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Auto elettriche: “ecologia” per pochi? / Notizie / Home – Unimondo.org

Dallo scorso anno le auto elettriche e ibride sono entrate a far parte dei prodotti che compongono il paniere Istat di riferimento per la rilevazione dei prezzi al consumo in Italia. Secondo le statistiche dell’ACI, già nel 2019, le autovetture ibride (benzina+elettrico o gasolio+elettrico) registravano un incremento del 33%, le elettriche, invece, pur rappresentando ancora una motorizzazione di nicchia, un + 115%. Nel complesso nel 2019 l’elettrico puro e ibrido hanno rappresentato il 5% del mercato italiano (erano il 3,7% nel 2018), con un incremento di 1,3 punti percentuali a scapito delle motorizzazioni tradizionali. La tendenza che lo scorso anno ha portato la mobilità elettrica nel paniere Istat sembra aver ricevuto un’ulteriormente accelerazione quest’anno, tanto che secondo i dati dell’associazione di settore Motus-E, che è stata la prima realtà a fare sistema per favorire la mobilità elettrica del Belpaese, nel solo mese di aprile sono state vendute in Italia 11.504 veicoli elettrici per una quota di mercato che è arrivata al 7,91%. Sono state vendute, in particolare, 4.842 BEV (auto elettriche a batteria) e 6.662 PHEV (ibride plug-in). Per Motus-E questi numeri avrebbero potuto essere potenzialmente più alti, se “i bonus statali spesi in aprile fossero stati utilizzati per immatricolazioni e non solo per prenotazioni come effettivamente avvenuto. Questo fenomeno mostra probabilmente un problema di offerta e disponibilità di veicoli nei tempi desiderati dai clienti”.

Nonostante i limiti dell’offerta, fino ad oggi a spingere il mercato dell’auto elettrica sono stati soprattutto i bonus erogati. Il 37% degli incentivi previsti per l’intero 2021 è stato utilizzato nei primi tre mesi dell’anno. Nel solo mese di aprile di quest’anno, gli incentivi stanziati per le auto 0-60 g/km di CO2 sono stati pari a 53 milioni di euro. Tra immatricolazioni e prenotazioni si sono spese quasi tutte le risorse disponibili e lo scorso 23 aprile è stato necessario integrare l’attuale fondo con altri 56 milioni di euro con il DL Rilancio attraverso la Legge di Bilancio 2021. Di questo passo per Motus-E, “c’è il rischio che i fondi totali a disposizione finiscano senza che nel PNRR si sia pianificato alcun tipo di supporto alla crescita strutturale dei veicoli a zero e basse emissioni in Italia”. Al contrario di Spagna, Germania e Francia che hanno prolungato i loro strumenti di supporto lungo il periodo 2022-2026 con i Recovery Plan nazionali, in Italia i fondi sono a “plafond” e il supporto terminerà al terminare dei fondi, che si possono monitorare sul sito Ecobonus.mise.gov.it e sembrano ridursi a vista d’occhio. Per gli esperti di Motus-E “Il confronto con gli altri Paesi non lascia dubbi e ci mostra un quadro abbastanza chiaro della necessità di un cambio di passo in termini di lungimiranza, poiché mentre altri Stati dell’Unione europea hanno programmato, anche con una riduzione progressiva dell’incentivo unitario, un supporto all’acquisto di mezzi BEV per i prossimi 4 anni, in Italia “l’esperimento” ecobonus terminerà per legge il 31 dicembre 2021” e per mancanza di risorse probabilmente anche prima

Che fare? Per Motus-E “È indispensabile che il Governo intervenga con chiarezza e tempestività sulla pianificazione del prossimo quadriennio, per far sì che l’Italia sia davvero un Paese appetibile per i veicoli elettrici”. Se è vero però, che la mobilità elettrica rappresenta una straordinaria opportunità per il Paese, grazie ad una decarbonizzazione dei trasporti che porterà sulle nostre strade 4 milioni di veicoli elettrici entro il 2030, è anche vero che questa evoluzione della mobilità non è priva di contraddizioni. Nonostante gli incentivi, questa rivoluzione verde dei trasporti rimane una possibilità per pochi, visto che i costi di un’auto elettrica non sono ancora accessibili a tutti e utilitarie a prezzi accessibili, come la Dacia SPRING, sono mosche bianche. Questo fa pensare che chi possiede i mezzi più vecchi ed inquinanti difficilmente troverà i fondi per cambiare auto e sarà come sempre penalizzato dagli inevitabili e sempre più frequenti blocchi della circolazione. Nel contempo, il passaggio ai modelli BEV con autonomie sempre più importanti come richiesto dal mercato, comporta l’impiego di batterie sempre più grandi che hanno un impatto sull’ambiente che va esattamente nella direzione opposta alle finalità della elettrificazione. Uno studio del 2020 realizzato da Transport Research Laboratory (TRL) ha certificato come il ricorso a batterie agli ioni di litio più grandi per aumentare l’autonomia “comporta un incremento della massa, con la conseguenza che il peso extra influisce sulle prestazioni dinamiche del veicolo e ne riduce l’efficienza”. Ma soprattutto “l’aggiunta di batterie più grandi aumenta la CO2 utilizzata nell’intero ciclo di vita del veicolo elettrico, dalla estrazione dei minerali fino allo smaltimento degli accumulatori esausti, influendo così su uno dei vantaggi ambientali della propulsione 100% elettrica, quello dell’assenza di emissioni nell’impiego dell’auto”. 

Per Thomas Ingenlath Ceo di Polestar, azienda del Gruppo Volvo, “Se parliamo di rendere un’auto più efficiente, io sono d’accordo, ma se stiamo solo aggiungendo sempre più chilowattora solo per migliorare commercialmente la gamma, questo non ci aiuta certo ad avvicinarci alla sostenibilità delle auto”. Rimane poi il problema di come si produce tutta questa energia elettrica (si spera non con il carbone), le criticità legate all’estrazione del litio per le batterie e la consapevolezza che i Paesi in via di sviluppo non potranno permettersi auto elettriche ancora per molti anni. Insomma, come ha ricordato il nostro direttore Raffaele Crocco qualche mese fa, c’è il rischio che l’auto elettrica finisca solo per rilanciare l’economia, “Puntando a un mercato certo e fregandosene di quanto questa scelta possa ampliare il distacco e le differenze fra ricchi e poveri. Sono scelte, infine, che dimostrano come oggi, in queste condizioni, se non interveniamo sui diritti al lavoro e sulle politiche di distribuzione della ricchezza, sventolare la bandiera di una ipotetica green economy sia un lusso permesso solo ai ricchi, a chi può pensare al superfluo. Per i 3miliardi e 700milioni di individui che sulla Terra vivono con meno di 5,5 dollari al giorno, l’unica green economy nota è quella delle loro tasche vuote”. 

Sono Alessandro, dal 1975 “sto” e “vado” come molti, ma attualmente “sto”. Pubblicista, iscritto all’Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell’Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori”, leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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