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Il grande assente della manovra è la transizione ecologica – L’HuffPost – NEWS110

SOPA Images SOPA Images/LightRocket via Gett

Roberto Cingolani

La prima legge di Bilancio del governo “ambientalista” guidato da Draghi ha suscitato molte aspettative, ma nei modi e nel testo è difficile trovare la svolta che serviva. Nel metodo ha ripreso, se non peggiorato, le pessime consuetudini degli ultimi anni, imponendo un monocameralismo di fatto che ha consentito di incidere sulla manovra solo al Senato, marginalizzando il Parlamento con tempi ultra contingentati e accordi raggiunti nei ministeri. Nel merito manca proprio un contributo forte sulla transizione ecologica, una strategia seria di contrasto alla crisi climatica. Per questo noi deputati di FacciamoECO non abbiamo votato la manovra, ma siamo usciti dall’aula.

Ciò premesso mi soffermo sui contenuti. Le risorse del bilancio nazionale dovrebbero servire per dare un indirizzo green alle politiche industriali e agricole, per spostare la fiscalità dal lavoro al prelievo di risorse, per mettere in sicurezza il territorio, rinnovare il welfare, sostenere lavoratori e territori maggiormente coinvolti dalla transizione all’insegna della giustizia ambientale e sociale. Invece si usano per dare “mance” e aiuti senza un disegno organico. Si va dal Gran Premio di Formula 1 alle corse dei cavalli, ma l’elenco è lunghissimo.

Più in generale la manovra riflette timidezza e contraddizioni con cui il governo sta affrontando la transizione ecologica. Da mesi assistiamo a un assurdo dibattito sul nucleare, ma ancora si deve decidere dove realizzare il deposito per i rifiuti a bassa e media radioattività della passata stagione atomica. Si discute di caro bollette come se la causa fosse la transizione energetica e non la nostra dipendenza dal gas. Si rilasciano autorizzazioni per sostituire le centrali a carbone, da chiudere entro il 2025, con centrali a gas, senza che il Piano Energia e Clima sia stato adeguato all’impegno europeo di tagliare le emissioni di almeno il 55% al 2030.

Alcune misure positive per l’ambiente ci sono, ma manca la visione. Penso per esempio al Fondo di sostegno alla transizione industriale per chi investe in efficienza e uso circolare delle risorse. Ma nella versione dell’esecutivo era destinato anche agli interventi di cattura sequestro e riutilizzo della CO2, una tecnologia non matura con cui ci si illude di poter continuare a inquinare. Per fortuna nel passaggio al Senato è stata esclusa questa possibilità, che sarebbe andata con ogni probabilità a vantaggio dell’Eni.

C’è poi un Fondo per Mobilità Sostenibile con finanziamenti crescenti, però dal 2023, per interventi vari, dal rinnovo del parco autobus all’acquisto di treni a idrogeno, passando per le ciclovie urbane. Soldi che forse sarebbe stato più utile avere subito per investirli sulla necessaria elettrificazione del trasporto pubblico. Ci sono risorse per la tutela del suolo e dell’assetto idrogeologico e più fondi per la gestione dell’emergenza. A tutela dei nostri cittadini e per la maggiore efficacia della spesa pubblica sarebbe più lungimirante investire prioritariamente in prevenzione, ma sembra che non impariamo mai la lezione. Tra le novità positive penso anche al Fondo per il clima per favorire interventi in Paesi beneficiari dell’aiuto allo sviluppo, peccato che per il nostro contributo al fondo verde da 100 miliardi di dollari annui: servirebbe decisamente di più.

Chiesta più o meno da tutto l’arco costituzionale, è arrivata la proroga del Superbonus al 110%. Ma solo grazie all’impegno del Senato è saltato il vincolo del tetto Isee di 25 mila euro e dell’abitazione principale per le case unifamiliari, mentre rimane l’obbligo dell’avanzamento dei lavori al 30% a giugno 2022. Vengono mantenuti gli sgravi per i territori colpiti dal sisma e sempre grazie al passaggio in Senato è stata corretta l’insostenibile contraddizione secondo la quale per l’installazione di pannelli fotovoltaici si arrivava solo a metà 2022, mentre per caldaie a gas ed elettrodomestici di classe energetica bassa si arrivava fino al 2024. Ora rientra anche il fotovoltaico e c’è uno sgravio per l’eliminazione delle barriere architettoniche.

Si è ottenuto, insomma, il non scontato risultato di aver sventato il tentativo del governo Draghi di smantellare il Superbonus, l’unica misura seria di efficienza energetica che sta funzionando. Ora però servirebbe una riforma generale per stabilizzarlo, controllare meglio le frodi, aumentare la sicurezza nei cantieri e migliorare i bonus. Non ha senso continuare a incentivare le caldaie a gas e ad escludere chi non ha impianti di riscaldamento. E andrebbero ripensate le tempistiche per l’edilizia.

Al di là di quello che c’è e che andrebbe corretto, questa manovra si caratterizza soprattutto per quello che non c’è: l’avvio del graduale taglio agli oltre 19 miliardi di sussidi che ogni anno, ci dice lo stesso ministero, diamo alle attività dannose per l’ambiente.

Insieme ai colleghi di FacciamoECO ho presentato 40 proposte correttive, tra cui l’istituzione di un contributo ecologico sulla CO2 generata nella produzione di beni e servizi, il taglio dei sussidi fossili e ambientalmente dannosi e l’utilizzo delle risorse così liberate a sostegno della decarbonizzazione dei settori più toccati dalla transizione ecologica e dei cittadini meno abbienti, l’esclusione delle caldaie a gas fossile dal Superbonus. Ma non è stato possibile né discuterle né votarle.

E anche quest’anno la transizione può attendere. Merito di un “frainteso” ministro Cingolani che dovrebbe lasciare il MiTe – e come FacciamoEco siamo pronti a presentare una mozione di sfiducia individuale – non perché ha finito il suo compito, ma perché la sua idea di transizione è più simile a quella di Eni che a quella del Green New Deal europeo.

Link all’articolo Originale tutti i diritti appartengono alla fonte.

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