Nella grande corsa alla transizione ecologica il Governo italiano prevede ecobonus per l’acquisto e la rottamazione di auto, veicoli commerciali, moto e scooter a zero emissioni. E le barche? Armatori arrangiatevi!
In tema di mobilità sostenibile da anni si parla tanto di ecoincentivi statali. Anzi di “ecobonus”. Una parolina magica che sa di salvaguardia dell’ambiente, risparmio per i privati e investimento da parte della comunità in nome del grande cambiamento energetico mondiale. Per raggiungere la famosa transizione ecologica in pratica lo Stato ti aiuta ad acquistare l’ultimo ritrovato tecnologico per spostarti, viaggiare, continuare a correre. Vuoi l’auto elettrica? Ok, costa ancora uno sproposito. Ma niente paura: il Governo ti fa avere l’ecobonus. Cerchi il Suv ibrido? L’ecobonus aspetta solo te! Ti serve il motorino a zero emissioni? Vai di ecobonus!
C’è un incentivo statale per tutto: dalle automobili ai veicoli commerciali, dalle moto alle biciclette elettriche. Perfino per i monopattini. E non vale solo per i mezzi elettrici, ma anche per quelli ibridi e quelli a emissioni comunque ridotte. E poi c’è la grande festa della rottamazione: se dài indietro il tuo mezzo vecchio, puzzolente e inquinante, hai sempre diritto all’ecoincentivo statale. Insomma di fronte alla transizione ecologica ormai non puoi più tirarti indietro o accampare scuse. A meno che tu non sia un diportista.
Chi va per mare non avrebbe diritto all’ecobonus?
Già, perché da questa rivoluzione globale, da questa “longa manus” che pesca dal portafoglio pubblico e regala contanti ai privati per muoversi in modo “green” mancano le barche. La transizione ecologica va sostenuta, ma solo su strada. Se ti sposti sull’asfalto, ti aiutiamo. Se viaggi per mare, sei un diportista, un velista, un pescatore della domenica, devi comunque inquinare meno, ma in fatto di aiuti, arrangiati.
Lo scorso maggio il Governo italiano ha stanziato ecoincentivi per 650 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022-2023 e 2024. Destinatario di questo mega bonus? Solo il settore automotive. Eppure anche nella nautica assistiamo a un proliferare di soluzioni elettriche e ibride nelle barche e nei motori marini. L’Italia resta ancora un paese leader nella cantieristica da diporto. Ci sono migliaia di armatori che vorrebbero rispondere a questa levata di scudi contro l’inquinamento della natura. Eppure sono i grandi esclusi, completamente invisibili agli occhi di chi ci governa. Perché?
Armatori, cantieri e porti sono “invisibili” al Governo
Eppure le sovvenzioni statali farebbero comodo ai cantieri per spingerli verso “l’elettrificazione” delle barche, dato che il lavoro di riconversione è immane e passa per nuovi disegni di carena, distribuzione dei pesi, ingegnerizzazione, gestione del ciclo di produzione e degli scarti. Poi l’ecobonus farebbe gola al privato armatore, visto che oggi il limite all’acquisto è spesso economico. Gli stessi porti e marina turistici potrebbero trarre grandi benefici dai finanziamenti del Governo, anche solo per installare nuove colonnine dell’elettricità a ricarica veloce. Niente di tutto questo. Per ora, cari amici del mare, vedetevela da soli e mettete mano al vostro di portafogli.
Smaltire la vetroresina è un problema di tutti
Una mancanza, quella degli ecoincentivi statali nella nautica, che grida pietà anche per un altro tema non di poco conto: lo smaltimento della vetroresina. Sono oltre 6 milioni le imbarcazioni di vetroresina presenti in Europa di cui il 20 per cento ha oltre 40 anni d’età. A queste si aggiungono gli stampi in vetroresina che i cantieri produttori devono rottamare quando non più utilizzabili.
Oggi smaltire un’imbarcazione ha un costo di circa 16.000 euro per un’unità di 15 metri visto che il peso medio di vetroresina è di 1,37 tonnellate a scafo. Per questo motivo non è raro vedere imbarcazioni abbandonate nei porti, lungo i fiumi, nei campi o addirittura affondate intenzionalmente. Peraltro l’unico processo di trattamento degli scafi in vetroresina attualmente disponibile è la demolizione termica non ossidativa (pirolisi), attraverso la quale si ottiene Syngas e residuo solido (fibre). Al di là comunque delle ingenti quantità di energia termica necessarie (400 – 800°C) al sistema, rimane comunque oltre il 10% di materiale ulteriore da mandare in discarica o, nel migliore dei casi, agli inceneritori.
Obiettivo: ripensare il fine vita delle barche
Per arginare il problema del fine vita delle barche molti cantieri si stanno impegnando per ridurre le sostanze nocive e inquinanti all’interno dei loro modelli in catalogo ma anche a dare vita a resine non tossiche, formulate in gran parte con compositi vegetali e materie prime da fonti sostenibili. Progetti all’avanguardia in tal senso esistono anche in Italia, dove per esempio nel 2021 è stata varata l’Ecoracer 769, la prima sportboat costruita in resina termoplastica e fibra di lino, per un composito che a fine vita potrà essere riciclato. Il concept è della startup Northern Light Composites, mentre il progetto è di Matteo Polli. La barca è dotata inoltre di cime con un’anima in Bio Based Dyneema e fibre di lino, mentre le stesse vele, realizzate con la tecnologia Forte 4T di Onesails, sono le prime al mondo a garantire il riciclo a fine vita.
Insomma anche nella nautica la voglia di produrre “green” e navigare a impatto zero sull’ambiente non manca. Gli ecobonus invece sì e oltre che paradossale è un fatto abbastanza grave per un Paese civile dove i diportisti, i velisti, gli amanti del mare sono migliaia e, vista la crisi economica globale, l’inflazione, la pandemia, le guerre e chissà che altro ancora, con le tasche sempre più vuote.
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