco alcune specifiche ipotesi.
In primo luogo sono fatte salve dal blocco, per il settore sanitario, le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e all’articolo 2, commi 79, 80, 83 e 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191.
Le norme citate si riferiscono alle regioni in situazione di disavanzo sanitario, nelle quali viene applicata la maggiorazioni dell’aliquota dell’IRAP, nella misura di 0,15 punti percentuali, e dell’addizionale regionale all’IRPEF, nella misura di 0,30 punti percentuali, quando gli organi preposti al monitoraggio dell’attuazione dei piani di rientro dei deficit sanitari verificano che la regione in disavanzo non ha raggiunto gli obiettivi previsti.
Più in particolare, l’art. 2, comma 86, della legge finanziaria per il 2010 (legge 191/2009) prevede che l’accertamento, in sede di verifica annuale da parte del Tavolo per la verifica degli adempimenti e del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, del mancato raggiungimento da parte della Regione degli obiettivi del piano di rientro, comporta l’incremento nelle misure fisse dello 0,15% dell’aliquota IRAP e dello 0,30% dell’addizionale all’IRPEF. La maggiorazione viene applicata, con le procedure previste dall’articolo 1, comma 174, della legge finanziaria per il 2005 (legge 311/2004). In merito all’applicazione dell’incremento all’addizionale regionale all’IRPEF su tutti gli scaglioni di reddito, si rinvia ai chiarimenti forniti dal MEF con la Risoluzione n. 5/DF del 15 giugno 2015.
Con il comunicato n. 235 del 16 ottobre 2014, il Ministero dell’Economia e delle finanze ha confermato, per l’anno d’imposta 2014, l’applicazione delle maggiorazioni delle aliquote di IRAP e di addizionale regionale IRPEF nel solo Molise. Per l’anno d’imposta 2013, la maggiorazione era stata applicata anche alla Calabria.
È inoltre fatta salva la possibilità di effettuare manovre fiscali incrementative ai fini dell’accesso alle anticipazioni di liquidità di cui agli articoli 2 e 3, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35.
In mancanza di ulteriori precisazioni sul punto, è da presumersi che le manovre fiscali suddette siano da riferire a quanto prevedono, rispettivamente per le regioni e per gli enti del servizio sanitario nazionale, l’articolo 2 comma 3 e l’articolo 3 comma 5 del menzionato D.L. n. 35/2013, nei quali si dispone, con formulazione pressoché identica, che alla erogazione delle somme, nei limiti delle anticipazioni di liquidità assegnate, si provvede, tra l’altro, anche a seguito della predisposizione, da parte regionale, di misure, anche legislative, idonee e congrue di copertura annuale del rimborso dell’anticipazione di liquidità (misure che per gli enti del SSN – viene precisato- dovrebbero essere prioritariamente volte alla riduzione della spesa corrente).
Viene esclusa dal blocco delle aliquote la tassa sui rifiuti (TARI) che, si ricorda, è stata istituita dalla legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 639, della legge n. 147 del 2013) per finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Infine il divieto non si applica agli enti locali in predissesto e dissesto , come deliberati ai sensi, rispettivamente, dell’art. 243-bis e degli artt. 246 e seguenti del TUEL (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267).
Come chiarito dalla Relazione illustrativa, non rientrano nell’ambito del divieto le tariffe di natura patrimoniale (tariffa puntuale, sostitutiva della TARI, di cui al comma 667 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013; canone alternativo alla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche – TOSAP, ossia il canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche COSAP). Per quanto riguarda il canone per l’autorizzazione all’installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP), seppure alternativo all’imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni (ICP DPA), si chiarisce che esso ha natura tributaria e quindi rientra nel blocco delle maggiorazioni.
– Articolo 5, commi 1-5
(Riduzione IRES)
L’articolo 5, ai commi 1-5, reca disposizioni volte a ridurre l’Imposta sul reddito delle società – IRES, prevedendo una progressiva diminuzione dell’aliquota dal 27,5 al 24 per cento; tale ultima misura del 24 per cento si applica, a regime, dal 2017. Si prevede inoltre una riduzione dell’aliquota della ritenuta (operata a titolo di imposta) sugli utili corrisposti alle società e agli enti soggetti ad un’imposta sul reddito delle società. L’efficacia delle misure viene subordinata al riconoscimento, in sede europea, dei margini diflessibilità di bilancio correlati all’emergenza immigrazione.
In particolare, il comma 1 dispone un progressivo abbassamento della misura dell’aliquota dell’Imposta sui redditi delle società – IRES (misura fissata dall’articolo 77, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, DPR n. 917 del 1986, che viene all’uopo modificato).
L’aliquota si abbassa dal 27,5 al 24,5 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2016, con effetto per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015; si prevede un ulteriore abbassamento al 24 per cento a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016, cioè dal 2017.
Il comma 2 abbassa l’aliquota della ritenuta (operata a titolo di imposta) sugli utili corrisposti alle società e agli enti soggetti ad un’imposta sul reddito delle società negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, che consentono un adeguato scambio di informazioni ed ivi residenti, in relazione a partecipazioni, strumenti finanziari e contratti di associazione in partecipazione, non relativi a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato.
In particolare l’aliquota della ritenuta è abbassata dall’1,375 per cento all’1,225 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2016, con effetto per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015; all’1,20 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2017, a regime, con effetto per i periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2016.
Il comma 3 subordina l’efficacia dell’abbassamento delle aliquote IRES e ritenuta sugli utili, previsto per l’anno 2016 (comma 1, lettera a), e comma 2, lettera a) dell’articolo in commento), al riconoscimento in sede europea dei margini di flessibilità correlati all’emergenza derivante dai flussi di immigrazione e della conseguente coerenza con la disciplina europea di un obiettivo di indebitamento programmatico fissato in misura superiore al 2,2 per cento e, comunque, nella misura necessaria alla loro copertura.
Si dispone inoltre che, in caso di mancato riconoscimento, in sede europea, dei suddetti margini di flessibilità per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015 continuano ad applicarsi le aliquote vigenti alla medesima data (27,5 per cento e 1,375 per cento, rispettivamente).
Ai sensi del successivo comma 4, in caso di mancato riconoscimento, in sede europea, dei predetti margini di flessibilità, per l’anno 2017, le risorse non più necessarie per la copertura degli oneri derivanti dalle riduzioni IRES e sulle ritenute (di cui ai già menzionati commi 1 e 2) confluiscono nel Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili, istituito dall’articolo 1, comma 200 della legge di stabilità 2015.
Ai maggiori oneri, valutati in 171,7 milioni di euro per l’anno 2018, si provvede mediante corrispondente riduzione lineare delle dotazioni finanziarie di parte corrente delle missioni di spesa di ciascun ministero, ai sensi delle norme sulla contabilità generale, per quanto riguarda le spese rimodulabili (articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196).
Al riguardo, la relazione tecnica precisa che il mancato riconoscimento della flessibilità in sede europea comporta che non venga applicata la minore aliquota e, di conseguenza, per il 2016 e il 2017 vi siano minori oneri in termini di IRES (rispettivamente pari a 2,6 miliardi e 871 milioni di euro). I risparmi previsti per il 2017 confluirebbero nel richiamato Fondo per esigenze indifferibili.
Dal mancato riconoscimento dei margini di flessibilità deriverebbero, tuttavia, maggiori oneri IRPEF e addizionali per il 2018, derivanti dal minor gettito in termini di dividendi e plusvalenze richiamati sopra, che viene stimato in 171,1 milioni e coperto mediante le predette riduzioni lineari.
Il comma 5, in conseguenza del taglio disposto dai precedenti commi 1 e 2, affida a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze la proporzionale riduzione delle percentuali di esenzione degli utili da partecipazione distribuiti ai soci (ai sensi dell’articolo 47, comma 1, TUIR), delle plusvalenze (articolo 58, comma 2, TUIR) dei dividendi (articolo 59 TUIR), delle plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate (articolo 68, comma 3, TUIR), nonché della quota non imponibile degli utili percepiti dagli enti non commerciali, di cui all’articolo 4, comma 1, lettera q), del decreto legislativo del 12 dicembre 2003, n. 344.
Si ricorda in estrema sintesi che, ex articolo 47 TUIR, gli utili percepiti dai soci persone fisiche non imprenditori concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al 49,72% del loro ammontare (DM 4 aprile 2008). Analoga misura vale per i dividendi ex articolo 59.
Similmente, le plusvalenze realizzate (articolo 58, comma 2 TUIR) a decorrere dal 1° gennaio 2009 non concorrono alla formazione del reddito imponibile, in quanto esenti, limitatamente al 50,28 per cento del loro ammontare, analogamente alle plusvalenze ex articolo 68, comma 3 TUIR.
Per quanto riguarda la quota non imponibile degli utili degli enti non commerciali essa è stata abbassata dal 95 al 22,26 per cento dalla legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 655 della legge n. 190 del 2014).
La rideterminazione della quota esente delle plusvalenze non trova applicazione nei confronti delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti del territorio dello Stato. Al medesimo decreto del MEF è affidato il compito di dettare la normativa transitoria e le relative decorrenze.
– Articolo 5, commi 6-8
(Esenzione IRAP in agricoltura e pesca)
I commi dal 6 all’8 dell’articolo riguardano l’esenzione dal pagamento dell’IRAP per i settori dell’agricoltura e della pesca, a decorrere dal 2016. A tal fine vengono modificati gli articoli del decreto legislativo n. 446/1997 – istitutivo dell’IRAP – che riguardano tali ambiti.
Il comma 6, novellando gli articoli 3, 4, 9, 12 e 45 del d.lgs. 446/1997, determina l’esenzione dall’IRAP per i soggetti che operano nel settore agricolo, per le cooperative di piccola pesca ed i loro consorzi, e per le cooperative ed i loro consorzi che forniscono in via principale, anche nell’interesse di terzi, servizi nel settore selvicolturale. A legislazione vigente, tale aliquota è pari all’1,90%, dal 1° gennaio 2015.
In particolare, all’articolo 3, comma 2, del citato d.lgs. 446, volto ad esplicitare quelli che non sono soggetti passivi dell’imposta, viene aggiunta la lettera c-bis, che contiene il seguente elenco:
1) soggetti che esercitano un’attività agricola ai sensi dell’articolo 32 del TUIR;
sulla base dell’articolo 32 sono considerate attività agricole:
a) le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura;
b) l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste;
c) le attività dirette (come specificato dal terzo comma dell’articolo 2135 del codice civile ), alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali;
2) soggetti di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227;
quest’ultimo articolo equipara agli imprenditori agricoli le cooperative ed i loro consorzi che forniscono in via principale, anche nell’interesse di terzi, servizi nel settore selvicolturale, ivi comprese le sistemazioni idraulico-forestali.
3) cooperative della piccola pesca e loro consorzi, di cui all’articolo 10 del DPR n. 601/1973.
In generale vengono poi soppressi negli articoli del citato d.lgs. 446/1997 tutti i riferimenti al settore agricolo e della pesca.
Il comma 7 dispone l’abrogazione del comma 238 dell’articolo 1 della legge . 244/2007, finalizzato all’estensione dell’aliquota IRAP agevolata alle imprese di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 227/2001 sopra richiamato.
Si tratta di una norma di coordinamento, dal momento che dette imprese sono rese esenti dall’IRAP in virtù del comma 6 sopra descritto.
Il comma 8 stabilisce che le disposizioni del comma 6 si applicano dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, ovvero dal 2016.
– Articolo 6
(Detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione edilizia, riqualificazione energetica e acquisto di mobili)
L’articolo 6 prevede la proroga al 31 dicembre 2016 delle detrazioni per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica, mantenendo anche per il 2016 le attuali misure:
- 65 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica, inclusi quelli relativi alle parti comuni degli edifici condominiali;
- 50 per cento per le ristrutturazioni e per il connesso acquisto di mobili.
Le giovani coppie, anche di fatto, in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i 35 anni, che hanno acquistato un immobile da adibire ad abitazione principale possono usufruire di una detrazione fiscale del 50 per cento per le spese sostenute per l’acquisto di mobili nel 2016 fino a 8.000 euro.
Viene chiarito che le detrazioni per gli interventi di riqualificazione energetica sono usufruibili anche dagli IACP, comunque denominati, per le spese sostenute, dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016, per gli interventi realizzati su immobili di loro proprietà adibiti ad edilizia residenziale pubblica.
Detrazioni fiscali per interventi di efficienza energetica
Più in dettaglio, il comma 1, lettera a), modifica l’articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, dedicato alla proroga delle detrazioni fiscali per gli interventi di efficienza energetica, sostituendo la data del 31 dicembre 2015, ovunque ricorre, con la data del 31 dicembre 2016.
Conseguentemente, le disposizioni concernenti la detrazione d’imposta per le spese relative ad interventi di riqualificazione energetica degli edifici (previste dall’articolo 1, comma 48, della legge n. 220 del 2010) si applicano nella misura del 65 per cento per le spese sostenute dal 6 giugno 2013 (data di entrata in vigore del D.L. n. 63 del 2013) fino al 31 dicembre 2016.
Con la norma in esame, pertanto, viene prorogata di un anno la misura della detrazione al 65 per cento, attualmente prevista sino al 31 dicembre 2015.
L’agevolazione per la riqualificazione energetica degli edifici consiste nel riconoscimento di detrazioni d’imposta in percentuale delle spese sostenute, da ripartire in rate annuali di pari importo, entro un limite massimo di detrazione, diverso in relazione a ciascuno degli interventi previsti. Si tratta di riduzioni dall’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) e dall’Ires (Imposta sul reddito delle società) concesse per interventi che aumentino il livello di efficienza energetica degli edifici esistenti e che riguardano, in particolare, le spese sostenute per:
- la riduzione del fabbisogno energetico per il riscaldamento: detrazione massima 100.000 euro;
- il miglioramento termico dell’edificio (finestre, comprensive di infissi, coibentazioni, pavimenti): detrazione massima 60.000 euro;
- l’installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda: detrazione massima 60.000 euro;
- la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale (inclusi quelli dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili): detrazione massima 30.000 euro;
- l’acquisto e la posa in opera delle schermature solari, di cui all’allegato M del D.Lgs. n. 311 del 2006: detrazione massima 60.000 euro.
La detrazione si applica, nella misura del 65 per cento, anche alle spese documentate e rimaste a carico del contribuente per interventi relativi alle parti comuni degli edifici condominiali o che interessino tutte le unità immobiliari di cui si compone il singolo condominio.
In sintesi la normativa al riguardo prevede che:
- la detrazione dalle imposte sui redditi (Irpef o Ires) è pari al 65 per cento delle spese sostenute, entro il limite massimo che varia a seconda della tipologia dell’intervento eseguito;
- l’agevolazione non è cumulabile con altri benefici fiscali previsti da disposizioni di legge nazionali (come, ad esempio, la detrazione per il recupero del patrimonio edilizio) o altri incentivi riconosciuti dall’Unione europea; dal 1° gennaio 2009 la detrazione non è cumulabile con eventuali incentivi riconosciuti dall’Unione europea, dalle regioni o dagli enti locali;
- non è necessario effettuare alcuna comunicazione preventiva di inizio dei lavori all’Agenzia delle entrate;
- i contribuenti non titolari di reddito d’impresa devono effettuare il pagamento delle spese sostenute mediante bonifico bancario o postale (i titolari di reddito di impresa sono invece esonerati da tale obbligo e possono provare la spesa con altra idonea documentazione);
- è previsto l’esonero dalla presentazione della certificazione energetica per la sostituzione di finestre, per gli impianti di climatizzazione invernale e per l’installazione di pannelli solari;
- al momento del pagamento del bonifico effettuato dal contribuente che intende avvalersi della detrazione, le banche e le Poste Italiane Spa hanno l’obbligo di effettuare una ritenuta a titolo di acconto dell’imposta sul reddito dovuta dall’impresa che effettua i lavori; la legge di stabilità per il 2015 ha elevato la misura della ritenuta dal 4 all’8 per cento;
- per gli interventi eseguiti dal 2011 è obbligatorio ripartire la detrazione in dieci rate annuali di pari importo (per gli anni 2009 e 2010 andava ripartita in cinque rate);
- i soggetti che intendono avvalersi della detrazione sono tenuti ad acquisire l’asseverazione di un tecnico abilitato che attesti la rispondenza dell’intervento ai pertinenti requisiti richiesti dal D.M. 19 febbraio 2007 (GU 26 febbraio 2007, n. 47) ed a trasmettere, entro novanta giorni dalla fine dei lavori, all’ENEA copia dell’attestato di certificazione energetica, ovvero di qualificazione energetica, nonché la scheda informativa relativa agli interventi realizzati (di cui all’allegato E del citato D.M.).
La norma che ha introdotto l’agevolazione è contenuta nei commi da 344 a 349 dell’articolo unico della legge finanziaria 2007 ( legge n. 296 del 2006 ); successivamente la normativa in materia è stata più volte modificata con riguardo, in particolare, alle procedure da seguire per avvalersi correttamente delle agevolazioni.
L’articolo 1, comma 48, della legge n. 220 del 2010 (legge di stabilità per il 2011) ha stabilito una proroga per usufruire delle detrazioni per le spese sostenute e documentate sino al 31 dicembre 2011 o, per i soggetti con periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare, fino al periodo d’imposta in corso alla predetta data.
L’articolo 4, comma 4, del D.L. n. 201 del 2011 ha prorogato fino al 31 dicembre 2012 la detrazione Irpef del 55 per cento delle spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio. La stessa norma ha esteso la detrazione del 55 per cento anche alle spese per interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria, nel limite massimo di 30.000 euro. A decorrere dal 1° gennaio 2013 era previsto che per tutti gli interventi sopra descritti si applicasse la detrazione del 36 per cento come modificata dal nuovo articolo 16-bis del TUIR. Successivamente il D.L. n. 83 del 2012 ha prorogato l’applicazione della detrazione del 55 per cento sino al 30 giugno 2013.
Il D.L. n. 63 del 2013 (articolo 14) ha prorogato le detrazioni fiscali per interventi di efficienza energetica fino al 31 dicembre 2013 elevando la misura al 65 per cento, per le spese sostenute dal 6 giugno 2013 (data di entrata in vigore del provvedimento). Inoltre, con riferimento agli interventi di riqualificazione energetica relativi a parti comuni degli edifici condominiali o che interessino tutte le unità immobiliari del singolo condominio, la norma prevede l’applicazione della detrazione d’imposta del 65 per cento per le spese sostenute dall’entrata in vigore del decreto (6 giugno 2013) sino al 30 giugno 2014. Il D.L. 63/2013 ha, inoltre, previsto che l’ENEA effettui il monitoraggio e la valutazione del risparmio energetico conseguito a seguito della realizzazione degli interventi di riqualificazione energetica di edifici e degli interventi relativi a parti comuni degli edifici condominiali (articolo 14, comma 3-bis). L’attività di monitoraggio si basa sull’elaborazione delle informazioni contenute nelle richieste di detrazione per via telematica, sulla trasmissione di una relazione sui risultati degli interventi e sul costante aggiornamento del sistema di reportistica multi-anno delle dichiarazioni ai fini delle detrazioni medesime. E’ istituita, poi, presso il Gestore dei servizi energetici S.p.A. (GSE) una banca dati nazionale (art. 15-bis) in cui far confluire i flussi di dati relativi ai soggetti beneficiari di incentivi o sostegni finanziari per attività connesse ai settori dell’efficienza energetica e della produzione di energia da fonti rinnovabili.
La lettera b) del comma 139 dell’articolo unico della legge di stabilità per il 2014 ha previsto la proroga delle detrazioni fiscali per gli interventi di efficienza energetica, nella misura del 65 per cento, per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2014. La norma prevedeva la riduzione della detrazione al 50 per cento per le spese sostenute dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015 (abrogata dalla legge di stabilità per il 2015).
La legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014, articolo 1, comma 47, lettera a)) ha prorogato la detrazione fiscale per gli interventi di efficienza energetica nella misura del 65 per cento per le spese fino al 31 dicembre 2015, introducendo due nuovi tipi di spesa agevolabili: quella per l’acquisto e la posa in opera delle schermature solari, di cui all’allegato M del D.Lgs. n. 311 del 2006, sostenute dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015, fino a un valore massimo della detrazione di 60.000 euro; il nuovo comma 2-bisdell’articolo 14 del D.L. n. 63 del 2013 ha chiarito inoltre che la detrazione del 65 per cento si applica altresì alle spese sostenute per l’acquisto e la posa in opera di impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomassecombustibili, sostenute dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015, fino a un valore massimo della detrazione di 30.000 euro.
Si segnala infine la guida dell’Agenzia delle entrate sugli interventi di riqualificazione energetica (aggiornata a gennaio 2015).
Detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione ed efficienza energetica e idrica
Il comma 1, lettera b), modifica l’articolo 15 del D.L. n. 63 del 2013, prorogando di un anno, al 31 dicembre 2016, il termine entro il quale dovranno essere definiti misure ed incentivi selettivi di carattere strutturale, finalizzati a favorire la realizzazione di interventi per il miglioramento, l’adeguamento antisismico e la messa in sicurezza degli edifici esistenti, nonché per l’incremento del loro rendimento energetico e dell’efficienza idrica.
Il citato articolo 15 prevede che nelle more della riforma di carattere strutturale, per tali interventi si applicano le disposizioni che prevedono le detrazioni fiscali per gli interventi di efficienza energetica e per interventi di ristrutturazione edilizia e per l’acquistodi mobili.
Si ricorda che l’articolo 15 prevede che nella definizione delle misure e degli incentivi suddetti è compresa l’installazione di impianti di depurazione delle acque da contaminazione di arsenico di tipo domestico, produttivo e agricolo nei comuni dove è stato rilevato il superamento del limite massimo di tolleranza stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità o da norme vigenti, ovvero dove i sindaci o altre autorità locali sono stati costretti ad adottare misure di precauzione o di divieto dell’uso dell’acqua per i diversi impieghi. Nella definizione delle misure di carattere strutturale si deve, inoltre, tener conto dell’opportunità di agevolare ulteriori interventi, quali ad esempio le schermature solari, la micro-cogenerazione e la micro-trigenerazione per il miglioramento dell’efficienza energetica, nonché interventi per promuovere l’incremento dell’efficienza idrica e per la sostituzione delle coperture di amianto negli edifici.
Detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione edilizia
Il comma 1, lettera c), modifica l’articolo 16 del D.L. n. 63 del 2013, con il quale è stata disposta la proroga delle detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione edilizia e per l’acquisto di mobili, sostituendo la data del 31 dicembre 2015, ovunque ricorre, con la data del 31 dicembre 2016.
Pertanto per le spese documentate, relative agli interventi di recupero del patrimonio edilizio (indicati nel comma 1 dell’articolo 16-bis del TUIR), spetta una detrazione dall’imposta lorda – fino ad un ammontare complessivo non superiore a 96.000 euro per unità immobiliare – pari al 50 per cento, per le spese sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2016. Con la norma in esame, pertanto, viene prorogata di un anno la misura della detrazione al 50 per cento, attualmente prevista sino al 31 dicembre 2015.
La proroga sino al 31 dicembre 2016 comprende anche la detrazione del 65 per cento per gli interventi relativi all’adozione dimisure antisismiche (articolo 16, comma 1-bis, il quale richiama l’articolo 16-bis, comma 1, lettera i) del TUIR, elevando il limite di spesa a 96.000 euro per unità immobiliare e la misura della detrazione al 65 per cento).
Si ricorda che le misure antisismiche in parola devono riguardare edifici che si trovano nelle zone sismiche ad alta pericolosità (zone 1 e 2) individuate dall’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20 marzo 2003. Per ottenere il beneficio fiscale le procedure autorizzatorie degli interventi devono essere state attivate dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 63 del 2013 (ossia dopo il 4 agosto 2013).
Gli interventi antisismici previsti dall’articolo 16-bis del TUIR riguardano, in particolare, l’esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica (in particolare sulle parti strutturali) la redazione della documentazione obbligatoria atta a comprovare la sicurezza statica del patrimonio edilizio, nonché la realizzazione degli interventi necessari al rilascio della suddetta documentazione. Gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche e all’esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica devono essere realizzati sulle parti strutturali degli edifici o complessi di edifici collegati strutturalmente e comprendere interi edifici e, ove riguardino i centri storici, devono essere eseguiti sulla base di progetti unitari e non su singole unità immobiliari.
La detrazione fiscale per il recupero del patrimonio edilizio è concessa (comma 1 dell’articolo 16-bis del D.P.R. n. 917 del 1986) per i seguenti interventi:
- manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, effettuati su tutte le parti comuni degli edifici residenziali;
- manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, effettuati sulle singole unità immobiliariresidenziali di qualsiasi categoria catastale, anche rurali, e sulle loro pertinenze;
- ricostruzione o ripristino di immobili danneggiati a seguito di eventi calamitosi, quando sia stato dichiarato lo stato di emergenza, anche se non rientranti nelle tipologie di intervento di cui ai primi due punti;
- realizzazione di autorimesse o di posti auto pertinenziali, anche di proprietà comune;
- eliminazione di barriere architettoniche;
- adozione di misure finalizzate a prevenire il rischio di atti illeciti da parte di terzi;
- realizzazione di interventi di cablatura degli edifici e di contenimento di inquinamento acustico;
- conseguimento di risparmi energetici;
- adozione di misure antisismiche;
- bonifica dall’amianto ed esecuzione di opere volte ad evitare gli infortuni domestici.
Il comma 2 dell’articolo 16-bis del TUIR ricomprende tra le spese sostenute quelle di progettazione e per prestazioni professionaliconnesse all’esecuzione delle opere edilizie e alla messa a norma degli edifici ai sensi della legislazione vigente in materia.
Il comma 3 riconduce a regime la detrazione d’imposta del 36 per cento sugli interventi di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia, riguardanti interi fabbricati, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie che provvedono, entro 18 mesi dalla data del termine dei lavori, alla successiva alienazione o assegnazione dell’immobile (la legge di stabilità per il 2015 ha esteso da sei a diciotto mesi il periodo di tempo entro il quale le imprese di costruzione o ristrutturazione devono provvedere all’alienazione o assegnazione dell’immobile per fruire della detrazione). Anche per questi interventi la misura della detrazione è del 50 per cento per le spese per l’acquisto dell’immobile sostenute nel periodo compreso tra il 26 giugno 2012 e il 31 dicembre 2016 (termine così modificato dalla norma in esame) e spetta entro l’importo massimo di 96.000 euro (invece che 48.000 euro).
Tra le altre disposizioni introdotte in materia si segnalano:
- l’abolizione dell’obbligo di invio della comunicazione di inizio lavori al Centro operativo di Pescara (articolo 7, co.2, del D.L. n. 70 del 2011);
- l’elevazione all’8 per cento della percentuale della ritenuta d’acconto sui bonifici che banche e Poste hanno l’obbligo di operare (legge n. 190 del 2014, articolo 1, comma 657);
- l’obbligo, chiarito con la risoluzione n. 55/E del 7 giugno 2012 dell’Agenzia delle entrate, di utilizzare un bonifico “parlante” dal quale risulti: 1) la causale del versamento; 2) il codice fiscale del beneficiario della detrazione; 3) il numero di partita IVA ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato;
- l’eliminazione dell’obbligo di indicare il costo della manodopera, in maniera distinta, nella fattura emessa dall’impresa che esegue i lavori (articolo 7, comma 2, lett. r), del D.L. n. 70 del 2011); tale soppressione ha effetto anche per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici;
- la facoltà riconosciuta al venditore, nel caso in cui l’unità immobiliare sulla quale sono stati eseguiti i lavori sia ceduta prima che sia trascorso l’intero periodo di godimento della detrazione, di scegliere se continuare a usufruire delle detrazioni non ancorautilizzate o trasferire il diritto all’acquirente (persona fisica) dell’immobile (commi 12-bis e 12-ter dell’articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011);
- l’obbligo per tutti i contribuenti di ripartire l’importo detraibile in 10 quote annuali.
La detrazione fiscale per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio è stata introdotta dall’articolo 1, commi 5 e 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, successivamente modificata e prorogata e, infine, resa stabile dal D.L. n. 201 del 2011 (art. 4, comma 1, lett. c)) che ha inserito nel D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) l’articolo 16-bis. Per le spese sostenute dal 26 giugno 2012 fino al 30 giugno 2013, l’articolo 11, comma 1, del D.L. n. 83 del 2012 ha aumentato la misura della detrazione dal 36 per cento al 50 per cento ed ha innalzato il limite di spesa massima agevolabile da 48.000 a 96.000 euro per unità immobiliare. Con l’articolo 16, comma 1, del D.L. n. 63 del 2013 sono stati prorogati al 31 dicembre 2013 l’innalzamento della detrazione al 50 per cento e l’ammontare complessivo di spesa di 96.000 euro. Nel corso della conversione del D.L. n. 63 del 2013, inoltre, sono state introdotte due rilevanti novità:
- una detrazione del 50 per cento per le spese sostenute per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+, (per i forni la classe A), nonché delle apparecchiature per le quali sia prevista l’etichetta energetica, finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione, per un importo massimo complessivo non superiore a 10.000 euro, da ripartire in dieci quote annuali;
- una detrazione del 65 per cento delle spese per misure antisismiche su costruzioni che si trovano nelle zone sismiche ad alta pericolosità (zone 1 e 2), se adibite ad abitazione principale o ad attività produttive.
Da ultimo la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014, articolo 1, comma 47) ha disposto la proroga delle detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione edilizia e per l’acquisto di mobili, nonché della detrazione del 65 per cento per gli interventi relativiall’adozione di misure antisismiche.
Si segnala che con lo stesso provvedimento è stata elevata dal 4 all’8 per cento la misura della ritenuta operata da banche e Poste sugli accrediti di bonifici disposti per beneficiare delle detrazioni fiscali connesse agli interventi di ristrutturazione e di risparmio energetico degli edifici (legge di stabilità 2015, comma 657).
Si segnalano le guide dell’Agenzia delle entrate sulle ristrutturazioni edilizie (aggiornata ad aprile 2015) e sul bonus mobili (aggiornata ad aprile 2015).
Detrazioni fiscali per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici
La modifica introdotta dal comma 1, lettera c) all’articolo 16 del D.L. n. 63 del 2013 riguarda anche la detrazione fiscale perl’acquisto di mobili ed elettrodomestici, la quale viene ugualmente prorogata fino al 31 dicembre 2016.
Si ricorda che il comma 2 dell’articolo 16 riconosce ai contribuenti che usufruiscono della detrazione per gli interventi di ristrutturazione edilizia una detrazione del 50 per cento per le ulteriori spese, fino ad un ammontare massimo di 10.000 euro, documentate e sostenute per l’acquisto dei seguenti prodotti finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione:
- mobili;
- grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+;
- forni di classe non inferiore ad A.
Le spese per l’acquisto di mobili sono calcolate indipendentemente da quelle sostenute per i lavori di ristrutturazione. In altri termini, le spese per l’acquisto di mobili possono anche essere più elevate di quelle per i lavori di ristrutturazione, fermo restando il tetto dei 10.000 euro. Si ricorda che la disposizione della legge di stabilità 2014 che prevedeva che tali spese non potessero essere superiori a quelle sostenute per i lavori di ristrutturazione è stata abrogata dall’articolo 7 del D.L. n. 47 del 2014.
Si evidenzia inoltre che con la circolare n. 29/E del 18 settembre 2013 l’Agenzia delle entrate, tra l’altro, ha fornito informazioni su modalità di pagamento, diritto alla detrazione, tipologia di mobili interessati e elettrodomestici.
Il comma 2 dell’articolo in esame prevede un’ulteriore ipotesi di detrazione fiscale per l’acquisto esclusivamente di mobili da adibire ad arredo dell’abitazione principale acquistata da giovani coppie, anche di fatto. Anche in questo caso la misura della detrazione è del 50 per cento, da ripartire tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo, per le spese sostenute nel 2016, ma il limite di spesa è ridotto a 8.000 euro.
In questo caso, pertanto, la condizione per usufruire della detrazione non è quella di una ristrutturazione edilizia in corso (come nel caso del bonus mobili appena descritto), ma l’aver acquistato un immobile da adibire ad abitazione principale da parte di “giovani coppie”.
L’ultimo periodo del comma 2 precisa che tale detrazione non è cumulabile con il bonus mobili.
Destinatari di tale agevolazione sono le “giovani coppie” costituenti un nucleo familiare costituito da coniugi o da conviventi more uxorio che abbiano costituito nucleo da almeno 3 anni. Si ricorda che la convivenza more uxorio può essere dimostrata mediante il certificato di stato di famiglia che attesta la comune residenza (anche mediante autocertificazione, ai sensi dell’articolo 46 del D.P.R. n. 445 del 2000). Almeno uno dei componenti del nucleo familiare non deve aver superato i 35 anni.
Occorrerebbe precisare in quale momento uno dei due componenti non deve aver superato i 35 anni: presumibilmente la data di acquisto dei mobili. Non è definito dalla norma, inoltre, quando deve essere stato perfezionato l’acquisto della casa da parte della giovane coppia.
Si segnala che un’altra definizione di «giovane coppia» è contenuta nel decreto interministeriale 31 luglio 2014, attuativo del comma 48, lettera c), della legge n. 147 del 2013, il quale ha istituito il Fondo di garanzia per la prima casa, per la concessione di garanzie, a prima richiesta, su mutui ipotecari o su portafogli di mutui ipotecari. Il decreto definisce «giovane coppia» il nucleo familiare costituito da coniugi o da conviventi more uxorio che abbiano costituito nucleo da almeno due anni, in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i trentacinque anni alla data di presentazione della domanda di finanziamento.
Estensione degli interventi di riqualificazione energetica agli IACP
Il comma 3 estende la possibilità di usufruire delle detrazioni per gli interventi di riqualificazione energetica anche agli IACP, comunque denominati, per le spese sostenute, dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016, per gli interventi realizzati su immobili di loro proprietà adibiti ad edilizia residenziale pubblica.
Si ricorda che le detrazioni per gli interventi di riqualificazione energetica possono essere utilizzate anche con riferimento all’IRES. Prima della modifica in commento, tuttavia, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che i titolari di reddito d’impresa possono fruire della detrazione solo con riferimento ai fabbricati strumentali da essi utilizzati nell’esercizio della loro attività imprenditoriale. Non sono strumentali gli immobili che, pur potendo essere considerati tali rispetto alle finalità che il soggetto di imposta persegue attraverso l’esercizio dell’impresa, costituiscono, nel contempo, l’oggetto della predetta attività imprenditoriale, come nell’ipotesi degli immobili locati a terzi (risoluzione n. 340/E del 1° agosto 2008).
Si segnala che il decreto-legge n. 47 del 2014 (c.d. “decreto casa”) ha previsto un programma di recupero degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (articolo 4). In attuazione di tale norma è stato emanato il decreto ministeriale 16 marzo 2015 il quale ha definito i criteri per la formulazione di un programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, di proprietà dei comuni e degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, costituiti anche in forma societaria, e degli enti di edilizia residenziale pubblica aventi le stesse finalità degli IACP. Tale programma deve prevedere il ripristino di alloggi di risulta e la manutenzione straordinaria degli alloggi anche ai fini dell’adeguamento energetico, impiantistico statico e del miglioramento sismico degli immobili
Si segnala inoltre che l’articolo 6 del decreto-legge n. 47 del 2014 ha disposto che i redditi derivanti dalla locazione di alloggi sociali, di nuova costruzione o per i quali sono stati realizzati interventi di manutenzione straordinaria o di recupero, non concorrono alla formazione del reddito d’impresa ai fini delle imposte sui redditi né alla formazione del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, nella misura del 40 per cento (per dieci anni dall’ultimazione dei lavori). Sono state inoltre previste delle detrazioni fiscali per i conduttori di alloggi sociali adibiti ad abitazione principale (articolo 7).
Si segnala lo studio realizzato dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’istituto di ricerca CRESME su “Il recupero e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio: una stima dell’impatto delle misure di incentivazione“. Gli incentivi fiscali in esame hanno interessato dal 1998 al 2015 oltre 12,5 milioni di interventi. Nello stesso periodo le misure di incentivazione fiscale hanno attivato investimenti pari a 207 miliardi di euro (una media di 11 miliardi di euro all’anno a valori correnti), di cui 178 miliardi hanno riguardato il recupero edilizio e poco meno di 30 miliardi la riqualificazione energetica. Il dato a consuntivo per il 2014 indica un volume di investimenti pari a 28,5 miliardi di euro, di cui 24,5 miliardi di euro sono relativi al recupero e 3,9 alla riqualificazione energetica. Gli investimenti veicolati dalle misure di incentivazione fiscale hanno avuto un impatto importante sull’occupazione che, nel periodo 2008-2015, ha riguardato oltre 2 milioni di occupati, con una media di 111.000 occupati diretti all’anno. Nel 2014 le stime, complessive anche dell’indotto, riguardano 424.800 occupati.
– Articolo 10
(Riduzione del canone RAI)
L’articolo 10 fissa la misura del canone di abbonamento alle radioaudizioni per uso privato, per il 2016, in 100,00 €, rispetto a 113,50 € dovuto per il 2015; si introduce una nuova presunzione di possesso dell’apparecchio televisivo, ai fini dell’accertamento di situazioni di evasione del pagamento del canone: la presenza di un contratto di fornitura dell’energia elettrica, nella cui fattura sarà addebitato il canone.
La relazione tecnica stima, prudenzialmente, che il gettito ritraibile dalla nuova forma di versamento possa essere almeno pari a quello che viene attualmente introitato come canone, tassa di concessione governativa e I.V.A.
Il comma 1, fissa, per l’anno 2016, la misura del canone di abbonamento alla televisione per uso privato, nel suo complesso, ad euro 100.
Si rileva che la rubrica dell’articolo si riferisce al “canone RAI”, mentre le disposizioni in esso contenute sembrerebbero riferirsi al solo canone di abbonamento alla televisione per uso privato e non anche alle altre tipologie di canone (si veda ad esempio il comma 7).
La disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni e alla televisione è stata introdotta dal Regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246 “Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni”.
Ai sensi dell’art. 27, comma 8, primo periodo, della legge finanziaria per il 2000 (488/1999) il canone di abbonamento alla televisione è attribuito per intero alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (RAI S.p.A. fino al 6 maggio 2016) ad eccezione della quota pari all’un per cento già spettante all’Accademia di Santa Cecilia(8) . La Corte costituzionale, nel ribadire la legittimità dell’imposizione del canone radiotelevisivo, ha chiarito con la sentenza 284/2002, che lo stesso “costituisce in sostanza un’imposta di scopo, destinato come esso è, quasi per intero (a parte la modesta quota ancora assegnata all’Accademia nazionale di Santa Cecilia) alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo”.
L’articolo 47 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (177/2005) disciplina il finanziamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo, disponendo, in particolare, che entro il mese di novembre di ciascun anno, il Ministro delle comunicazioni, con proprio decreto, stabilisce l’ammontare dei canoni di abbonamento in vigore dal 1° gennaio dell’anno successivo, in misura tale da consentire alla società concessionaria di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti in tale anno per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo (comma 3); è fatto divieto alla Rai di utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico generale radiotelevisivo (comma 4).
Per l’anno 2015, il decreto ministeriale 29 dicembre 2014(9) , prevede, per il canone di abbonamento alla televisione per uso privato (tabella 1 allegata al decreto) le seguenti componenti annue: il canone di 0,22 €, il sovrapprezzo di 104,94 €, la tassa di concessione governativa di 4,13 €, l’I.V.A. di 4,21 €, per complessivi 113,50 € all’anno.
L’articolo 21, comma 4, del decreto-legge 66/2014 riduce, a decorrere dal 2015, del 5%, le somme derivanti dal canone di abbonamentoalla televisione, da attribuire alla Rai. La relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria della RAI S.p.A. per l’esercizio 2013, trasmessa alle Camere il 12 marzo 2015 (Doc. XV, n. 244) specifica che le entrate derivanti dal canone, per il 2013, sono state pari a 1.755,6 milioni di euro (il 5% di tale cifra è 87,7 milioni di euro).
Il comma 2 novella il citato Regio decreto-legge 246/1938.
Il comma 2, lettera a) novella l’articolo 1, che obbliga chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni al pagamento del canone di abbonamento. Il comma 2, specifica un’ipotesi di presunzione della detenzione o dell’utenza di un apparecchio radioricevente, ravvisandola nella presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di onde elettriche o di un dispositivo idoneo a sostituire l’impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici. A tale presunzione la novella ne aggiunge un’altra: l’esistenza di una utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica. Inoltre, è specificato che allo scopo di superare le due predette presunzioni, a decorrere dall’anno 2016, è necessario presentare, all’Agenzia delle entrate competente per territorio, apposita dichiarazione ai sensi del D.P.R. 445/2000, la cui mendacia comporta gli effetti, anche penali, di cui all’articolo 76 del medesimo decreto (chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia).
Il Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento per le comunicazioni, si è pronunciato in data 22 febbraio 2012 sull’interpretazione dell’espressione “apparecchi atti od adattabili” alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive, enunciando i seguenti principi.
- Il “servizio di radiodiffusione” riguarda solo la distribuzione del segnale audio/video attraverso piattaforma terrestre e piattaforma satellitare, con esclusione quindi di diverse forme di distribuzione, come la web-radio, la web.tv, l’IPTV.
- Solo il possesso degli apparecchi atti od adattabili a ricevere il segnale audio/video attraverso la piattaforma terrestre e/o satellitare, è sottoposto all’obbligo del pagamento del canone radiotelevisivo. Ne consegue che l’uso di personal computer, anche collegati in rete, se consente l’ascolto e/o la visione dei programmi radiotelevisivi via internet, e non attraverso la ricezione del segnale digitale terrestre o satellitare, non è assoggettabile a canone.
- Un apparecchio si intende atto a ricevere le radioaudizioni solo se include nativamente un sintonizzatore, un decodificatore ed un trasduttore del segnale. Il sintonizzatore preleva il segnale di antenna; il decodificatore lo decomprime e lo traduce nel formato idoneo ad essere riproducibile dall’apparecchio; il trasduttore converte il segnale elettrico ricevuto dal sintonizzatore ed interpretato dal decodificatore in segnale audio/video, rendendolo ascoltabile.
- Un apparecchio si intende “adattabile” a ricevere le radioaudizioni solo se include almeno il sintonizzatore.
Quindi, in estrema sintesi, un apparecchio è assoggettabile a canone radiotelevisivo a condizione che incorpori almeno un sintonizzatore.
Il comma 2, lettera b) all’articolo 1, dopo il secondo comma aggiunge un nuovo terzo comma, in base al quale il canone di abbonamento è, in ogni caso, dovuto una sola volta in relazione agli apparecchi di cui al primo comma detenuti o utilizzati, nei luoghi adibiti a propria residenza o dimora, dallo stesso soggetto e dai soggetti appartenenti alla stessa famiglia anagrafica, come individuata dall’articolo 4 del D.P.R. 223/1989 (rectius il regolamento di cui al citato D.P.R.) in base al quale agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune; una famiglia anagrafica può essere costituita da una sola persona.
Il comma 2, lettera c) aggiunge un nuovo comma all’articolo 3, in base al quale per i titolari di utenza per la fornitura di energia elettrica di cui all’articolo 1, secondo comma, secondo periodo, il pagamento del canone avviene previo distinto addebito del medesimo sulle relative fatture, di cui costituisce distinta voce, non imponibile ai fini fiscali, emesse dalle aziende di vendita di energia elettrica.
Il comma 3 demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico, da adottare entro 45 giorni dall’entrata in vigore della legge, la definizione di termini, criteri, modalità per:
- il riversamento all’erario e per le conseguenze di eventuali ritardi, anche in forma di interessi moratori, dei canoni incassati dalle aziende di vendita dell’energia elettrica, che a tal fine non sono considerate sostituti di imposta, eventualmente tramite un soggetto unico individuato dal medesimo decreto;
- l’individuazione e comunicazione dei dati utili ai fini del controllo;
- l’individuazione dei soggetti di cui al comma 5;
- le misure tecniche che si rendano eventualmente necessarie per l’attuazione della presente norma.
Il comma 4 dispone che, in caso di violazione degli obblighi di comunicazione e di versamento dei canoni di cui al comma 3, si applichino, rispettivamente, le seguenti disposizioni del decreto legislativo 471/1997:
- articolo 5, comma 1 (sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare del tributo dovuto per il periodo d’imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione);
- 13, comma 1 (trenta per cento di ogni importo non versato).
Il comma 5 autorizza, per l’attuazione di quanto previsto dai commi 2, 3 e 4 e limitatamente alle finalità di cui al presente articolo, lo scambio e l’utilizzo dei dati relativi alle famiglie anagrafiche, alle utenze per la fornitura di energia elettrica, ai soggetti tenuti al pagamento del canone di abbonamento alla televisione nonché ai soggetti esenti, da parte dell’Anagrafe tributaria, dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico, dell’Acquirente Unico Spa, del Ministero dell’Interno, dei Comuni, nonché di altri soggetti pubblici o privati che ne hanno la disponibilità.
Il comma 6 estende le autorizzazioni all’addebito diretto sul conto corrente bancario o postale ovvero su altri mezzi di pagamento, rilasciate a intermediari finanziari dai titolari di utenza per la fornitura di energia elettrica per il pagamento delle relative fatture, al pagamento del canone di abbonamento televisivo. La disposizione di cui al presente comma si applica anche alle suddette autorizzazioni all’addebito già rilasciate alla data di entrata in vigore della presente legge, fatta salva la facoltà di revoca dell’autorizzazione nel suo complesso da parte dell’utente.
Il comma 7 esclude l’applicabilità dell’articolo in esame all’accertamento e riscossione coattiva e al canone di abbonamento speciale per la detenzione fuori dall’ambito familiare.
Il comma 8 prevede che, per l’anno 2016, il canone è addebitato secondo le modalità di cui al comma 2 sulla prima fattura relativa alla fornitura di energia elettrica successiva alla data di scadenza del pagamento del medesimo canone (31 gennaio 2016).
Si potrebbe valutare la compatibilità del predetto termine per l’addebito con quello per l’adozione dell’atto amministrativo di cui al comma 3, nell’ipotesi in cui la fattura dell’energia elettrica sia emessa, secondo le metodologie di gestione delle aziende elettriche e del circuito bancario utilizzato per l’addebito, nel periodo intercorrente tra il 31 gennaio ed il 15 febbraio 2016.
Il comma 9, con riferimento agli anni dal 2016 al 2018, riserva all’erario le eventuali maggiori entrate versate a titolo di canone di abbonamento alla televisione rispetto alle somme già iscritte a tale titolo nel bilancio di previsione per l’anno 2016, per essere destinate al fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all’articolo 1, comma 431, della legge di stabilità 2014 (147/2013). Le quote delle entrate del canone di abbonamento già destinate dalla legislazione vigente a specifiche finalità sono attribuite sulla base dell’ammontare delle predette somme iscritte nel bilancio di previsione per l’anno 2016, ovvero, dell’ammontare versato al predetto titolo nell’esercizio di riferimento, se inferiore alla previsione per il 2016.
Ai sensi dell’art. 27, comma 8, primo periodo, della legge finanziaria per il 2000 (488/1999) il canone di abbonamento alla televisione è attribuito per intero alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (RAI S.p.A. fino al 6 maggio 2016) ad eccezione della quota pari all’un per cento già spettante all’Accademia di Santa Cecilia.
Il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (177/2005), nel Titolo VIII (artt. 45-49) – dispone, anzitutto, all’art. 49, comma 1, che la concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidata, fino al 6 maggio 2016, alla RAI-Radiotelevisione italiana Spa.
A sua volta, l’art. 45, commi 1 e 4, dispone che il servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidato per concessione a una società per azioni che lo svolge sulla base di un contratto nazionale di servizio, stipulato con l’attuale Ministero dello sviluppo economico, nonché di contratti di servizio regionali e, per le province autonome, provinciali, con i quali sono individuati diritti e obblighi della concessionaria. Tali contratti sono rinnovati ogni tre anni.
Prima di ciascun rinnovo del contratto nazionale di servizio, l’AGCOM e il Ministro dello sviluppo economico fissano, con propria deliberazione, le linee guida sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico generale radiotelevisivo, definite in relazione allo sviluppo dei mercati, al progresso tecnologico e alle mutate esigenze culturali, nazionali e locali.
L’ultimo contratto nazionale di servizio approvato si riferisce al triennio 2010-2012.
Per il rinnovo 2013-2015, le linee-guida sono state approvate con delibera AGCOM del 29 novembre 2012, n. 587/12/CONS.
Lo schema di contratto di servizio 2013-2015 è stato trasmesso alle Camere per l’espressione del prescritto parere della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (art. 1, co. 6, lett. b), n. 10), L. 249/1997), il 19 settembre 2013 (Atto del Governo n. 31). Il parere, favorevole con condizioni, è stato espresso nella seduta del 7 maggio 2014.
Al riguardo, intervenendo nella seduta della 8^ Commissione del Senato del 3 giugno 2015, il rappresentante del Governo ha evidenziato che sono in corso approfondimenti rispetto alla prima versione predisposta dal Governo precedente.
– Articolo 11
(Proroga dell’esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato)
L’articolo 11 prevede, per il settore privato, uno sgravio contributivo per i contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminatorelativi ad assunzioni decorrenti dal 1° gennaio 2016 e stipulati entro il 31 dicembre 2016. Per il settore agricolo, il beneficio si applica secondo la disciplina specifica di cui ai commi 2 e 3.
Lo sgravio contributivo consiste nell’esonero dal versamento del 40% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nel limite di 3.250 euro su base annua e per un periodo massimo di 24 mesi.
Si ricorda che per le assunzioni a tempo indeterminato intercorrenti nel 2015, i datori di lavoro hanno diritto (ai sensi dell’art. 1, comma 118, della L. 23 dicembre 2014, n. 190) ad uno sgravio contributivo nel limite di 8.060 euro su base annua e per un periodo massimo di 36 mesi (anche in tal caso, il beneficio si applica con misure, condizioni e modalità di finanziamento specifiche nel settore agricolo, ai sensi dei commi 119 e 120 del citato art. 1 della L. n. 190).
Il beneficio per le assunzioni effettuate nel 2016 (così come già previsto per quelle decorrenti nel 2015) non è riconosciuto:
- per i contratti di apprendistato e per quelli di lavoro domestico;
- per le assunzioni relative a lavoratori che nei sei mesi precedenti siano risultati occupati a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro;
- con riferimento ai lavoratori per i quali il presente beneficio (ovvero quello suddetto per le assunzioni intercorrenti nel 2015) sia già stato usufruito in relazione a precedente assunzione a tempo indeterminato. Sembra opportuno chiarire se tale esclusione operi anche qualora lo sgravio riconosciuto per la precedente assunzione concernesse il settore agricolo;
- per i lavoratori con i quali i datori di lavoro (considerando anche le società controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto) abbiano comunque già in essere un contratto a tempo indeterminato nei tre mesi precedenti la data di entrata in vigore della presente disposizione.
Resta fermo (così come già stabilito per le assunzioni decorrenti nel 2015) che: il beneficio non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote contributive previsti dalla normativa vigente; si applicano gli ordinari criteri di calcolo ai fini della misura del trattamento pensionistico.
Il beneficio (in conformità alla disciplina dello sgravio per le assunzioni intercorrenti nel 2015 e ad esclusione, come accennato, del settore agricolo) non è subordinato ad un meccanismo di ordine cronologico di presentazione delle domande e di connessa verifica di sussistenza di risorse residue.
L’INPS provvede al monitoraggio del numero di contratti beneficiari dell’incentivo di cui al comma 1 e delle conseguenti minori entrate contributive, inviando relazioni mensili al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell’economia e delle finanze.
Il comma 2 dispone che lo sgravio di cui al comma 1 si applichi in favore dei datori di lavoro del settore agricolo nel rispetto dei limiti finanziari ivi indicati, i quali sono distinti per le assunzioni come impiegati e dirigenti e, rispettivamente, come operai agricoli. Per questi ultimi, si esclude il beneficio (in conformità alla disciplina dello sgravio per le assunzioni di operai agricoli decorrenti nel 2015) qualora nel corso del 2015 i soggetti risultassero occupati a tempo indeterminato o risultassero iscritti negli elenchi nominativi dell’anno 2015 per un numero di giornate di lavoro pari o superiore a 250 (in qualità di lavoratori a tempo determinato presso qualsiasi datore di lavoro agricolo). Riguardo alla prima fattispecie di esclusione, si rileva che la circolare n. 17 del 29 gennaio 2015 dell’INPS fa riferimento ai rapporti a tempo indeterminato ricorrenti nell’anno precedente presso i soli datori di lavoro agricolo. Sembra opportuno che tale specificazione sia posta direttamente dalla norma legislativa.
Lo sgravio nel settore agricolo è riconosciuto, secondo le modalità, il monitoraggio e le relazioni di cui al comma 3, fino al raggiungimento dei limiti finanziari summenzionati ed in base all’ordine cronologico di presentazione delle domande.
Ai sensi del comma 4, il datore di lavoro che subentri nella fornitura di servizi in appalto e che assuma, ancorché in attuazione di un obbligo stabilito da disposizioni di legge o della contrattazione collettiva, un lavoratore per il quale il datore di lavoro cessante fruisca dello sgravio contributivo di cui ai commi 1 e 2 preserva il diritto alla fruizione dello sgravio medesimo, nei limiti della durata e della misura che residui (considerando, a tal fine, anche il rapporto di lavoro con il datore cessante). La norma di cui al comma 4 costituisce, quindi, anche una deroga ai princìpi summenzionati di esclusione del beneficio. Sembrerebbe opportuno specificare: se si intenda far riferimento anche ai casi in cui il subentro riguardi un contratto rientrante nella nozione civilistica di somministrazione, anziché di appalto; se la norma di cui al comma 4 (dal momento che esso si limita a richiamare i precedenti commi 1 e 2) riguardi anche i casi in cui lo sgravio contributivo sia stato riconosciuto (al primo datore di lavoro) in relazione ad un’assunzione decorrente nel 2015.
– Articolo 16, commi 1-6
(Dotazioni organiche dirigenti pubblici e disposizioni in materia di conferimento di incarichi)
Le facoltà assunzionali del triennio 2016-2018 delle amministrazioni dello Stato sono prioritariamente finalizzate all’assunzione di: 50 dirigenti; 50 unità nei profili iniziali della carriera prefettizia; 10 avvocati dello Stato e 10 procuratori dello Stato (co.1).
Al contempo, sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche che risultano vacanti alla data del 15 ottobre 2015 (co. 2). Tale disposizione non si applica al personale: in regime di diritto pubblico; delle città metropolitane e delle province adibito all’esercizio di funzioni fondamentali; degli uffici giudiziari; dell’area medica e veterinaria e del ruolo sanitario del Servizio Sanitario nazionale; delle agenzie fiscali (co. 6). Continuano inoltre a trovare applicazione le discipline di settore per il comparto scuola e AFAM nonché per le Università (co. 5).
Con D.P.C.M., da adottare entro il 31 gennaio 2016, è effettuata la ricognizione delle dotazioni organiche dirigenziali delle amministrazioni dello Stato, delle agenzie, degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca, nonché degli enti pubblici individuati dall’articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001 (co. 3).
Per quanto riguarda le regioni e gli enti locali è previsto che venga effettuata, secondo i rispettivi ordinamenti, una ricognizione delle relative dotazioni organiche dirigenziali, nonché il riordino delle competenze degli uffici dirigenziali, eliminando eventuali duplicazioni.
Gli incarichi dirigenziali possono inoltre essere attribuiti, senza alcun vincolo di esclusività, anche al dirigente dell’avvocatura civica e della polizia municipale.
Nel caso in cui la dimensione dell’ente risulti incompatibile con la rotazione dell’incarico dirigenziale non trovano inoltre applicazione le disposizioni da adottare ai sensi della legge c.d. anticorruzione (di cui all’art. 1, co. 5, L. 190/2012), con riferimento ai dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione (co. 4).
Le facoltà assunzionali (comma 1) del triennio 2016-2018 delle pubbliche amministrazioni interessate sono prioritariamente finalizzate all’assunzione di:
50 dirigenti mediante apposite procedure selettive gestite dalla Scuola nazionale dell’amministrazione – SNA (oltre ai dirigenti vincitori di procedure selettive già gestite dalla SNA);
Si ricorda che la legge di riforma della pubblica amministrazione (L. 124/2015) prevede una riforma della SNA, da attuare con l’adozione dei decreti legislativi ivi previsti e secondo i principi e criteri direttivi ivi stabiliti (art. 11) e che l’art. 33, comma 37, del disegno di legge in commento prevede la nomina di un Commissario per la gestione della Scuola (con la decadenza degli attuali organi) nelle more della riforma.
50 unità nei profili iniziali della carriera prefettizia;
10 avvocati dello Stato e 10 procuratori dello Stato.
Finalità della norma è quella di favorire il ricambio generazionale e l’immissione nella PA di personale altamente qualificato. Nella medesima direzione, altre disposizioni del disegno di legge di stabilità 2016 riguardano il reclutamento di professori e ricercatori universitari.
I criteri della procedura selettiva e della ripartizione tra le amministrazioni interessate del personale dirigenziale sono individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. Per l’adozione del D.P.C.M. non è stabilito un termine.
Al contempo (comma 2) sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche (di cui all’art. 1, co. 2, D.Lgs. 165/2001, come rideterminati ai sensi dell’art. 2 del D.L. 95/2012) che risultano vacanti alla data del 15 ottobre 2015.
Per espressa previsione della norma si tiene conto del numero dei dirigenti in servizio senza incarico o con incarico di studio, del personale dirigenziale in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o aspettativa.
Nella relazione tecnica si evidenzia che dall’attuazione delle previsioni dei commi 1 e 2 non scaturiscono effetti sui saldi di finanza pubblica.
Nel corso degli ultimi anni si sono registrati diversi interventi di riduzione del personale dirigenziale delle amministrazioni pubbliche.
Fra questi, l’articolo 2 del decreto-legge 95/2012 (convertito dalla legge 135/2012) che ha disposto la riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche delle amministrazioni dello Stato in misura non inferiore al 20 per cento per il personale dirigenziale di livello generale e di livello non generale e del 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico, per il personale non dirigenziale.
Al fine di semplificare ed accelerare il riordino organizzativo, solo per i ministeri, è stata prevista la possibilità di adottare i regolamenti di organizzazione con D.P.C.M., su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze (art. 2, comma 10-ter, del D.L. 95/2012), in deroga al procedimento ordinario stabilito dall’art. 17, co. 4-bis, della L. 400/1988 (nonché dall’art. 4 del D.Lgs. 300/1999) che prevede regolamenti governativi di delegificazione, adottati con D.P.R., sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia.
Dopo una serie di proroghe, il termine per avvalersi di tale possibilità è definitivamente scaduto il 28 febbraio 2014.
In attuazione di queste disposizioni sono stati adottati i regolamenti di organizzazione dei seguenti ministeri: Ministero dell’economia e delle finanze (D.P.C.M. 27 febbraio 2013, n. 67), Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (D.P.C.M. 27 febbraio 2013, n. 105), Ministero dello sviluppo economico (D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 158), Ministero della salute (D.P.C.M. 11 febbraio 2014, n. 59), Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (D.P.C.M. 11 febbraio 2014, n. 72), Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (D.P.C.M. 11 febbraio 2014, n. 98), Ministero del lavoro e delle politiche sociali (D.P.C.M. 14 febbraio 2014, n. 121), Ministero dei beni culturali (D.P.C.M. 29 agosto 2014, n. 171), Ministero della giustizia (D.P.C.M. 15 giugno 2015, n. 84) .
Per un’analisi ed un quadro di riepilogo degli interventi dei riduzione degli organici in attuazione del decreto-legge 95 del 2012 si veda la relazione della Corte di conti approvata con la delibera del 4 dicembre 2014.
La disposizione viene adottata nelle more dell’adozione dei decreti legislativi previsti dagli articoli 8, 11 e 17 della legge di riforma della PA (124/2015) nonché dell’attuazione delle disposizioni della legge di stabilità per il 2015 (art. 1, co. 422, 423, 424 e 425 L. 190/2014), che riguardano il personale delle province a seguito della riforma operata con la L. 56/2014 (che ha ridefinito funzioni e modalità di elezione degli organi delle province).
L’articolo 8 della L. 124/2015 delega il Governo ad adottare decreti legislativi per modificare la disciplina della Presidenza del Consiglio dei ministri, dei Ministeri, delle agenzie governative nazionali e degli enti pubblici non economici nazionali.
L’articolo 11 della L. 124/2015 delega il Governo ad adottare decreti legislativi per la revisione della disciplina in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici uffici, prevedendo, in primo luogo, l’istituzione del sistema della dirigenza pubblica, articolato in ruoli unificati e coordinati, aventi requisiti omogenei di accesso e procedure analoghe di reclutamento.
Si segnala che i criteri di delega dell’art. 11 prevedono, per la dirigenza dello Stato, la soppressione dell’attuale distinzione in prima e seconda fascia.
L’articolo 17 della L. 124/2015 reca una delega al Governo per il riordino e la semplificazione della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e dei connessi profili di organizzazione amministrativa secondo i criteri e principi ivi indicati.
I termini per l’esercizio delle predette deleghe legislative sono fissati in 12 o 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge 124/2015 (28 agosto 2015).
E’ escluso (comma 6) dalla previsione del comma 2 (indisponibilità dei posti dirigenziali vacanti):
il personale in regime di diritto pubblico di cui all’art. 3 del D.Lgs. 165/2001;
Tale personale è costituito dalle seguenti categorie: magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e delle Forze di polizia di Stato, personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, personale della carriera dirigenziale penitenziaria, professori e ricercatori universitari.
il personale delle città metropolitane e delle province adibito all’esercizio di funzioni fondamentali;
La legge individua le seguenti funzioni fondamentali delle province, quali enti con funzioni di area vasta (art. 1, co. 85, L. 56/2014): pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza; pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; raccolta ed elaborazione dati ed assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; gestione dell’edilizia scolastica; controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale.
Alle città metropolitane sono attribuite le funzioni fondamentali delle province, quelle proprie delle città metropolitane ed ulteriori funzioni alle stesse conferite dalla legge in base ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (art. 1, co. 44, co. 46, L. 56/2014). Le funzioni fondamentali proprie della città metropolitana sono: il piano strategico del territorio metropolitano di carattere triennale, che costituisce atto di indirizzo per i comuni e le unioni di comuni del territorio, anche in relazione a funzioni delegate o attribuite dalle regioni; pianificazione territoriale generale, comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture, anche fissando vincoli e obiettivi all’attività e all’esercizio delle funzioni dei comuni; strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano; a tale riguardo, la città metropolitana può, d’intesa con i comuni interessati, predisporre documenti di gara, svolgere la funzione di stazione appaltante, monitorare i contratti di servizio ed organizzare concorsi e procedure selettive; mobilità e viabilità; promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale; promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano;
il personale degli uffici giudiziari;
il personale dell’area medica e veterinaria e del ruolo sanitario del Servizio Sanitario nazionale;
il personale delle agenzie fiscali (di cui al decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 157).
Continuano inoltre a trovare applicazione le discipline di settore per il comparto scuola e AFAM nonché per le Università (comma 5).
Con D.P.C.M., da adottare entro il 31 gennaio 2016, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, è effettuata la ricognizione delle dotazioni organiche dirigenziali delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle agenzie, degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca, nonché degli enti pubblici individuati dall’articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001 (comma 3).
Per quanto riguarda le regioni e gli enti locali (comma 4) è previsto che venga effettuata, secondo i rispettivi ordinamenti, una ricognizione delle relative dotazioni organiche dirigenziali, nonché il riordino delle competenze degli uffici dirigenziali, eliminando eventuali duplicazioni.
Nella relazione tecnica si evidenzia che i possibili risparmi di spesa derivanti dall’attuazione delle misure di razionalizzazione del comma 4, non quantificabili a priori, rimangono in ogni caso acquisiti a miglioramento dei bilanci degli enti e sono destinati alle finalità di cui al comma 7.
Dopo la privatizzazione del pubblico impiego, che ha avuto inizio con il D.Lgs. 29/93 ed a seguito del nuovo riparto di competenze legislative definito dal Titolo V della Costituzione (L. cost. 3/2001), la giurisprudenza costituzionale ha ricondotto l’impiego pubblico regionale:
- all’ordinamento civile e, dunque, alla competenza esclusiva dello Stato, relativamente ai profili privatizzati del rapporto, dato che “la intervenuta privatizzazione e contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico vincola anche le Regioni” (sentenza n. 2/2004; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 380/2004, n. 233/2006, n. 95/2007, n. 189/2007 e n. 19/2013);
- all’ordinamento e organizzazione amministrativa delle regioni, e, quindi, alla competenza residuale regionale, relativamente ai profili “pubblicistico-organizzativi”. La Corte costituzionale ha sempre ricondotto in questo ambito la disciplina dei concorsi per l’accesso al pubblico impiego regionale, in ragione dei suoi contenuti marcatamente pubblicistici e la sua intima correlazione con l’attuazione dei principi sanciti dagli artt. 51 e 97 Cost. (sentenze n. 100/2010, n. 95/2008, n. 233/2006, n. 380/2004, n. 4/2004).
Si ricorda infine che recenti interventi normativi hanno riguardato la dirigenza regionale (art. 11 D.L. n. 90 del 2014, convertito da L. n. 114/2014) individuando un limite massimo – pari al 10% della dotazione organica – al numero di incarichi dirigenziali conferibili con contratti a tempo determinato a personale esterno all’amministrazione da parte delle regioni e (con riferimento alla dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa) dagli enti e dalle aziende del Servizio sanitario nazionale. Tali incarichi esterni sono attribuiti “previa selezione pubblica”.
E’ previsto altresì che, al fine di garantire la “maggior flessibilità” della figura dirigenziale nonché il corretto funzionamento degli uffici, il conferimento degli incarichi dirigenziali può essere attribuito “senza alcun vincolo di esclusività” anche al dirigente dell’avvocatura civica e della polizia municipale.
Riguardo all’attribuzione di incarichi al dirigente della polizia municipale si ricorda che l’ANAC, nell’orientamento n. 19 del 10 giugno 2015, ha precisato che “sussiste un’ipotesi di conflitto di interesse, anche potenziale, nel caso in cui al Comandante/Responsabile della Polizia locale, indipendentemente dalla configurazione organizzativa della medesima, sia affidata la responsabilità di uffici con competenze gestionali, in relazione alle quali compie anche attività di vigilanza e controllo”.
Relativamente all’attribuzione di incarichi al dirigente dell’avvocatura civica sembra doversi intendere che la norma faccia riferimento al dirigente “amministrativo” dell’avvocatura.
Il comma 4 prevede infine che, con la medesima finalità, non trovano applicazione le disposizioni adottate ai sensi dell’art. 1, co. 5, della legge c.d. anticorruzione (L. 190/2012) ove la dimensione dell’ente risulti incompatibile con la rotazione dell’incarico dirigenziale (con riferimento ai dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione).
In base al citato art. 1 co. 5, L. 190/2012 le pubbliche amministrazioni centrali definiscono e trasmettono al Dipartimento della funzione pubblica:
a) un piano di prevenzione della corruzione che fornisce una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione e indica gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio;
b) procedure appropriate per selezionare e formare i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi settori, la rotazione di dirigenti e funzionari.
Al comma 4, ai fini di evitare incertezze in sede applicativa, andrebbe valutata l’opportunità di prevedere un parametro dimensionale dell’ente, trattandosi di una deroga alla normativa anticorruzione.
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