Tanto hanno fatto, tanto hanno detto che hanno davvero aperto il Parlamento come una scatoletta di tonno: peccato che alla fine i tonnetti in brandelli siano diventati loro. Le anime del Movimento erano già parecchie, dai barricaderos ai lobbisti della green economy fino ai rappresentanti della società civile – pochi e di dubbio valore sia personale che professionale – e ai para-democristiani. Per finire con i voltagabbana, sezione condotta fino all’implosione e portata avanti, stoicamente, dall’ultimo reggitore del Movimento altrui: Giuseppe Conte.
La manovra dei Cinque Stelle per far cadere il Governo Draghi ha rappresentato un pasticcio sin dalla sua minaccia, che si è conclusa con una delle pagine più deprimenti dell’azione politica che un partito italiano potesse fare. Eppure, ne avevamo viste in passato di scelte scellerate, ma questa le batte tutte. Doveva essere, forse, nella mente non del tutto dritta di chi l’ha partorita, una mossa per ottenere qualcosa di più, forse una considerazione di base, da parte dell’Esecutivo Draghi. Ma in men che non si dica la manovra si è trasformata prima in salvataggio di poltrone e mutui da pagare, poi in gesto di sopravvivenza politica e pre-elettorale, della serie mettiamoci all’opposizione e tiriamo a campare. Avranno ormai capito che il capolavoro di scienza politica che hanno messo su gli enfant miracle, perché prodíge proprio no, gli si è ritorto contro come un colpo di pistola dei cartoni animati. Probabilmente perché questo è quello che sono stati alcuni personaggi della recente politica italiana, che per qualche strano gioco del destino hanno addirittura ricoperto ruoli di presidenza del Consiglio e di ministri, il cui operato è chiaramente visibile nei miliardi di euro dell’ecobonus che migliaia di aziende non recupereranno mai e per colpa del quale andranno a zampe per aria.
In coscienza, dimettersi era il meno che Mario Draghi potesse fare. Un Governo di unità nazionale non poteva continuare a significare fare il vigile urbano davanti all’asilo. Non si può infatti attribuire a Mario Draghi, decisamente troppo qualificato per dirigere il traffico, la colpa di questa crisi ai confini della follia, con numeri in Parlamento ma mancanza di numero legale per la validità della votazione. Ma gli si può e gli si deve addebitare una culpa in vigilando nell’aver mantenuto ministri totalmente inadeguati, che ci hanno palesemente sbertucciato anche dall’estero nel pieno di una guerra militare ed economica, la quale ha dato un’ulteriore mazzata alla nostra già tramortita economia. Così come pure tocca almeno fargli presente che l’essersi schierato a favore delle sanzioni contro la Russia non ha fatto i nostri interessi. Un leader politico si sarebbe immediatamente ricavato un ruolo di mediatore super partes. Invece di stendersi a zerbino ai desiderata dell’Europa, avrebbe forse creato uno strappo momentaneo ma avrebbe permesso di acquisire valore, potere e anche un certo timore reverenziale. Questo avrebbe fatto un leader.
Il punto è che Mario Draghi è un ottimo, eccellente, superlativo Chairman, a volte arrogante perché in Italia avere carattere e fiducia in sé è scambiato strumentalmente per boria, ma la verità è che se tutti, dagli gli assessori ai giardinetti in su, avessero il suo curriculum e il suo standing, saremmo una nazione dove le cancellerie dei tribunali funzionerebbero bene come a Milano, cosa che purtroppo non è e non sarà. Con la legge che ha diminuito il numero dei parlamentari, altro autogol dei tonnetti, alla prossima retata elettorale sarà difficile ripetere il miracolo grillino. E il quadro delle forze in campo sarà molto diverso, sperando di non creare mostri come solo noi italiani sappiamo fare. La verità è che neanche un ottimo amministratore può fare il politico se i suoi consiglieri sono lenti, se la sua squadra è scarsa, se il proprietario del club dal Colle più alto si impunta sul dettato della strategia di gioco. Non basterà un Paulo Dybala alla Roma per sistemare questo papocchio tutto romano. Dovranno essere gli italiani a votare per i prossimi gestori, dovranno essere i partiti a mettere in campo gente capace e non i soliti noti da trent’anni o altre orde di miracolati, senza arte né parte.
Lo scenario è triste, perché anche stavolta nulla cambierà prima di una seria riforma costituzionale. Avremo, forse, un premier donna, se non l’atterrano con un fallo di magistratura in area di rigore e che probabilmente durerà il tempo di un respiro, ma resteremo ancora una nazione arretrata e paralizzata. Grazie Conte, per aver tentato di salvare l’ormai insalvabile partito di Beppe Grillo, anzi un pezzo solo, perché l’altro te l’ha sfilato l’imberbe di Pomigliano. Hai dato un bel colpo di spugna, mettendo in crisi non solo il Governo ma anche i mercati finanziari. E hai lasciato in mezzo al guado qualche milione di lavoratori e precari, che con l’ennesima instabilità politica continueranno a non trovare lavoro. Un partito all’asta, una nazione pure.
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