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“I clan dietro il bonus”: la Sicilia epicentro di operazioni sospette – La Repubblica

Bonus, aiuti, sovvenzioni. Ne sono caduti a pioggia sull’economia strozzata da anni di Covid19, ma a rastrellarne gran parte è stata la criminalità organizzata. Soprattutto in Sicilia. Il dato emerge in modo chiaro nel documentato dossier presentato ieri dal fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, e riecheggia in modo preoccupante nelle pagine della relazione annuale che il Dis, l’organismo di coordinamento dei servizi di intelligence, ventiquattro ore fa presentato in Parlamento. E a dispetto di inchieste che dimostrano quanto sia concreto e reale, l’allarme rimane inascoltato.

“C’era questo fatto qua del Sismabonus, che io ho preso questa cosa qua del Sismabonus. C’erano tutti questi ruderi poi si buttavano a terra e con il Sismabonus si facevano tutte quante le case nuove”. A parlare intercettato è il boss Mariano Foti, una settimana fa arrestato dai carabinieri insieme ad altre ottanta persone. Vecchia guardia della mafia barcellonese, per la procura di Messina guidata da Maurizio de Lucia, voleva riportare la famiglia agli antichi fasti. Contatti con la politica, controllo di attività commerciali, estorsioni, droga, la ricetta era quella di sempre. Ma con una variazione. Il padrino aveva capito le potenzialità offerte da bonus e agevolazioni distribuiti in epoca Covid e in quel campo si voleva infilare con una “rete commerciale”, costruita grazie a professionisti e politici, in grado di rastrellare edifici, dunque affari. Un business che non è stato l’unico ad aver intuito.

Lo raccontano decine di inchieste, a partire da quella della procura di Rimini che ha svelato il ruolo del trapanese Giuseppe Felice Guttadoro, considerato uno dei capi di un’organizzazione criminale in grado di creare oltre 440 milioni di crediti falsi. E l’allarme lo ha lanciato anche il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Ruffini, per il quale su 38 miliardi di crediti ceduti in virtù di bonus di diverso tipo, almeno 4,4 miliardi sono frutto di truffe su ristrutturazioni, facciate, locazioni. Di questi, almeno un miliardo e mezzo sono impossibili da recuperare perché incassati, trasformati in criptovalute o fatti sparire fra conti correnti sparpagliati per il globo.

Numeri da capogiro, ma che illustrano solo una parte del gigantesco business che le mafie hanno messo in piedi sulle macerie della pandemia. Cosa nostra, in primis. Le cifre le mette in fila Libera, con un dossier che, come per il virus, classifica l’Italia per colori. E la Sicilia è rossa. Significa che è una delle zone in cui la mafia ha corso di più, in cui vecchi e nuovi padrini hanno fiutato il business dell’emergenza prima e della ricostruzione poi, sottraendo risorse a chi davvero le necessitava.

Insieme a Calabria, Puglia, Lazio, Sardegna, Basilicata, Trentino Alto Adige, l’Isola è sul podio per numero di operazioni finanziarie sospette, in Sicilia 13.256 nel biennio 2018/ 2019, che diventano 17.288 in quello successivo, con un aumento documentabile del 30 per cento. Rossa per numero di ristoranti – il 38 per cento, in dettaglio 767 imprese a rischio censite solo nell’ultimo anno – che a causa della pandemia sono potenzialmente esposti ad infiltrazioni criminali e operazioni di riciclaggio. Rossa nella mappatura fatta dall’Unità di informazione finanziaria, per numero di aziende “sospette” perché legate a contesti o personaggi riconducibili alla galassia dei clan.

Sconfortante il dato sull’usura. La Sicilia è gialla, ma solo perché la variazione al rialzo nell’ultimo anno è del 5 per cento. In termini assoluti è la quarta regione d’Italia. Millecentoquaranta le imprese destinatarie di un’interdittiva antimafia dal 2019 ad oggi. Una zavorra sulla ripresa, frenata anche dalle reiterate truffe sui fondi Covid, e un’ombra pesante sul Pnrr, che da volano di sviluppo rischia di trasformarsi in uno strumento di crescita e radicamento del potere mafioso. Anche perché, mette nero su bianco l’intelligence c’è “una saldatura sempre più evidente tra ambienti criminali, imprenditori, amministratori pubblici e figure professionali specializzate, perlopiù, in materia societaria e fiscale”. Gli 007 li chiamano “professionisti facilitatori” e sono il jolly che permette alle mafie operazioni di evasione fiscale e reati finanziari complessi.

“Tutto questo fa rabbia – dice Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare antimafia in missione a Caltanissetta – noi già dal maggio 2020 abbiamo sottolineato i rischi, ma le nostre proposte sono rimaste lettera morta”.

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