Se non è una “manovra per ricchi” (come l’ha definita più di qualche osservatore), di sicuro la legge di bilancio non sarà una panacea per i “poveri”. Al di là delle esagerazioni è un fatto ormai acclarato che le nuove aliquote Irpef privilegino i redditi medio-alti e nella fattispecie chi guadagna più di 40mila euro. Non lo dicono solo i sindacati. L’Ufficio parlamentare di bilancio, un organismo indipendente che svolge una funzione di vigilanza sulla finanza pubblica, ha stimato l’impatto del nuovo meccanismo di prelievo fiscale sulle persone fisiche.
“La riduzione di imposta in valore assoluto” si legge nell’analisi, “è maggiore nelle classi di reddito medio-alte, con un beneficio medio di circa 765 euro” all’anno “per i contribuenti con reddito imponibile tra i 42.000 e i 54.000 euro”. Al contrario per chi ha un reddito compreso tra i 12mila e 18mila euro il vantaggio fiscale sarà di 229 euro, mentre si ridurrà sensibilmente per chi ha un reddito inferiore ai 12mila euro. Secondo l’Upb, “le prime due classi, dove si concentra circa il 36,9 per cento dei contribuenti, beneficiano di circa il 6,7 per cento delle risorse complessive”.
La Cgil ha pubblicato delle tabelle piuttosto esplicative sul probabile impatto della nuova riforma. Un contribuente che dichiara 12mila euro annui riceverà circa 180 euro in più lordi ogni anno; con 20mila euro di reddito il vantaggio fiscale sarà di poco superiore ai 200 euro, ma come è evidente dal grafico i benefici più cospicui sono proprio quelli per chi guadagna dai 40mila euro in su (qui la tabella completa con tutte le stime per ogni fascia).
Le stime, meglio premetterlo, non tengono conto però del taglio ai contributi (questo sì destinato ai redditi bassi) di cui parleremo in seguito e che in qualche modo controbilancia almeno in parte gli effetti della rimodulazione alle aliquote.
Irpef: perché i benefici maggiori non sono andati ai redditi bassi?
Concentriamo sull’Irpef. Il deputato di Italia Viva Luigi Marattin ha risposto alle critiche dei sindacati (Cgil in primis) con una serie di argomentazioni. Intanto, dice Marattin sul suo sito, indicare i vantaggi assoluti (10 euro, 50 euro, 100 euro) non è “il modo di misurare correttamente i benefici fiscali di una riforma, perché – ad esempio – 10 euro di vantaggio non impattano allo stesso modo su chi pagava 20 euro di tasse (che avrebbe una riduzione di imposta del 50%) e su chi ne pagava 100 (che avrebbe un più modesto 10%)”.
Inoltre Marattin sostiene che “circa il 90% delle risorse viene distribuito sui primi tre scaglioni. In particolare, il 16% sul primo, il 31,4% sul secondo e il 38% sul terzo”. Il punto è che i contribuenti a basso reddito sono enormemente di più di quelli a reddito medio-alto e dunque, ragiona il deputato, “è molto difficile avere una curva perfettamente discendente”. Inoltre Marattin dice: è vero che le risorse sul primo scaglione Irpef sono poche, ma in questa platea ci sono 17 milioni di contribuenti “di cui 10 milioni già non pagano un euro di tasse” e “tutti e 17, mediamente, pagano 13 euro al mese in media”. Non c’è dunque lo spazio fiscale per intervenire.
Di contro l’Ufficio parlamentare di bilancio fa notare che il 14,1 per cento delle risorse complessive, pari a circa 1 miliardo, finirà nelle tasche dei contribuenti con un reddito loro tra 42.000 e i 54.000 euro (ovvero tra i 3.500 e i 4.500 euro mensili) che però rappresentano solo il 3,3 per cento del totale della platea. Insomma, una sperequazione esiste.
Perché dunque la maggioranza ha voluto premiare i redditi medi o medio-alti? A questa domanda vengono date solitamente due risposte: a) le tasse ai redditi bassi sono state già abbassate con il bonus Renzi (poi ritoccato da Conte) e dunque era giusto dare un po’ di respiro alle altre fasce contributive 2) la maggior parte del peso dell’Irpef è concentrata sui redditi medio alti (circa il 60% del gettito arriva da chi dichiara più di 35mila euro).
Lo sconto sui contributi (valido solo nel 2022)
Come vi avevamo anticipato nella legge di bilancio è previsto anche uno sconto contributivo per 19 milioni di lavoratori dipendenti pubblici e privati (esclusi i collaboratori domestici), con una retribuzione imponibile non superiore a 2.692 euro. Lo sconto è pari a 0,8% e senza alcuna conseguenza negativa sulla futura pensione: quanto non pagato è messo dallo stato.
Cercando di quantificare lo sconto, un dipendente con retribuzione annua di 20 mila euro otterrà un bonus di circa 120 euro annui, quindi circa 10 euro al mese; un dipendente con retribuzione annua di 25 mila euro avrà uno sconto di circa 150 euro; quello con retribuzione di 30 mila euro annui riceverà un bonus di circa 140 euro annui (le stime sono della Cgil). Non ci sarà invece nessun beneficio per chi guadagna più di 35mila euro all’anno.
Al di là del fatto che le cifre in gioco sono abbastanza modeste, c’è anche un aspetto da non trascurare: la decontribuzione è infatti una misura “a tempo” valida solo per il 2022 laddove la rimodulazione delle aliquote è una riforma strutturale. Non è una differenza di poco conto perché non c’è alcuna certezza che lo “sconto” sarà valido anche nei prossimi anni.
Chi beneficerà dell’assegno unico
Sul portafogli delle famiglie inciderà di più l’assegno unico per i figli il cui importo pieno, pari a 175 euro, andrà a chi ha un Isee (indicatore della situazione economica equivalente) fino a 15mila euro. Per chi ha redditi superiori, l’assegno scenderà progressivamente, fino al minimo di 50 euro (25 per i figli maggiorenni) per Isee oltre 40mila o per chi non presenta la dichiarazione. Ma si tratta di un bonus destinato a chi ha figli fino a 21 anni di età e dunque non destinato a tutti (qui tutte le informazioni sull’assegno unico).
Bonus e superbonus: ne usufruiscono di più i redditi alti
Se parliamo di equità della legge di bilancio non possiamo certo tralasciare i bonus edilizi e in particolare il superbonus, di cui abbiamo già parlato ampiamente su questo giornale. Alla fine, su pressing dei partiti (in particolare il M5s), il governo ha inserito nella manovra anche la proroga dell’incentivo al 110% e sempre su proposta delle forze di maggioranza è stato eliminato anche il tetto Isee di 25mila euro pe le villette. L’unico vincolo è quello che entro il 30 giugno sia eseguito almeno il 30% dei lavori complessivi.
Che i bonus edilizi costino parecchio lo abbiamo già detto, così come è ormai noto che di questi incentivi usufruiscano principalmente i redditi medio-alti. Il superbonus poi prevede dei costi elevatissimi e c’è il forte sospetto che ci sia proprio questa misura dietro l’aumento dei costi nell’edilizia: finora la spesa media per intervento è stata di 574 mila euro per i condomini e oltre 100 mila euro per gli edifici unifamiliari. Agli onori delle cronache è finito anche un castello ristrutturato in Piemonte per un costo di 1 milione di euro.
Come ha fatto notare la Corte dei Conti poi queste agevolazioni hanno un effetto regressivo. Se oltre il 60 per cento dei proprietari più ricchi usufruisce delle detrazioni, questa quota scende al 9 per cento nella media della metà più povera della popolazione. E benché non ci siano ancora dati solidi, tutto lascia pensare che con il superbonus andrà molto peggio.
Secondo le stime del sito di economia laVoce.info il superbonus produrrà un vantaggio medio di 2.800 euro nella fascia di reddito tra 50 e 60mila euro in 5 anni, mentre chi dichiara da 200 e 300 mila euro avrà in media 9.500 euro. Ben più basso il beneficio per i redditi sotto i 20mila euro. Eppure basterebbe introdurre un limite Isee di 50mila euro per ottenere un risparmio potenziale di 9,5 miliardi in 5 anni.
Più che il governo hanno deciso i partiti
In conclusione si può forse affermare che gli effetti della decontribuzione non compensano i benefici fiscali che la riforma dell’Irpef e la proroga di bonus edilizi e superbonus avranno sulle fasce di reddito medio-alte. La legge di bilancio potrebbe insomma avvantaggiare chi è benestante, meno chi ha uno stipendio basso. Va detto che si tratta di scelte che sono state non solo avallate, ma fortemente volute dalle forze politiche.
Le modalità del taglio dell’Irpef sono state infatti definite a grandi linee nel documento approvato a fine giugno dalle commissioni finanze di Camera e Senato. Quanto al superbonus non è un segreto che il presidente del consiglio Draghi e il ministro dell’economia Franco fossero contrari alla misura, ma i partiti, M5s in testa, si sono schierati compatti per la proroga. E alla fine l’hanno spuntata.
(Infografiche in alto Cgil)
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Source: today.it
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