(a cura di Francesco Dagnino, Angelo Messore e Carlo Giuliano)
Il settore del Fintech in Italia è ormai da anni in forte crescita: molto è stato fatto, in effetti, per creare un ecosistema solido e attrattivo anche per gli investitori internazionali, sia dagli operatori del settore, sia dalle autorità di vigilanza.
Ma qual è lo stato della regolamentazione del Fintech in Italia? Sicuramente il bilancio è in chiaroscuro.
L’Italia è uno dei pochi paesi europei ad avere avviato una Sandbox dedicata agli operatori Fintech – vale a dire, un percorso per poter sperimentare modelli di business innovativi sotto la supervisione delle autorità di vigilanza. L’iniziativa costituisce un chiaro indice dell’attenzione che il governo e le autorità stanno prestando al settore e dell’intento di promuoverne la crescita.
La prima finestra per la presentazione delle domande di ammissione alla Sandbox Fintech italiana si è chiusa da qualche mese ed è già possibile registrare una particolare apertura e vivacità da parte delle autorità di vigilanza italiane coinvolte (Banca d’Italia, CONSOB e IVASS) nel confronto con gli operatori.
Sono però ancora numerosi gli interventi di riforma di cui il settore avrebbe bisogno per poter esprimere appieno le proprie potenzialità, non solo attraverso interventi volti a semplificare la normativa attuale, ma anche introducendo delle discipline innovative già presenti in altri ordinamenti.
Paesi come la Germania o la Svizzera, per esempio, hanno già da tempo colto le opportunità offerte dalla tecnologia blockchain per consentire l’emissione di partecipazioni in società o fondi in forma semplice e immediata, superando i “burocratici” adempimenti notarili previsti dal nostro sistema normativo. L’Italia è ancora in attesa di un intervento di riforma di questo tipo, che allinei le nostre norme a quanto previsto dai paesi più avanzati – intervento di cui beneficerebbero, in primo luogo, start-up e PMI.
Dall’altro lato, nel nostro ordinamento sopravvivono ormai numerose norme che rendono più difficile fare impresa nel settore della finanzia digitale e che rischiano di dirottare molti progetti verso giurisdizioni meno restrittive.
Un esempio eclatante, al riguardo, è rappresentato dai cosiddetti requisiti di professionalità applicabili alle banche a gli altri soggetti vigilati dalla Banca d’Italia e dalle autorità di vigilanza italiane. In Italia per essere il CEO di una banca o di un altro intermediario autorizzato è necessario avere almeno quattro o cinque anni di precedente esperienza come CEO di un’altra banca o società comparabile: un CV che senz’altro pochi ventenni/trentenni possono vantare di avere!
Il requisito si applica anche alle neo-banche o agli intermediari Fintech e si traduce in una vera e propria discriminazione generazionale, nei fatti costringendo alcune società a optare per altri paesi europei, dove le regole per l’assunzione di cariche apicali sono meno rigide.
Ancora, per costituire un’impresa Fintech dedicata alla prestazione di servizi di investimento (si pensi, per esempio, al robot advisory, al micro-investing, etc.) in Italia è richiesto un capitale sociale minimo pari a più del doppio, in alcune ipotesi, rispetto a quanto previsto in altri paesi europei. Né è possibile prestare questi servizi “servendosi” della licenza di un soggetto già autorizzato – come cosiddetto “agente collegato” – a differenza di quanto invece è consentito dalla normativa europea. Non stupisce, anche in questo caso, che alcune delle start-up più vivaci su questo fronte decidano alla fine di approfittare del regime maggiormente favorevole previsto in altri Stati europei per stabilire altrove le proprie attività.
L’Italia può certo dirsi una candidata naturale per assumere un ruolo di leadership nell’innovazione finanziaria in Europa, in ragione dell’elevata reputazione del suo sistema di vigilanza finanziaria, della qualità del capitale umano, del ridotto costo del lavoro e della vita rispetto ad altre capitali finanziarie europee, dei molteplici incentivi fiscali e programmi di finanziamento disponibili per le start-up innovative e l’assunzione di risorse qualificate, nonché per il trasferimento in Italia di manager e professionisti. A ciò si aggiunga – ci sia concesso il luogo comune – l’attrattività del nostro paese in termini di lifestyle, bellezza e cultura, che rendono l’Italia una meta particolarmente attrattiva per i giovani talenti internazionali.
Una politica legislativa mirata ad accompagnare la crescita del settore costituirebbe al tempo stesso anche una lungimirante politica industriale: un superbonus Fintech a costo zero di cui il bel Paese beneficerebbe con effetti di medio-lungo termine.
Source: huffingtonpost.it
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