A rischio la sopravvivenza di centinaia di piccole imprese dopo che alcuni istituti finanziari hanno bloccato la cessione delle agevolazioni concesse ai cittadini
Il blocco delle cessioni dei crediti d’imposta deciso da alcuni istituti finanziari fa temere la paralisi dell’edilizia romana. A rischio la sopravvivenza di centinaia di piccole imprese del territorio e di decine di migliaia di posti di lavoro. Dagli ultimi dati Enea, ente pubblico che monitora la corretta applicazione della normativa nazionale, i 12.267 cantieri aperti nel Lazio con il «superbonus» hanno prodotto detrazioni per quasi 2,5 miliardi di euro. Ma a generare mancate entrate per l’erario è anche il bonus facciate, il più utilizzato nel centro storico capitolino, passato dal 90% del 2021 al 60% del 2022. Per i restauri e le ristrutturazioni è possibile avere indietro fino al 50% dell’esborso, mentre la quota sale al 65% per l’ecobonus e all’85% per la messa in sicurezza antisismica.
Il grosso del debito è stato perlopiù rivenduto alle banche, che in cambio di un premio si sono accollati l’onere del recupero, spalmato dai quattro ai dieci anni in base al tipo di incentivo. Da cinque mesi a questa parte però il meccanismo ha cominciato a rallentare e ora la capacità massima per le acquisizioni è stata raggiunta. «Prima il 110 veniva valutato 100 o 102, poi la stretta del governo ha portato gli istituti di medie dimensioni a sfilarsi – spiega Giovanni Di Ieso, ceo della holding Renovars, dedicata al mondo della casa –. La minore concorrenza, unita all’aumento del costo del denaro, ha favorito la discesa del prezzo tra gli 85 e i 90. Adesso più nulla».
A oggi Intesa Sanpaolo ha già liquidato 190 milioni di euro sugli 1,2 miliardi richiesti dalle società regionali. Meno certi i dati di Unicredit, che lo scorso anno si è impegnato per circa 120 milioni. «Le banche sono vittime di un sistema fuori controllo – esordisce Marco Astrologo del gruppo Astrologo, general contractor di Roma –. Se la situazione resta immutata, ci troveremo di fronte a due scenari diversi. Il cittadino che non ha ancora dato il via all’opera sarebbe costretto a pagarla in toto e, secondo le nostre rilevazioni, otto su dieci rinuncerebbero. Per quelle già iniziate, se gli imprenditori non hanno ancora trovato il modo di smaltire lo sconto in fattura, prevediamo interruzioni che porterebbero a disagi per i clienti e all’avvio di contenziosi legali tra le parti. In entrambi i casi a rimetterci saranno aziende e dipendenti: le prime andrebbero verso il fallimento, i secondi verso la disoccupazione».
A farne le spese saranno soprattutto i fornitori e le ditte in subappalto, più esposte alle oscillazioni del mercato. «Per salvarli basterebbe dare la possibilità di girare il credito più volte e ad altre tipologie di attori della filiera – spiega Daniele Iudicone, proprietario della Imc Holding di Latina, specializzato in rinnovabili –. In caso contrario passeremo dalla ricerca spasmodica di manodopera degli ultimi mesi ai licenziamenti di massa, dato che la maggioranza delle nuove assunzioni nel settore si basa su contratti a termine». Utile anche una modifica per ridurre le tempistiche: «Per installare un impianto fotovoltaico ad esempio occorre che le compagnie verifichino prima l’effettiva connessione alla rete elettrica – precisa Iudicone – ma non hanno abbastanza tecnici sul campo e l’autorizzazione non arriva prima di 90 giorni».
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19 aprile 2022 (modifica il 19 aprile 2022 | 09:11)
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