Il principio dell’equo compenso per le prestazioni d’opera
intellettuale è affermato sia nel nuovo Codice degli appalti
(d.lgs. 36/2023), sia dalla recente legge n. 49/2023. Tale
principio necessariamente incide sulla determinazione del compenso
del professionista, ma è lecito non consentire deroghe ai parametri
fissati dai Decreti Ministeriali?
Una recente pronuncia della Corte di Giustizia Europea (Causa
C-438/22) ripropone tale dubbio.
L’equo compenso nel nostro ordinamento
Il diritto del professionista intellettuale ad un compenso equo
per l’attività svolta, è un principio presente e regolamentato da
tempo nel nostro ordinamento. L’art. 2230 comma 2 del Codice
civile, infatti, prevede che: “In ogni caso la misura del compenso
deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della
professione”.
Peraltro, l’equo compenso è un principio che trova la sua
matrice costituzionale nell’art. 36 Cost., il quale sancisce che
“il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo lavoro”.
Un tempo, per le professioni regolamentate, erano previsti
parametri fissi e predeterminati dal legislatore; successivamente –
con il d.l. 4
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