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Mobilità urbana: elogio dell’ebike e del suo auspicabile “superciclo” – Forumpa – Il Forum della Pubblica Amministrazione

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Leggo con piacere e con interesse ogni nuova analisi in tema di mobilità dolce, lenta, sostenibile. Partecipo alle riflessioni di tanti gruppi social che si interrogano su come modificare il modello attuale di mobilità urbana, prevalentemente centrata sull’uso individuale dell’automobile. Condivido le preoccupazioni, il risentimento, la rabbia, di chi da tale modello si sente discriminato, impaurito, limitato nel proprio desiderio di muoversi a piedi o con mezzi leggeri, poco ingombranti, poco o per nulla impattanti. Credo che stia crescendo di intensità il conflitto tra gli esegeti di questa nuova “sensibilità urbana” e tutti coloro che – per i motivi più vari – se ne sentono distanti.

Ma c’è una domanda che mi frulla in testa da qualche tempo e che dà origine a questa riflessione: queste sensibilità emergenti e tutto ciò che stanno determinando (adesioni, conflitti, posizionamenti, ecc.) saranno generatrici di cambiamento? Tra dieci o vent’anni anni vivremo in città almeno in parte diverse? Quote importanti di persone sposeranno concretamente un nuovo paradigma trasportistico rinunciando all’idea di sedersi su un’auto per qualsiasi esigenza di spostamento? Le istituzioni locali “produrranno” il cambiamento o almeno vi aderiranno accettando di accompagnarlo con le “giuste carote” per ciclisti e pedoni e con “sacrosanti bastoni” per gli irriducibili dell’auto, soprattutto per quelli più indisciplinati?

Io sinceramente non credo, o perlomeno non credo che questo si possa determinare grazie all’affermazione di un nuovo “credo ciclistico” (dovrei dire ideologia, ma ho troppa paura ad utilizzare questa parola). Assistiamo oggi, evidentemente, alla presa di distanza di una minoranza nei confronti di una maggioranza. Una minoranza che diventa via via più sicura di sé, delle proprie posizioni, dei propri diritti. Una minoranza che si sente dalla parte giusta della storia e che per questo associa alle proprie rivendicazioni “categoriali” una voce politica sempre più forte, che si alimenta nell’analisi critica di un modello di mobilità che mostra tutti i suoi limiti, la sua insensatezza, la sua violenza. Una minoranza particolarmente attiva sia nella pratica” che nella predica, che tuttavia stenta a farsi “minoranza trainante”.  Il “corpaccione” automunito e autodipendente rimane larghissimamente maggioritario, con un “potere ponderale” sovrastante. La forza delle buone idee e delle buone prassi si scontra con il peso di un pachiderma sonnacchioso, ancorato alle proprie abitudini ultradecennali.

In generale sono convinto – e lo dico da praticante – che chi si sposta prevalentemente in bicicletta affondi le sue motivazioni nel fatto di…provare piacere. E’ un piacere multidimensionale: piace il fatto di sentirsi liberi, di sfuggire facilmente ad ogni forma di ingorgo, di avere tempi di spostamento certi, di non avere il problema di posizionare un mezzo ingombrante, di viaggiare silenziosi, di muovere il proprio corpo mantenendolo forte e agile, di vedere la città dal vivo e non in vetrina, di risparmiare del denaro, di sentirsi adeguati al contesto, di contribuire alla qualità della vita, di proteggere il clima. Insomma, non c’è neppure l’ombra del sacrificio, solo godimento e autocompiacimento.

E viene spontaneo dire al pachiderma: “dai, prova anche tu!”. Ma lui non ci pensa neppure per almeno due motivi: da un lato perché si concentra sul prezzo che pagherebbe per tutto ciò: fatica, disagio, paura, ripensamento, riorganizzazione, alterazione di abitudini, insomma, qualcosa che ritiene davvero insostenibile. Dall’altro, perché si paleserebbe l’ombra del “ritorno al passato”, qualcosa da cui ci si è affrancati con la motorizzazione di massa.  Per queste persone, e io penso siano la maggioranza, il progresso è una linea retta ascendente. L’idea di qualcosa che possa assomigliare in qualche modo alla Roma di “Ladri di biciclette” o alla Pechino degli anni ’70 gli fa accapponare la pelle. Il passaggio da un modello “bici+tram” ad uno “tutti in auto appassionatamente” è considerato ancora evolutivo. Il ritorno alla bicicletta certamente no, per non dire del trasporto collettivo che pare definitivamente affossato dalla paura del contagio.

Ma comunque devo dire – provando ad essere sincero fino in fondo – che il ritorno alla bicicletta come modalità di spostamento ideale nelle nostre città non convince neanche me. O meglio, sarei ben contento se crescesse molto la quota di coloro che compiono questa scelta (e magari diventasse maggioritaria), ma non credo sinceramente che possa avvenire. Per carità, so benissimo che in alcuni contesti sta funzionando e che ci sono città del Nord Europa dove il 20%-30% degli spostamenti urbani avvengono seduti in sella e pedalando. Ma sono città dove una ulteriore e maggioritaria quota della domanda di spostamento trova soddisfazione grazie a reti capillari ed efficienti di trasporto collettivo. Reti che hanno reso inutile, diseconomica, irrazionale, la scelta di spostarsi alla guida di un grosso veicolo a motore. E che, conseguentemente, hanno consentito alle amministrazioni di potenziare le azioni per la ciclabilità, dalla destinazione di spazio alla limitazione per le auto private.

E allora, rimanendo realista, penso che nelle grandi città italiane aumenterà ancora un po’ la quota di coloro che si spostano in bicicletta, ma questo avrà ben pochi impatti sul sistema complessivo della mobilità. A meno che, e qui sta la mia speranza, non si inneschi una sorta di “superciclo” delle ebike, ovvero delle biciclette a pedalata assistita. Ci sono diversi elementi che possono sostenere un’ipotesi del genere, che per il sottoscritto equivale anche ad un auspicio:

  • in primo luogo abbiamo a che fare con un “bene nuovo” che incorpora valori, funzioni e modalità di utilizzo mai visti prima. Nessun nostalgico ritorno, dunque, agli anni d’oro della bici in città, a Vittorio De Sica o a Mao Zedong;
  • in secondo luogo, è un bene che contiene tutti i plus di cui ho detto prima (e che sintetizzo con la parola “felicità”), ma non il più terribile tra i minus, ossia la fatica, il disagio fisico;
  • in terzo luogo è un bene adatto a tutti o quasi tutti. In qualche modo se si prescinde dal prezzo di accesso – lo si può ritenere più democratico di una semplice bicicletta. E comunque, con un migliaio di euro si entra in quel mondo e si esce da quello dei “forzati dell’auto”. Tanta roba, a ben guardare.

Complice il bonus mobilità nel 2020 sono state vendute in Italia più di 2 milioni di biciclette (+17% rispetto al 2019). Di queste circa 280.000 sono ebike. Riguardo a quest’ultime ci sono concrete speranze che non vengano destinate al loisir domenicale, ma che circolino davvero, quotidianamente, sostituendo altre modalità di trasporto.  Il trend è in crescita se si considera che nel 1° semestre del 2021 ne sono state vendute altre 157 mila (+12%).

Insomma, nell’ebike c’è un concentrato di innovazione sociale che può renderla la vera protagonista della “rivoluzione a pedali”. Andrebbe sostenuta in tutti i modi possibili proprio la sua ampia platea di potenziali utenti.

Mentre stiamo per catapultarci nella “nuova città dell’auto” – elettrica ma ugualmente ingombrante e pericolosa – abbiamo in mano la killer application per dirottare mansuetamente e spontaneamente sulle due ruote quote importanti di cittadini. Il 6% circa degli italiani maggiorenni ha manifestato l’intenzione di acquistare a breve una bicicletta (indagine Censis maggio 2021). E’ un mercato potenziale di circa 3 milioni di consumatori di cui almeno mezzo milione potrebbe rivolgersi alle ebike. Mi sembra un’occasione da sfruttare a fondo.

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