RIMINI – “Questi due anni, l’inizio del Coronavirus, a me ha portato bene” diceva uno degli imprenditori indagati al telefono, mentre in ascolto c’erano gli investigatori. Un’idea di quanto “bene”, se la sono fatta le Fiamme gialle: 440 milioni di euro. È l’ammontare sequestrato dalla Guardia di finanza in tutta Italia nell’operazione “Free credit” partita da Rimini, dopo la scoperta di quella che pare essere la più grande frode sui fondi di sostegno alle imprese in difficoltà per la pandemia scoperta finora. I soldi sono quelli degli incentivi del decreto rilancio del 2020 per trasformare in crediti di imposta l’affitto pagato per i locali commerciali e i lavori edilizi, come nel caso del sismabonus e “bonus facciate”.
Bonus affitti, sisma e facciate
Sono proprio le aziende in difficoltà a essere prese di mira, il punto di partenza, il primo anello debole da aggredire, in un tessuto economico provato da due anni di chiusure a singhiozzo e restrizioni. Attraverso i commercialisti, si individuavano quelle a rischio fallimento, o comunque decotte, in crisi di liquidità, attraverso cui dare inizio alla frode, costituita in sostanza nel generare crediti nei confronti dello Stato per canoni di affitto falsi o gonfiati. Che poi venivano rivenduti, una possibilità prevista proprio dal decreto del 2020, solo che i presupposti, le attività che generavano quel credito, erano quasi tutte false o inesistenti.
Partito dalle locazioni, il metodo si è rivelato efficace anche per i lavori edilizi, anche in questo caso gonfiati o inesistenti, addirittura all’insaputa dei proprietari di alcuni immobili. A mettere “fretta” alla Procura, tanto da intervenire dopo pochi mesi, è stata l’escalation del giro d’affari, che lievitava di mese in mese. A luglio ammontava a tre milioni, a ottobre 148. A gennaio volava verso il mezzo miliardo. Movimenti “difficili da ricostruire – secondo Roberto Russo, maggiore della Guardia di finanza di Rimini, comandante del nucleo di Polizia economico finanziaria – i crediti venivano parcellizzati e rivenduti su tutto il territorio nazionale”.
Questi crediti poi diventavano soldi “veri”, perché venivano rivenduti attraverso una rete capillare di società in tutta Italia, alcune create ad hoc, in tutto sono 116 quelle coinvolte. Ma alla fine della catena c’erano anche imprenditori innocenti e inconsapevoli, che pensavano di acquistare crediti d’imposta genuini. E poi venivano trasformati in contanti, attraverso società compiacenti, o carte prepagate, con “prelievi mensili che in certi casi superavano anche i 100 mila euro”. Buona parte di quei contanti è stata sequestrata stamattina nelle oltre 80 perquisizioni in tutta la penisola, in trolley imbottiti di mazzette in banconote da 50 o 20 euro fiutate dai cani addestrati (“cash dog”). Ma quelle centinaia di milioni avevano preso mille rivoli: investiti per acquistare immobili, società, due milioni sono finiti in lingotti d’oro, sette milioni in criptovalute, altri in conti esteri a Cipro, Malta, Madeira.
Un giro di affari enorme in tutta Italia
L’indagine è stata coordinata dal sostituto procuratore di Rimini Paolo Gengarelli, ma ha interessato altre 11 regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino e Veneto. Il meccanismo era non solo complesso, ma secondo la procuratrice Melotti, era da fermare immediatamente: “Era un’indagine ampia con un danno per lo Stato che rischiava di essere estremamente rilevante, abbiamo segnalato, d’accordo con la Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate di questo sistema, appena ne abbiamo compreso il funzionamento. Parliamo di di società notevoli, dovevamo agire in tempi rapidi”.
È partito tutto da Rimini, da una procedura fallimentare nella quale c’era qualcosa di sospetto, crediti di imposta di dubbia provenienza. Davanti agli investigatori si è scoperchiato un vaso di Pandora, un sistema articolato di “creazione” di crediti fiscali. Sono in tutto 78 gli indagati. Tra loro, in nove avevano presentato domanda di reddito di cittadinanza e tre (con “ruoli marginali” in questa storia) avevano precedenti di polizia per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Cinquantasei dei 78 indagati sono accusati di associazione a delinquere per indebita percezione di erogazioni dallo Stato, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. Per otto di loro (Nicola Bonfrate, Imane Mounsiff, Giuseppe Guttadoro, Sabatino Schiavino, Roberto Amoruso, Andrea Leonetti, Matteo Banin e Stefano Francioni), quelli considerati dalla Procura i vertici dell’associazione per delinquere, è scattata la misura cautelare in carcere, per quattro i domiciliari (Giovanni Scala, Francesco Nappi, Luca Fallarino, Alessio Vacca). Erano loro a gestire le operazioni, tutti di pari livello. Avevano le chiavi per aprire i cassetti fiscali delle aziende e far partire il complicato meccanismo di “creazione” del credito. Ventidue i prestanome messi come paravento per le operazioni.
Il Giudice per le indagini preliminari Manuel Bianchi, nell’ordinanza di quasi 300 pagine, ha disposto 23 interdittive di cui 20 all’esercizio di impresa nei confronti di altrettanti imprenditori e tre all’esercizio della professione nei confronti di altrettanti commercialisti.
Secondo gli investigatori, ognuno nella “banda” aveva un ruolo. C’era per esempio chi si occupava di trovare aziende “decotte”, in forte difficoltà a causa anche della pandemia, per proporre l’affare, altri di inserire i dati nel cassetto fiscale e gestire le compravendite : “Uno dei casi eclatanti – aggiunge Russo – riguarda una locazione per 9 milioni di crediti fiscali, a fronte di 3.500 euro di effettivi contratti di locazione”. In un altro caso, è stato chiesto un credito per bonus facciate per oltre 41 milioni.
Sembravano soldi facili, uno degli imprenditori diceva al telefono: “Non hai idea di quanti c***o di soldi hanno fatto. Non sanno più dove andare ad aprire i conti correnti in giro per il mondo per mettere i soldi”. Un altro sosteneva di far soldi, aprendo un cassetto fiscale con la richiesta di credito d’imposta nel tempo di “una mangiata di panzerotto”.
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