La Camera ha approvato ieri in maniera definitiva, con 355 voti favorevoli e 45 contrari, una legge di bilancio da oltre 36 miliardi di euro che ha incassato due scioperi generali, uno della scuola (10 dicembre) e uno delle categorie rappresentate dalla Cgil e dalla Uil (16 dicembre). Insieme in sindacati hanno contestato sia l’assenza di provvedimenti significativi per aumentare i salari del personale scolastico (350 euro sotto la media Ocse) mentre si daranno miliardi alle imprese per costruire le infrastrutture con il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) sia l’idea di redistribuzione alla rovescia della riforma fiscale dell’Irpef che dà di più ai redditi tra i 42 e i 54 mila euro e meno all’85% di lavoratori dipendenti e pensionati. È questa l’impronta di classe una manovra sbilanciata più sul lato delle imprese, concentrata sulla tutela dei redditi medio-alti e dei diritti dei proprietari, con un impatto nullo sui redditi più bassi, quelli definiti «incapienti», e minimo su quelli medio-bassi già resi più insicuri dal lavoro povero e da due anni di pandemia.
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NEL REBUS di micronorme eterogenee e bonus ispirati a un’economia neoliberale fatta di incentivi e non di investimenti (Bonus idrico, bonus tv, bonus mobili, bonus facciate, bonus verde, bonus diciottenni, bonus affitti) colpisce l’uso anti-popolare dei criteri Isee: sempre più stringenti per i poveri che chiedono il cosiddetto «reddito di cittadinanza» (rifinanziato con 1 miliardo) e esteso in maniera universale nel caso dell’«assegno unico per i figli» che partirà tra gennaio e marzo 2022, anche se la platea potenziale dei «perdenti» nel passaggio dagli assegni familiari (1 milione di persone) sarà indennizzata al 100% solo per un anno. Tanto più ci si è accaniti in questi mesi contro i beneficiari del «reddito di cittadinanza», per cui è previsto un taglio del sussidio dopo 6 mesi anche se non avranno offerte di lavoro, tanto più sono stati premiati i proprietari di «villette» e seconde case ai quali è stato eliminato il tetto Isee di 25 mila euro per il «superbonus 110 per cento».
LA PRIMA, e forse ultima, manovra del governo Draghi avrebbe dovuto inoltre essere la tolda di lancio dei progetti favoleggiati nel «Pnrr» sulla «transizione ecologica». Più che altro il governo è stato costretto a raschiare il fondo del barile per trovare 3,8 miliardi di euro e tamponare l’aumento delle bollette di gas e elettricità nel primo trimestre del 2022. «Grande assente è il graduale taglio agli oltre 19 miliardi di sussidi che ogni anno diamo alle attività ambientalmente dannose e una dotazione maggiore di fondi e personale per rafforzare i controlli ambientali» ha sostenuto Rossella Muroni di FacciamoEco che non ha votato la finanziaria.
UNA MANOVRA che ha esaltato la trasformazione della Repubblica in un monocameralismo di fatto e ha sequestrato il dibattito nell’interlocuzione diretta tra il presidente del Consiglio Draghi e i partiti della sua attuale maggioranza Frankenstein. In questo quadro vanno segnalate misure poco più che simboliche denominate «anti-delocalizzazioni». Si applicherà alle aziende con più di 250 dipendenti che non risultano in crisi ma che decidono di chiudere una sede, licenziando più di 50 dipendenti. Dovranno comunicare i licenziamenti tre mesi prima e presentare un piano per gestire la cessazione delle attività che tuteli i lavoratori. Una norma che non serve né a prevenire né a impedire alcuna delocalizzazione. Basta mettere un po’ di soldi e usare il bon ton. E addio.
CON CIRCA 3 miliardi di euro nel 2022 la manovra darà attuazione alla riforma degli ammortizzatori sociali, con un aumento dei sussidi di disoccupazione e un’estensione degli istituti di integrazione salariale ordinari e straordinari ai lavoratori come apprendisti e a domicilio. «Dopo circa un anno e mezzo di dibattito attorno a una possibile riforma universalistica degli ammortizzatori – ha scritto Dario Guarascio sul sito dell’O.c.i.s. in un bilancio della misura lanciata dall’ex ministra del lavoro Catalfo – sembra certificare la prevalenza ideologica (e politica) delle posizioni di chi vede negli ammortizzatori un mero strumento assistenziale e ritiene che la disoccupazione sia perlopiù causata da svogliatezza o dalle scarse competenze di chi pretende un reddito». ro. ci.
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