Basterebbe entrare in un cantiere edile e fermarsi qualche ora a parlare con i muratori, i progettisti, i proprietari, per rendersi conto delle conseguenze del superbonus. L’incentivo ha, indubbiamente, dato una sferzata positiva ad un settore in crisi da anni, che stava perdendo addetti e fatturato. Ha rimesso in moto una macchina complessa e potente, restituendo ottimismo. Ma ha anche creato problemi enormi che si sarebbero potuti facilmente evitare. Prima di tutto la difficoltà a reperire i materiali necessari per i lavori di efficientamento energetico, come isolanti, legno, ferro, rame ecc.. Sembra ci sia stata una corsa all’accaparramento che ha anche provocato l’esplosione dei prezzi di materiali e servizi, come il noleggio dei ponteggi, spesso raddoppiati o triplicati nel giro di poche settimane. Anche il meccanismo dai tetti massimi agevolabili ha, da un lato, portato all’esplosione dei costi preventivati dalle aziende, che si sono immediatamente allineati ai valori ufficiali, dall’altro, con il successivo aumento dei prezzi dei materiali, ha messo in difficoltà chi non riesce più a rispettare i prezziari ufficiali, che richiedono tempi lunghi per l’aggiornamento. Infine c’è la complessità di una normativa che, nonostante i timidi tentativi di semplificazione, mantiene un tasso di farraginosità elevatissimo: l’abolizione dell’obbligo di verificare la conformità urbanistica, per esempio, rischia di trasformare la Cila (comunicazione di inizio lavori asseverata) in un’autodenuncia delle difformità dell’edificio rispetto alle prescrizioni urbanistiche, che potranno essere facilmente rilevate dagli uffici comunali. E’ inoltre una semplificazione inutile in tutti quei lavori che possono beneficiare, oltre che del superbonus, anche di altre agevolazioni, come il bonus facciate del 90%, il bonus casa del 50% o l’ecobonus del 65 o del 50%. In tutti questi casi la certificazione della conformità urbanistica risulta infatti ancora necessaria per ottenere i benefici fiscali.
La oggettiva difficoltà di decifrare la normativa, testimoniata dalle diecimila richieste di chiarimento arrivate all’Agenzia delle entrate, unita ai problemi sopra evidenziati, è il motivo per cui il numero delle richieste di superbonus già attivate è largamente inferiore alle previsioni: circa 50 mila domande a fronte di un potenziale che supera i dieci milioni. Ma il nodo fondamentale da sciogliere, che sarebbe in grado di diluire gran parte delle altre problematica è quello dei tempi. Una miniproroga al 2022 è stata concessa, ma evidentemente non basta, anche perché ancora subordinata all’approvazione europea. Tutti gli operatori hanno richiesto di allungare i tempi di realizzazione dei lavori di almeno due o tre anni, ma il governo finora si è limitato alle promesse che, anche se sono arrivate dai vertici dell’esecutivo, non sono sufficienti a garantire una gestione più serena dell’operazione: così il superbonus, nonostante le ingenti risorse impegnate (finora 18 miliardi) rischia di trasformarsi in un flop annunciato. In discussione ci sarebbe anche la revisione dei meccanismi dell’agevolazione, che potrebbe diventare permanente, in cambio di una minor convenienza dal punto di vista fiscale (si ipotizza una detraibilità al 75 o 80%). Così, nell’incertezza, molti possibili interventi vengono rinviati, mentre il settore rischia comunque di surriscaldarsi a causa dei tempi ristretti.
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