I nuovi bonus fiscali – tra i più noti, i cosiddetti
bonus facciate e il superbonus
110% – rappresentano sicuramente delle
opportunità non solo per i cittadini, i quali
potranno risparmiare nei lavori di ritinteggiatura,
riqualificazione energetica o sismica, ripristino e manutenzione
delle proprie case, ma anche per l’intera nazione, che vedrà
rinnovato il suo patrimonio immobiliare e un sensibile
miglioramento del decoro urbano. In più, non si può negare che si
tratti di un’importante occasione per il rilancio del settore
dell’edilizia, che da sempre rappresenta il volano dell’economia
nazionale, e di tanti professionisti ad esso affiliati.
Dunque, le misure sono state presentate come strumenti win –
win, ovverosia in cui vincono tutti. Ma è davvero così?
Un mito e il suo declino
Prima di tutto, occorre sfatare un mito duro a morire:
diversamente da quanto proclamato da alcuni, i lavori
NON SONO GRATUITI.
Semplicemente il costo delle opere viene convertito in un
credito d’imposta nei confronti dell’erario, che il cittadino potrà
utilizzare direttamente in detrazione nei successivi periodi
d’imposta (cinque nel caso del superbonus, dieci per il bonus
facciate), oppure cedere a un terzo o all’impresa che ha effettuato
i lavori attraverso lo “sconto in fattura”; queste ultime società
potranno a loro volta dedurre il credito in compensazione, oppure
nuovamente cederlo a soggetti terzi, ivi compresi gli istituti di
credito e gli altri intermediari finanziari.
Un primo rischio per il contribuente è proprio questo: che
l’Agenzia delle Entrate, a seguito di un controllo, possa
disconoscere il credito d’imposta eventualmente ceduto al terzo o
all’impresa che ha effettuato i lavori, non ritenendo sussistente
uno o più requisiti per la fruibilità del bonus fiscale.
A questo punto, l’art 121 del d.l. 34/2020 e s.m.i. dispone che,
ove sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei
requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia
delle entrate provvederà al recupero dell’importo corrispondente
alla detrazione non spettante nei confronti del soggetto che ha
esercitato l’opzione, maggiorato degli interessi e delle sanzioni
dal 100 al 200%.
Quindi, lo stesso art. 121 del decreto Rilancio specifica bene
che l’Ufficio si rivolgerà direttamente al cittadino che
ha richiesto il beneficio, mentre la responsabilità dei
fornitori e dei terzi cessionari sarà solamente residuale,
ovverosia nelle ipotesi in cui abbiano utilizzato il credito
d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al
credito d’imposta ricevuto.
Inoltre, come approfondito dalla circolare n. 24/E/2020
dell’Agenzia delle Entrate, il fornitore che acquisisce il credito
in buona fede non perde il diritto a utilizzare il credito
d’imposta, che sarà recuperato nei confronti del beneficiario.
Si rammenti che i tempi per il disconoscimento del beneficio
fiscale sono piuttosto lunghi, considerando che l’Agenzia delle
Entrate può notificare l’accertamento entro il 31 dicembre del
quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la
dichiarazione con la quale si fruisce del beneficio fiscale e, nel
caso di cessione del credito, l’atto di recupero dello stesso potrà
avvenire entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello
di utilizzo irregolare; dunque, poiché il credito d’imposta è
usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale
sarebbe stata utilizzata la detrazione, l’accertamento potrà
avvenire sino all’ottavo anno dall’ultimo utilizzo di crediti
inesistenti portati in compensazione (cinque nel caso di
superbonus, dieci per il bonus facciate).
Il ruolo dei Comuni
Va detto che la prospettiva sopra riportata – seppur spiacevole
– non appare poi tanto remota, solo se si consideri che il
perimetro applicativo delle norme relative ai bonus fiscali, e in
particolare quello del superbonus, sono tutt’altro
che definiti.
I presupposti, previsti a pena di disconoscimento del beneficio,
sono infatti previsti in una normativa complessa, tecnica e
stratificata, e specificati in un’imponente prassi rappresentata da
circolari e interpelli dell’Agenzia delle Entrate.
A titolo di esempio, conviene ricordare che ai sensi dell’art.
49 del Testo Unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. n.
380/2001), gli interventi abusivi realizzati in assenza di titolo o
in contrasto con lo stesso, ovvero sulla base di un titolo
successivamente annullato, non beneficiano delle agevolazioni
fiscali previste dalle norme vigenti, né di contributi o altre
provvidenze dello Stato o di enti pubblici.
Per altro, la legge prevede espressamente un obbligo per i
Comuni di segnalare all’amministrazione finanziaria, entro tre
mesi dall’ultimazione dei lavori o dalla segnalazione certificata,
ovvero dall’annullamento del titolo edilizio, ogni inosservanza
comportante la decadenza dal beneficio fiscale, proprio al fine di
agevolarne il recupero.
Dunque, i Comuni potrebbero essere i primi segnalatori di
eventuali difformità.
I rischi per i beneficiari dei bonus
Occorre poi ricordare che, a livello penale, i comportamenti
truffaldini posti in essere dai beneficiari dei benefici fiscali
potrebbero determinare – a seconda della condotta posta in essere –
una responsabilità per reati quali la truffa aggravata ai danni
dello stato (art 640 c.2 c.p.) oppure la truffa per il
conseguimento di erogazioni pubbliche (art 640 bis c.p.), o la
falsità ideologica in certificati (art 481 c.p.c) in concorso con i
tecnici abilitati, come vedremo subito di seguito.
Il cittadino dovrà altresì guardarsi bene da comportamenti poco
corretti delle ditte che promettono lavori “a gratis”, salvo poi
proporre preventivi astronomici.
Occorre evidenziare, infatti, che fatturare lavori inesistenti o
per importi gonfiati può comportare pesanti conseguenze penali sia
per la l’impresa che esegue i lavori, sia per i beneficiari.
In particolare, nelle ipotesi in cui i lavori siano
completamente fittizi, o quantomeno i costi siano illecitamente
aumentati al fine di ottenere un maggiore beneficio, possono venire
in rilievo illeciti tributari quali quelli previsti per le
operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, nonché
l’indebita compensazione.
In particolare, l’impresa che effettua i lavori ed emette le
fatture potrebbe rispondere del reato di cui all’art 8 D.Lgs. n.
74/2000 qualora i lavori non vengano effettivamente svolti, oppure
se abbiano riguardato interventi non agevolati e, infine, anche nel
caso di sovrafatturazione.
Ai sensi dell’art. 1 della Legge sui reati tributari, infatti,
per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si
intendono le fatture emesse “… a fronte di operazioni
non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i
corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a
quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti
diversi da quelli effettivi”.
Sussisterebbe, poi, l’illecito della fatturazione
soggettivamente inesistente ove l’emittente la fattura sia un
soggetto diverso dalla ditta che ha effettivamente realizzato le
opere.
A livello sanzionatorio, l’art. 8 del D.Lgs n. 74/2000 prevede
la pena della reclusione da quattro a otto anni; se l’importo non
rispondente al vero indicato nelle fatture per periodo d’imposta, è
inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e
sei mesi a sei anni.
I beneficiari dei lavori, consapevoli dell’illecito, potrebbero
rispondere in concorso con l’impresa laddove non abbiano indicato
la fattura nella dichiarazione, ma cedano il credito; se, invece,
hanno portato la fattura in detrazione, potrebbero rispondere del
reato di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000, ovverosia
“dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti”. Tale fattispecie
punisce “… con la reclusione da quattro a otto anni
chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore
aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette
imposte elementi passivi fittizi”. La pena è diminuita,
da un anno e sei mesi a sei anni “… se l’ammontare degli
elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila”.
Occorre, infine, ricordare che l’art. 10 del D.Lgs. n. 74/200
punisce la condotta dell’indebita compensazione, che si realizza
ove il contribuente utilizzi il credito in compensazione,
consapevole dell’inesistenza del medesimo.
Va aggiunto che la Suprema Corte, sezione Penale, con il recente
arresto n. 36916/2020, ha ritenuto di confermare il suo consolidato
orientamento in tema di concorso tra reato di frode fiscale
mediante uso di fatture per operazioni inesistenti e truffa
aggravata ai danni dello Stato, ribadendo che è possibile il
concorso tra i predetti reati, laddove la condotta di frode fiscale
sia finalizzata, oltre al conseguimento del profitto derivante
dall’evasione fiscale, anche all’ottenimento di erogazioni
pubbliche in assenza dei requisiti necessari – trattandosi di
profitto diverso e ulteriore rispetto al primo.
I rischi per i professionisti abilitati
Per quanto riguarda, invece, i professionisti abilitati che
partecipano alla procedure, anch’essi non sono esenti da eventuali
pesanti responsabilità.
Questi ultimi sono chiamati a redigere
attestazioni/certificazioni che tengono luogo del controllo dello
Stato nella procedura amministrativa, e si interfacciano con la
pubblica amministrazione – per conto del proprio cliente – durante
tutto il percorso; i medesimi professionisti, iscritti in appositi
albi, sono quindi pacificamente inquadrabili nella categoria delle
persone esercenti un servizio di pubblica utilità ai sensi dell’art
359 c.p. (Cass. Pen. Sent. 9821/1986, Cass. Pen. Sent.
8303/2006).
Conseguentemente, il falso ideologico commesso dal
professionista nella redazione di certificati o attestazioni che
assolvano la funzione di dare alla pubblica amministrazione
un’esatta informazione circa lo stato dei luoghi, potrebbe ben
configurare il reato di cui all’art. 481 c.p., punito con la
reclusione fino a un anno o con la multa da 51 a 516 euro.
Ed infatti, non si dimentichi che, secondo la giurisprudenza
prevalente, integra il delitto di falsità ideologica in certificati
di cui all’art. 481 c.p., la presentazione a corredo della
richiesta del permesso di costruire di una planimetria falsamente
descrittiva dello stato dei luoghi; peraltro, del reato ne
rispondono sia il professionista, che ha redatto la planimetria,
sia il committente che si avvale della documentazione infedele
(Cass. Pen. Sent. 30401/2009; Cass. Pen. Sent.
15860/2006). Inoltre, si ricordi che il D.M. 6 agosto 2020 (cd
D.M. “Asseverazioni”) prevede espressamente che, relativamente alle
asseverazioni richieste per gl’interventi di cui ai commi 1, 2 e 3
dell’art. 119 del decreto Rilancio (con le quali il professionista
attesta che gli interventi di cui ai commi 1, 2 sono conformi ai
requisiti di cui all’allegato A del decreto requisiti ecobonus,
nonché la congruità dei costi degli stessi interventi) la
dichiarazione debba essere sottoscritta dal tecnico abilitato, ai
sensi e per gli effetti degli articoli 47, 75 e 76 del decreto del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
Non di meno, anche l’A.P.E., ai sensi del D.Lgs. n. 192/2015,
deve essere resa in forma di dichiarazione sostitutiva di atto
notorio ai sensi dell’articolo 47, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
Ma cosa significa ciò?
Andiamo ad analizzare l’art 76 c. 3 del D.P.R. n. 445/2000: la
detta norma, oltre a prevedere un aumento da un terzo alla metà
delle pene per chiunque rilasci dichiarazioni mendaci, formi atti
falsi o ne faccia uso nei casi previsti dal ridetto testo unico,
dispone altresì che le dichiarazioni rese ai sensi degli artt. 46 e
47 debbano ritenersi come fatte a un pubblico ufficiale.
Ne consegue che, per questi atti, essendo il falso rivolto al
pubblico ufficiale e relativo a fatti dei quali l’atto è destinato
a provare la verità, potrebbe risultare integrata la più grave
falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico di cui
all’art. 483 c.p., punita con la reclusione sino a 2 anni (al netto
del succitato aumento).
Laddove, poi, non sussistano gli estremi dei reati sopra
ricordati, si ricordi che l’art. 119 d.l. 34/2020 al comma 14
prevede comunque, in via residuale, una sanzione amministrativa
pecuniaria a carico dei soggetti che rilasciano attestazioni e
asseverazioni infedeli da euro 2.000 a euro 15.000 per ciascuna
attestazione o asseverazione infedele resa.
Le falsità nei titoli abilitativi
Per quanto riguarda i titoli abilitativi, l’art. 19 della legge
n. 241/1990 in materia di falsità nella SCIA prevede che, ove il
fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle
dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la
segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente
l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 del
predetto articolo, è punito con la reclusione da uno a tre
anni.
Ma non è finita qui.
Nei casi di SCIA in materia edilizia l’art 6-bis richiama le
responsabilità e le sanzioni previste dal decreto del Presidente
della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali, il
quale prevede all’art. 29 che il progettista assuma la qualità di
persona esercente un servizio di pubblica necessità, con
conseguente applicabilità della fattispecie di reato prevista e
punita dall’art.481 c.p. Resta, poi, la responsabilità per le
dichiarazioni rese ai sensi degli artt. 75 e 76 DPR n. 445/2000,
sopra descritta.
Quanto alla CILA, invece, Il Testo Unico D.P.R. 380/01 non
prevede al suo interno una specifica sanzione penale relativa alla
responsabilità del professionista.
Tuttavia, anche in questo caso, il tecnico assume la qualità di
esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli articoli
359 e 481 c.p., e le sue dichiarazioni devono essere rese ai sensi
e per gli effetti dagli articoli 75 e 76 del DPR n. 445/2000, con
tutte le conseguenze sopra descritte.
Tornando alla normativa relativa al Superbonus 110%, conviene da
ultimo ricordare che ai sensi dell’art. 119 D.L. Rilancio, la non
veridicità delle attestazioni o asseverazioni comporta la decadenza
dal beneficio. A questo punto, quindi, i soggetti danneggiati
potranno rivalersi nei confronti del professionista, il quale potrà
a sua volta attivare l’assicurazione obbligatoria per i soggetti
che rilasciano le attestazioni e le osservazioni.
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