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IL SISMABONUS TRAINA SOLO IL FOTOVOLTAICO

IL SISMABONUS TRAINA SOLO IL FOTOVOLTAICO

30 marzo 2021

A cura di Luciano Ficarelli

Il “sismabonus” è un’agevolazione prevista dall’articolo 16 del D.L. 4 giugno 2013, n. 63, sugli interventi per l’adozione di misure antisismiche con una detrazione del 50%, e del 70% o 80% se vi è una riduzione del rischio sismico rispettivamente di 1 o 2 classi, del 75% o 85% se la riduzione di 1 o 2 classi di rischio è realizzata su parti comuni di edifici condominiali, con il limite di 96 mila euro per immobile.

Con il D.L. 34/2020 l’aliquota di detrazione è stata elevata al 110% per i lavori effettuati sui soli edifici residenziali o che li diventino dopo il cambio di destinazione d’uso post-interventi.

Per gli approfondimenti sull’argomento si rimanda ai miei articoli “Sismabonus 110%: quando si può applicare sulle unità non residenziali” e “Sismabonus – demolizione e ricostruzione di fabbricati” precedentemente pubblicati.

Qui si vuole, invece, porre l’attenzione su un recente interpello proposto all’Agenzia delle Entrate (n. 210 del 25 marzo 2021) la cui risposta può essere fuorviante se non letta con attenzione ma che lascia, comunque, qualche dubbio interpretativo.

È il caso di un contribuente che vuole demolire e ricostruire una unità collabente in categoria F/2 e due pertinenze in categoria C/2 e C/6 per trasformarle in due unità abitative, sulle quali vuole installare un impianto fotovoltaico e i relativi impianti di accumulo, oltre a delle colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici.

L’Agenzia delle Entrate ha confermato quanto già ribadito più volte, sia per quanto riguarda la possibilità di usufruire del sismabonus con aliquota maggiorata al 110%, sia per quanto riguarda il numero delle unità (3 in questo caso) da moltiplicare per il massimo di spesa ammesso (€ 96 mila x 3 = € 288 mila). Come anche il limite dei 48 mila euro per 3 unità immobiliari sia per l’impianto fotovoltaico che per gli impianti di accumulo.

Nel corpo del testo, come sempre ha fatto nei suoi documenti di prassi, l’Agenzia delle Entrate parla indifferentemente di superbonus e sismabonus più volte e in vari contesti, creando confusione nella lettura. Basterebbe leggere il comma 4 dell’art. 119 del D.L. 34/2020, il quale afferma che “per gli interventi di cui ai commi da 1-bis a 1-septies dell’articolo 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, l’aliquota delle detrazioni spettanti è elevata al 110 per cento per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022”, per comprendere che il termine “superbonus” non è la stessa cosa di “sismabonus”. Infatti, il D.L. 34/2020 rimanda solo a quanto già normato a suo tempo sul sismabonus, senza alcuna novella se non nell’aliquota maggiorata.

Peraltro, il termine “superbonus” nell’art. 119 del D.L. 34/2020 è utilizzato solo al comma 14 bis a proposito del cartello da esporre durante i lavori di recupero edilizio. Poiché nell’interpello si tratta solo ed esclusivamente di sismabonus, l’Agenzia avrebbe potuto essere più precisa e utilizzare il termine “ecobonus” più coerente alle norme esistenti pre-Decreto Rilancio.

Questa assimilazione dei termini, utilizzata ormai in ogni suo documento di prassi, ha creato in questo caso specifico delle perplessità nel punto in cui l’Agenzia afferma che “con riferimento agli interventi trainati, come chiarito dalla citata circolare n. 24/E del 2020, l’Istante potrà fruire del Superbonus solo per l’istallazione di impianti solari fotovoltaici e di sistemi di accumulo”.

In effetti, l’Agenzia delle Entrate ha fatto riferimento alla previsione legislativa che prevede il “traino” del fotovoltaico e dei sistemi di accumulo come esclusivi interventi nel caso si facciano dei lavori per il miglioramento statico dell’edifico. E così è. Sarebbe stata più chiara se non si fosse fatto riferimento al termine “superbonus” perché è invece possibile usufruire di tutti gli altri interventi trainati quando a seguito di demolizione e ricostruzione tra gli interventi richiesti dal committente ci sono anche quelli per l’efficientamento energetico (isolamento termico e impianti di riscaldamento).

Questo, nell’interpello, si intuisce dall’omissione della menzione delle colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici tra gli interventi ammessi.

Altra osservazione sulla risposta all’interpello in argomento, riguarda il limite di 2.400 euro per KW di potenza nominale dell’impianto solare fotovoltaico. L’Agenzia delle Entrate nel documento afferma che “in merito alle ipotesi di opere effettuate tramite “demolizione e ricostruzione”, la citata circolare n. 24/E del 2020, nel chiarire l’ambito di applicazione oggettivo del Superbonus, ha precisato che l’agevolazione spetta anche a fronte di interventi realizzati mediante demolizione e ricostruzione inquadrabili nella categoria della ” ristrutturazione edilizia” ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”.

Il comma 5 dell’art. 119 del D.L. 34/2020 afferma che “in caso di interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere d), e) e f), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, il predetto limite di spesa è ridotto ad euro 1.600 per ogni kW di potenza nominale”.

Dal combinato disposto delle due norme, sembra che in caso di demolizione e ricostruzione, utilizzando il sismabonus maggiorato al 110%, l’installazione dell’impianto fotovoltaico abbia una spesa massima di 48 mila euro nel limite di 1.600 euro per ogni kW di potenza nominale, in quanto i lavori di “demolizione e ricostruzione” sono contemplati esclusivamente nella lettera d) dell’articolo 3, comma 1, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” tra gli interventi di “ristrutturazione edilizia”.

Nella risposta all’interpello 210/2021, invece, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che “l’Istante dovrà considerare …(omissis)… nel caso prospettato il limite di spesa: …(omissis)… – per l’installazione degli impianti fotovoltaici di 144.000 euro (euro 48.000 per 3) e comunque nel limite di spesa di euro 2.400 per ogni kW di potenza nominale dell’impianto solare fotovoltaico”.

A quale norma si sarà adeguata l’Agenzia delle Entrate per affermare che una demolizione e ricostruzione non rientra esclusivamente in interventi di ristrutturazione edilizia? Proviamo a dare risposta.

Un interessante riferimento è dato dall’art. 2, comma 1, lettera m) del D.Lgs. n. 28/2011 in attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, in cui viene definito edificio sottoposto a ristrutturazione rilevante quello che ricade in una delle seguenti categorie:

  • edificio esistente avente superficie utile superiore a 1000 metri quadrati, soggetto a ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l’involucro;
  • edificio esistente soggetto a demolizione e ricostruzione anche in manutenzione straordinaria.

In questi casi, vige l’obbligo di cui all’art. 11 (Obbligo di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici di nuova costruzione e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti) del D.Lgs. n. 28/2011, per il quale i progetti di ricostruzione devono prevedere l’utilizzo di fonti rinnovabili per la copertura dei consumi di calore, di elettricità e per il raffrescamento secondo i principi minimi di integrazione e le decorrenze di cui all’allegato 3 del decreto stesso.

Ma il vincolo di legge è, per logica, contrapposto all’incentivo. In pratica, sarebbe come dire: se rispetti la legge ti do un premio in denaro. Per cui, considerati i principi minimi di integrazione previsti dal D.Lgs. n. 28/2011, il massimale di 1.600 euro a KW di potenza nominale è un invito ad installare un impianto fotovoltaico più grande del minimo previsto per legge, pur sempre nei limiti della cubatura aggiuntiva previsti dalle norme edilizie regionali.

In tutti gli altri casi esclusi da quelli sopra previsti, dove non c’è l’obbligo della quota minima di rinnovabile, il titolo abilitativo edilizio che spesso si presenta è quello della manutenzione straordinaria degli edifici, titolo che consente l’applicazione del limite di 2.400 €/kW ai sensi dell’art. 119 D.L. 34/2020.

La plausibile motivazione sopra riportata si scontra però con la giurisprudenza in materia edilizia che ha preso posizioni rigide che potrebbero creare problemi in fase di ottenimento del titolo abilitativo per l’avvio dei lavori.

Più vicina al caso dell’interpello, ma in senso contrario, è l’ipotesi espressa dai giudici del T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 4 dicembre 2020 n. 852, che qualificano come interventi di ristrutturazione edilizia quelle opere che determinano l’ampliamento volumetrico dell’edificio preesistente, essendo l’aumento di volumetria incompatibile con il concetto di manutenzione straordinaria. In particolare, secondo i giudici del Tar Lombardia, «l’intervento è consistito in “un insieme sistematico di opere” che ha portato “ad un organismo edilizio diverso dal precedente”, determinando un risultato assai lontano dalla funzione meramente conservativa propria della manutenzione straordinaria, e rientrante pienamente, per converso, nella definizione di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3 del T.U.E.».

È interessante sottolineare che nel caso di specie l’intervento aveva determinato l’ampliamento dell’edificio preesistente per mc 66,96, pari all’8,70% del volume complessivo.

La stessa sentenza ne ha richiamato un’altra dello stesso tenore, T.A.R. Milano, sez. II, 06/09/2018, n. 2049, nella quale è stato deciso che «L’ampliamento di un balcone di circa 50 centimetri in larghezza per l’intera lunghezza di 4 metri, con la conseguente realizzazione di una maggiore superficie di 2 metri quadrati, eccede i limiti della manutenzione straordinaria. Ciò in quanto l’intervento non è diretto ad una mera finalità conservativa, riguardante il ripristino o il rinnovamento di elementi dell’edificio, ma comporta la formazione di ulteriore superficie utile, all’esterno del volume del fabbricato, rispetto a quanto previsto dal titolo».

Il concetto era stato già sentenziato dai giudici di grado superiore nel lontano 1996 (Consiglio di Stato, sez. V, 17 dicembre 1996, n. 1551), secondo i quali «gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia».

Non resta che attendere eventuali chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate per l’esatta applicazione dei limiti di spesa indicati nell’art. 119, comma 5, D.L. 34/2020.

 

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