Rispetto all’Ici già tre miliardi in più
Saverio Fossati
Difficile immaginare uno scenario in cui il peso dell’abitazione principale venga riversato sulle altre tipologie immobiliari: si tratterebbe di 4 miliardi in più che, spalmati proporzionalmente, significherebbero un aumento del 23 per cento. Considerando che la trasformazione da Ici in Imu ha causato un incremento della tassa sulla proprietà che mediamente è del 110 per cento, aumentare l’aggravio non sembra una scelta realistica. Soprattutto partendo da un dato allarmante: alle imprese l’Imu è costata almeno 3 miliardi in più dell’Ici. Altro che incentivi.
In base ai dati del dipartimento delle Finanze i versamenti Imu totali per il 2012 assommano a 23,7 miliardi. Tolti i 4 miliardi relativi all’abitazione principale, ne restano ancora quasi venti. Ebbene, questi venti miliardi gravano in gran parte su immobili per i quali i versamenti hanno superato i 1.800 euro, quindi le seconde case (a disposizione o affittate) di notevole valore, le aree fabbricabili (che contano per un miliardo), i terreni (628 milioni); i fabbricati rurali strumentali (64 milioni) e soprattutto i fabbricati non abitativi quali negozi, uffici e immobili industriali.
Secondo il dipartimento delle Finanze, infatti, i versamenti fino a 1.800 euro sono attribuibili quasi totalmente alle persone fisiche mentre nella classe superiore a 1.800 euro si colloca il 96,3 per cento dei versamenti effettuati da soggetti non persona fisica; in questa classe di versamenti ai circa 5,3 miliardi versati dalle persone fisiche si aggiungono i circa 6,3 miliardi versati dagli altri soggetti.
In sostanza, se quei 6,3 miliardi provengono da altri soggetti diversi dalle persone fisiche, vuol dire che sono la conseguenza dell’assoggettamento a Imu di immobili produttivi. Infatti, stando ai dati diffusi dalla (ex) agenzia del Territorio e dal Dipartimento nell’analisi 2012 dedicata agli immobili in Italia, le abitazioni di proprietà di persone non fisiche rappresentano solo l’8,7% del totale (il 9,1% in termini di valore catastale), le percentuali salgono un poco con le pertinenze (rispettivamente al 12,3% e al 15,8 per cento) ma passando al non residenziale (cioè appunto negozi, uffici, capannoni) le percentuali si divaricano: il 38,4% come proprietà ma il 72,6% come valore. Passando all’analisi più di dettaglio delle varie categorie non residenziali; negozi e botteghe sono posseduti al 79,9% da persone fisiche; uffici e studi privati al 55,6 per cento, usi produttivi (categoria catastale D) solo al 38,5 per cento e gli altri usi (magazzini, laboratori artigiani, eccetera) al 56,7 per cento. In particolare, a fronte del 61,5% di proprietari di persone non fisiche di immobili produttivi, questi rappresentano l’84,4% del valore catastale.
Se quindi incrociamo questi dati con quelli dell’analisi dei versamenti Imu, appare evidente che quei 6,3 miliardi di Imu pagati da “altri soggetti” con versamenti superiori a 1.800 euro, dato che la base imponibile deriva direttamente dal valore catastale, si riferiscono in gran parte a immobili produttivi: capannoni; opifici eccetera. Mentre in quei 5,3 miliardi pagati da persone fisiche, sempre con versamenti sopra i 1.800 euro, questa componente non può superare mediamente il 15,6% in termini di valore.
Se quindi una percentuale così ampia di gettito derivante da immobili produttivi viene pagata da “altri soggetti” diversi dalle persone fisiche, è chiaro che è sull’impresa che grava una fetta che si aggira sul 20-25% del totale; almeno un quinto dell’Imu, insomma, viene dalle aziende, senza contare negozi e uffici, i quali comunque sono posseduti da “altri soggetti” rispettivamente al 32,9% e al 61,4% in termini di valore. Le imprese, quindi, possiedono gli immobili di maggior valore e la base imponibile è più elevata, e sin qui niente di strano: ma il risultato finale, cioè che il gettito dell’Imu venga assicurato in misura così ampia da chi lavora, è a dir poco sconcertante.
Non solo praticamente nessun Comune ha potuto scegliere le aliquote agevolate per gli immobili produttivi, dato che comunque lo Stato esigeva per intero la sua parte e alla fine il municipio ci avrebbe perso, ma anzi, come dimostrano quei 6,3 miliardi versati dalle imprese, le aliquote applicate sono state quelle più severe, intorno all’1 per cento.
Un quadro che non sembra presupporre un’analisi attenta della situazione delle imprese da parte del Governo Monti, quando aveva varato l’Imu: in piena crisi economica, è stato scaricato sulle aziende un incremento d’imposta intorno al 150% (si vedano l’articolo e i dati qui sopra); cioè almeno 3 miliardi in più rispetto all’Ici.
Nelle scelte future sul gettito Imu, quindi, sembra difficile non tener conto del fatto che una spremitura più severa sarebbe insostenibile. Dove pescare, allora? Certo non dalle persone fisiche, magari da sventurati proprietari di negozi sfitti. Il problema di quei 4 miliardi, quindi, va risolto cercando risorse fuori dalla platea Imu.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il gettito per tipologia
Le stime del gettito Imu diviso in base alla tipologia immobiliare sulla base dell’analisi del dipartimento delle Finanze. In miliardi di euro
Link all’articolo Originale tutti i diritti appartengono alla fonte.