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Bonus edilizi e truffe allo Stato, perché il Superbonus non c’entra – Il Fatto Quotidiano

Punto primo: il Superbonus 110% non c’entra nulla. Le frodi si sono concentrate sugli altri sgravi, a partire dal bonus facciate, per i quali la legge del 2020 non prevedeva alcun controllo preventivo. Punto secondo: bloccare le cessioni dei crediti successive alla prima, come il governo Draghi ha deciso di fare a fine gennaio, mette in difficoltà chi deve completare la ristrutturazione della casa o la riqualificazione del condominio ma “non scoraggia le truffe, che si verificano soprattutto nel passaggio precedente: quello in cui si chiede la detrazione per lavori inesistenti”. Pasquale Saggese, coordinatore dell’area fiscalità della Fondazione nazionale dei commercialisti, è appena uscito da un’audizione davanti alla commissione Bilancio del Senato sul decreto Sostegni ter. Quello con cui il governo Draghi, sulla scia delle inchieste che hanno fatto emergere illeciti per 4,4 miliardi, ha appunto vietato di cedere più di una volta i crediti di imposta che derivano dai bonus edilizi. Il giudizio degli addetti ai lavori è una bocciatura.

Che dietro ci siano le polemiche politiche sulle truffe o la tentazione di limitare la spesa per le casse pubbliche, “questa è una reazione immotivata e ingiustificata“, argomenta Saggese. “Le grosse truffe sono state già arginate con il decreto antifrode del novembre 2021, che subordina lo sconto e la cessione di tutti i crediti fiscali ai controlli preventivi che erano previsti fin dall’inizio per il Superbonus. Ma quel decreto è arrivato quando i buoi erano già scappati. Il problema è quel che non si è fatto nel corso dell’anno precedente”. Cioè dal 15 ottobre 2020, quando l’Agenzia delle Entrate in attuazione del decreto Rilancio del governo Conte 2 ha attivato il canale telematico per comunicare la scelta tra sconto in fattura e cessione a terzi del credito derivante da interventi di ristrutturazione edilizia, recupero o restauro della facciata, riqualificazione energetica, riduzione del rischio sismico, installazione di impianti fotovoltaici e colonnine per ricaricare mezzi elettrici.

Per rilanciare l’edilizia e rendere più efficienti gli edifici italiani l’articolo 119 di quel decreto ha introdotto la generosissima possibilità di “ristrutturare la propria casa gratuitamente”, recuperando il 110% di quanto speso. Al netto dell’effetto dopante sul mercato, che ha alimentato i rincari delle materie prime e su cui ora si sta correndo ai ripari con un decreto che fissa massimali per ogni intervento, il Superbonus si è rivelato piuttosto resistente alle truffe. Perché per ottenerlo il comma 11 impone di presentare il visto di conformità rilasciato da un commercialista o consulente lavoro e l’asseverazione, da parte di un tecnico abilitato, della congruità delle spese sostenute. Un doppio livello di controllo che limita notevolmente il rischio che alle Entrate arrivino richieste di detrazione per lavori mai fatti, su palazzi fantasma o con fatture gonfiate previo accordo tra contribuente e ditta. Non a caso, come è emerso dall’audizione del direttore Ernesto Maria Ruffini, solo il 3% delle frodi ha riguardato il bonus 110%.

Se “i buoi sono scappati”, come dice Saggese, è a causa di un altro articolo della stessa legge, il 121, che disciplina la “Trasformazione delle detrazioni fiscali in sconto sul corrispettivo dovuto e in credito d’imposta cedibile”. L’oggetto in questo caso sono tutti i numerosi bonus edilizi, dal superbonus a quello al 90% per rifare le facciate fino a quelli dal 50 all’85% per varie singole misure di riqualificazione energetica e riduzione del rischio sismico. Nello scrivere la norma il legislatore si è scordato dei controlli: per cedere il credito non serve visto, asseverazione o stato di avanzamento lavori. L’unico presidio è l’ordinaria attività di controllo ex post delle Entrate, che però ha tempi lunghi. Idem per quanto riguarda l’articolo 122 sui crediti per botteghe e negozi (uno sconto sull’affitto) e per la sanificazione e acquisto di dispositivi di protezione. Maglie talmente larghe da lasciare increduli in alcuni casi gli stessi truffatori, come quelli che intercettati nell’ambito di un’inchiesta della Gdf di Rimini commentavano: “Lo Stato italiano è pazzesco, è una cosa… vogliono essere inc**lati praticamente“. Risultato: un sostanziale via libera a finte società create ad hoc per monetizzare false detrazioni truffando l’erario. Soldi che sarà difficile recuperare e che rischiano di pesare non poco sui bilanci di gruppi che hanno in pancia grandi quantità di crediti, a partire da Poste italiane.

Come è evidente, il problema riguarda dunque – più che le cessioni – il primo anello della catena. Quello in cui il credito “nasce”. Il decreto antifrodi messo in campo dal governo Draghi lo scorso novembre, dopo il primo allarme di Ruffini, è intervenuto esattamente su questo, allargando visto di conformità e asseverazione di congruità a tutti i bonus oltre a dare più potere di intervento alle Entrate che entro 5 giorni se ci sono profili di rischio possono sospendere gli effetti della cessione del credito. “Questo ha bloccato le grosse frodi”, continua Saggese. “Con questi controlli preventivi una nuova stretta non serviva: non penalizza i frodatori ma chi ha davvero bisogno di cedere il credito per completare i lavori. Così si fanno fallire le imprese e si lasciano le ristrutturazioni a metà”. Il governo non a caso si prepara ora a fare una mezza marcia indietro consentendo, se le anticipazioni saranno confermate, fino a tre cessioni attraverso canali certificati.

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