Una giornata sulle montagna russe: prima i parlamentari spingono per l’addio al governo, poi si raffreddano dopo la mano tesa del premier. Floridia correrà alle primarie per il campo largo in Sicilia
Fino all’ora di pranzo tutti a spingere il leader M5S a uscire dal governo per dare l’appoggio esterno. La fase «incendiaria» si raffredda però con il passare delle ore, quando anche i parlamentari anti Draghi più accesi sono costretti ad abbassare i toni. Sono gli effetti dei calcoli da realpolitik. Ma anche (e soprattutto), come spesso accade, è una questione finanziaria. Uscendo dal governo, il Movimento dovrebbe rinunciare a tre ministri (Patuanelli, D’Incà e Dadone), a una viceministra (Todde) e a quattro sottosegretari (Sibilia, Accoto, Fontana e Floridia, che ieri è stata anche incoronata candidata M5S alle primarie del campo largo per la candidatura a governatore della Sicilia). Questo apparato di governo, grazie ai relativi staff di ogni membro dell’esecutivo, si porta dietro appunto un gruppo di lavoro, che opera anche a livello politico pro Movimento, i cui costi sono a carico dello Stato e non delle casse del Movimento, che non navigano certo in buone acque tra scissione dimaiana e mancati rimborsi.
Questione di bilancio a parte, la vera questione del raffreddamento risulta essere politica, almeno ad annotare ciò che dicono a taccuini chiusi, alcuni dei 166 parlamentari rimasti fedeli al leader. Coloro che sono un po’ più ferrati sui numeri, hanno iniziato a far girare messaggi tipo: «Anche se usciamo dalla maggioranza il governo resta bene in piedi lo stesso». «E allora cosa molliamo a fare?». Conte, e il suo spin doctor Rocco Casalino, rimangono convinti che perseguire sulla linea dura, alla fine, pagherà sui consensi, teoria politica però non confermata dai sondaggi.
In serata, dopo che Draghi a favore di telecamere sottolinea con forza che «senza i il M5S questo governo non sarebbe mai nato», si registra una ulteriore frenata anche da qualcuno dei più riottosi. Una tregua armata, insomma. Perché nonostante tutto, la tensione resta alta. Perché da una parte c’è Grillo che continua a canzonare Conte con l’appellativo di «la pochette che cammina», riferendosi al fazzoletto che l’ex premier indossa sempre nella sua giacca blu d’ordinanza. Dall’altra c’è invece il medesimo leader che si trova in una fase decisiva, ancora una volta, schiacciato spalle al muro dal garante. L’ex premier, dopo l’addio dei 61 parlamentari dimaiani che ieri si sono riuniti per il primo vertice operativo, si era davvero messo in testa di strappare con Draghi per partire in contropiede, ma poi lo stesso Grillo lo avrebbe frenato a gamba tesa.
Tuttavia, lo scontro di mercoledì tra il premier e Conte — innescato dalla confidenza del sociologo De Masi sul presunto tentativo di Draghi, con Grillo come tramite, di far fuori Conte dalla guida del Movimento —, sembra aver lasciato il segno nella comunità dei Cinque Stelle, con la «base» in testa. Su tutte le piattaforme social, termometro a cui i grillini sono particolarmente sensibili, «è un flusso continuo di simpatizzanti e attivisti che ci dicono “basta”, che è ora di lasciare il governo», sottolinea uno dei deputati fedelissimi a Conte.
Le polveri potrebbero riaccendersi a breve. Il governo infatti non ha intenzione di modificare la norma sul termovalorizzatore di Roma. Se l’esecutivo dovesse blindare il «dl aiuti», il M5s voterebbe sì alla fiducia ma no al provvedimento finale. Sul tavolo poi ci sono chiaramente il quarto decreto per l’invio di nuove armi all’Ucraina, oltre c’è al congelamento dei Superbonus 110%, fronte su cui battagliano anche i deputati di Alt, che ieri hanno occupato la commissione Bilancio.
30 giugno 2022 (modifica il 30 giugno 2022 | 22:48)
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Source: corriere.it
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