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Bonus casa, record di bonifici nel 2022: già pagati lavori per circa 14 miliardi – Il Sole 24 ORE

Bonus casa, record di bonifici nel 2022: già pagati lavori per circa 14 miliardi - Il Sole 24 ORE

4′ di lettura

Il 2022 si avvia a diventare l’anno record dei bonus fiscali per i lavori in casa. Lo dimostrano le ritenute sui bonifici “tracciabili” effettuate dalle banche e riversate all’Erario: da gennaio a giugno hanno raggiunto 1,7 miliardi, la cifra più alta da quando sono state introdotte (1° luglio 2010). Per fare un confronto – secondo le statistiche delle Finanze sulle entrate tributarie – tra il 2016 e il 2019 l’importo riversato dagli istituti di credito è sempre stato intorno a 1,8-1,9 miliardi. Ma in tutto l’anno, non in un semestre.

Tenendo conto che le ritenute di gennaio si riferiscono a bonifici di dicembre, si può calcolare che nei primi cinque mesi di quest’anno famiglie e condomìni abbiano pagato lavori agevolati per circa 14 miliardi. Anche qui siamo di fronte a un record. Da gennaio a maggio del 2019 – prima del Covid, del bonus facciate e del superbonus – ci si era fermati a 7,9 miliardi. Quasi la metà.

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IL TREND

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Proiettando i 14 miliardi dei primi cinque mesi su tutto il 2022, si può ipotizzare che al 31 dicembre i pagamenti tracciabili per lavori agevolati avranno raggiunto 48,9 miliardi. Una stima plausibile, dal momento che il principale serbatoio di lavori in questa fase (il 110%) continua a far segnare investimenti record. Ma, al di là delle incognite legate a qualsiasi previsione, bisogna dire che ormai il termometro delle ritenute non basta più – da solo – a misurare la febbre del mercato. L’ha spiegato bene il Cresme nel rapporto presentato alla Camera il 9 dicembre scorso: «Con l’introduzione dello sconto in fattura e della cessione del credito (contemplati non solo per il superbonus, ma anche per altre forme agevolative), spesso i “bonifici parlanti” effettuati presso banche e Poste non servono più e pertanto, non essendo effettuati, non rientrano nella rilevazione delle ritenute d’acconto nel capitolo delle entrate tributarie». Ad esempio, quando un’impresa fa lo sconto in fattura su un intervento agevolato dal 110%, il committente non paga nulla (e la banca non fa versamenti all’Erario). Discorso diverso, invece, quando il privato salda il conto al fornitore e poi cede il credito d’imposta a una banca: in quell’ipotesi il primo pagamento subisce regolarmente la ritenuta.

L’effetto ombra delle cessioni

Come ha rilevato il Cresme, non esistono dati ufficiali sulle opzioni di sconto in fattura, né su quelle di cessione. L’Enea, che raccoglie le pratiche di superbonus in versione “eco”, monitora il valore dei lavori asseverati, ma non distingue le modalità di fruizione. Il Cresme, comunque, ha stimato che nel caso del superbonus lo sconto e la cessione siano nettamente prevalenti sull’uso diretto della detrazione in dichiarazione. Per il bonus facciate, invece, l’uso diretto sarebbe più o meno pari alla monetizzazione del tax credit. Mentre il bonus ristrutturazioni e l’ecobonus sarebbero ancora sfruttati soprattutto con il recupero decennale in dichiarazione dei redditi.

Pur con tutte queste cautele, qualche ragionamento lo si può fare. Secondo l’Enea, tra gennaio e maggio di quest’anno sono stati ultimati investimenti agevolati dal 110% per 14,4 miliardi. Se almeno un terzo di questa cifra fosse coperta dallo sconto in fattura, vorrebbe dire che ai 14 miliardi di pagamenti tramite bonifici tracciabili rilevati dalle Finanze ne vanno aggiunti altri 4-5. Ma probabilmente si pecca per difetto. E comunque bisognerebbe aggiungere gli sconti in fattura applicati sul superbonus antisismico e sui bonus casa ordinari.

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