Alla fine di marzo Davide Zanga, un imprenditore edile della Val Seriana, in provincia di Bergamo, ha finito di costruire una villa che ha richiesto una spesa di 50mila euro in rame. Due mesi e mezzo dopo, con le quotazioni di metà giugno, la stessa quantità di materiale gli costerebbe più di 70mila euro. «L’avessi saputo prima, mesi fa ne avrei comprati due tir», scherza.
Zanga guida una delle imprese edili più vecchie della Bergamasca, ha una trentina di dipendenti, e nonostante decenni di esperienza è la prima volta che si trova ad affrontare un aumento dei prezzi così improvviso. Dice che non è mai costato così tanto ristrutturare o costruire una casa: nel giro di poche settimane ha visto crescere sensibilmente il costo del legno per i tetti, del rame, del materiale isolante e dei tondini di acciaio per il cemento armato. «Sono un imprenditore e può sembrare paradossale, ma sto consigliando ai miei clienti di aspettare qualche mese prima di iniziare i lavori, perché fare preventivi è diventato impossibile e senza certezze è difficile capire cosa succederà».
Già alla fine del 2020 c’era stato un generale aumento dei prezzi delle materie prime. In molti paesi l’inizio della campagna vaccinale ha stimolato la ripresa dell’economia bloccata per un anno a causa della pandemia: le aziende, soprattutto in Cina e negli Stati Uniti, hanno iniziato a comprare enormi quantità di materiale per produrre qualsiasi cosa, dalle scarpe agli smartphone. Sono ripresi anche i cantieri di opere pubbliche e grandi operazioni immobiliari che hanno richiesto legno e acciaio in abbondanza, con ripercussioni che hanno coinvolto anche il trasporto delle merci. Con poco materiale disponibile sul mercato, il prezzo si è alzato rapidamente.
Anche in Italia nei mesi scorsi si sono iniziati a vedere gli effetti di questi rincari, ma le conseguenze più evidenti sono arrivate dall’inizio di maggio, quando il governo ha allentato le misure restrittive decise per limitare il contagio e sono stati aperti molti nuovi cantieri. Sono comparse gru e ponteggi un po’ ovunque, nei piccoli comuni e nelle grandi città: gran parte di questi lavori sono stati incentivati dal “superbonus 110 per cento” e dal bonus facciate, due agevolazioni fiscali per gli interventi di ristrutturazione che migliorano l’efficienza energetica degli immobili. Questa spinta, unita all’andamento dei prezzi in tutto il mondo, ha reso introvabili e costosi i materiali di cui non si può fare a meno in un cantiere.
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L’Ance, l’associazione nazionale dei costruttori edili, ha diffuso un monitoraggio che mostra alcuni dei rincari più evidenti. A preoccupare i costruttori è soprattutto il prezzo dell’acciaio, in particolare per i tondini, lunghe barre zigrinate che costituiscono l’armatura del cemento armato. Secondo gli ultimi dati del Meps, un osservatorio indipendente internazionale, il prezzo dei tondini è cresciuto del 15,4 per cento da aprile a maggio e del 150 per cento dallo scorso novembre. In altri paesi la crescita del prezzo per i tondini sembra essere più contenuta, ma non meno significativa: in Germania è aumentato dell’84,8 per cento tra novembre e maggio, e in Francia dell’81,8 per cento, sempre secondo una rilevazione pubblicata dall’Ance.
Anche comprare altri materiali è diventato improvvisamente proibitivo: il polietilene, che in edilizia viene utilizzato principalmente come isolante, ha avuto un incremento del 110 per cento tra novembre e aprile, il rame del 29,8 per cento, il legname è passato da quattrocento a mille euro al metro cubo.
«C’è un boom generale della domanda dell’acciaio: il mercato è ripartito molto forte con i magazzini che erano vuoti a causa del calo di produzione dovuto all’epidemia», conferma Flavio Marocco, responsabile marketing del Gruppo Pittini di Osoppo, in provincia di Udine. Il Gruppo Pittini è il maggior produttore italiano dei tondini per il cemento armato: ogni anno dalle sue acciaierie escono tre milioni di tonnellate dei cosiddetti “acciai lunghi”. I suoi prodotti vengono utilizzati in edilizia, nel settore della meccanica, e vengono spediti in tutto il mondo. Marocco spiega che servirà qualche mese per riequilibrare la sproporzione tra domanda e offerta. «Il nostro lavoro era fortemente sbilanciato verso l’estero e negli ultimi mesi abbiamo notato buoni segnali di ripresa in Italia. Ma con questa continua crescita della domanda è difficile capire cosa succederà nei prossimi mesi».
Una delle materie prime più ricercate è il legno, che in Italia viene importato dall’estero, da dove arriva l’80 per cento di elementi strutturali utilizzati nell’edilizia. Secondo i dati di Assolegno, il settore forestale domestico porta solo lo 0,08% all’economia nazionale in termini di valore aggiunto nella produzione: questa scarsa rilevanza espone il mercato dell’edilizia alle oscillazioni internazionali dei prezzi.
Per frenare l’instabilità di mercato, l’associazione propone di tornare a utilizzare il legname italiano come accadeva in in passato. Secondo Angelo Marchetti, presidente Assolegno, «negli ultimi 70 anni la superficie forestale italiana aumentata notevolmente, passando da 5,6 milioni di ettari del 1956 a 11,1 milioni nel 2015, occupando in termini percentuali il 38% della superficie nazionale, ma è un patrimonio che non viene sfruttato». Una proposta che ovviamente dovrebbe tenere conto dei principi di sostenibilità ambientale, e che necessiterebbe quindi di una regolamentazione ben studiata.
L’altra conseguenza di queste condizioni inedite del mercato è la difficoltà di trovare materiale disponibile in poco tempo. Dopo l’apertura di molti cantieri legati al superbonus è diventato difficile trovare i pannelli isolanti per le facciate, essenziali per migliorare la classe energetica dell’abitazione e ottenere l’agevolazione fiscale. Mancano anche i ponteggi. Dalla Comipont, uno dei più noti produttori italiani di ponteggi per l’edilizia, spiegano che la consegna degli ordini ricevuti in questo periodo è fissata a ottobre. Negli ultimi mesi hanno registrato un aumento di produzione del 300 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. «Ormai non si discute più sul prezzo, ma sulla data di consegna: il superbonus nelle regioni del Nord e il bonus facciate in quelle del Sud stanno spingendo la domanda», spiegano fonti dell’azienda.
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I tempi per le complesse pratiche burocratiche e le scadenze per accedere alle misure, già prorogate dal governo, hanno creato una certa ansia nei clienti che sono disposti a pagare molto di più rispetto alle quotazioni di pochi mesi fa perché tranquillizzati dalla copertura dei costi con lo sconto fiscale. I costruttori sono più esposti, perché spesso hanno emesso preventivi mesi fa, sulla base di prezzi vecchi, e ora rischiano di lavorare in perdita per sostenere gli aumenti delle materie prime. In molti casi le imprese, pur di non perdere un cantiere, affidano i lavori in subappalto contando sulle coperture finanziarie garantite dalle banche. Tutti questi effetti si sono sviluppati nel giro di poche settimane e secondo molti esperti causeranno una bolla speculativa nel mercato delle ristrutturazioni.
L’Ance, però, sostiene che il superbonus abbia avuto un impatto secondario sull’aumento dei prezzi. Il presidente Gabriele Buia è convinto che un ruolo centrale in questo andamento sia causato dalla guerra commerciale tra le grandi potenze economiche, Cina e Stati Uniti. «In questi due paesi la ripresa è stata molto forte: già da qualche mese le loro imprese hanno dimostrato una grande volontà di tornare a marciare e questo ha portato a condizionare il mercato», dice Buia. «Aggiungiamo anche la speculazione finanziaria, l’incredibile aumento dei prezzi del trasporto merci, e capiamo come mai siamo in queste condizioni. Non è un caso che Francia e Germania siano nella nostra stessa situazione».
Nei tanti appelli diffusi nelle ultime settimane, l’associazione dei costruttori ha parlato del rischio di pesanti ritardi nella conclusione delle opere e, nel caso le condizioni peggiorassero ulteriormente, di un generalizzato prolungamento dei cantieri pubblici e privati. Per questo ha chiesto al governo di intervenire con l’introduzione di compensazioni in corso d’opera. È un meccanismo già sperimentato nel 2008 e prevede una rilevazione dei prezzi ogni tre mesi: se aumentano più dell’8 per cento rispetto al trimestre precedente, il rincaro viene compensato dal committente, pubblico o privato, mentre in caso di un calo del prezzo superiore all’8 per cento l’impresa restituisce la differenza al committente. Secondo il Sole 24 Ore, questa norma è all’esame dei ministeri dell’Economia e delle Infrastrutture e potrebbe essere inserita nel prossimo decreto legge che il ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, dovrebbe portare nei prossimi giorni in Consiglio dei ministri.
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