Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani racconta ai Gazzetta Motori Days le sfide del nostro Paese in tema di mobilità, spiegandoci il suo punto di vista sulla mobilità elettrica e sull’idrogeno
Roberto Cingolani, Ministro della Transizione ecologica, 59 anni, vive a Genova. Fisico e accademico, prima di entrare in carica come Ministro è stato responsabile dell’innovazione tecnologica in Leonardo. Ai Gazzetta Motori Days racconta al vicedirettore Gianni Valenti le prospettive presenti e future delle mobilità italiana.
Il Covid-19 ha cambiato la mobilità delle nostre città: dalla micromobilità all’attenzione verso l’ambiente È una vera e propria opportunità per migliorare il problema dell’inquinamento?
“La pandemia, al di là del carico tremendo di vittime che ha portato, ha risvegliato un po’ quel senso di recupero del rapporto con l’ambiente. La bicicletta era uno dei pochi mezzi per poter uscire e fare un po’ di attività sportiva e ha riavvicinato molti alle due ruote. In molti casi l’utilizzo della bici è anche un fatto di civiltà. In molti Paesi del nord Europa la bici è considerata il mezzo di trasporto principale. È la classica scelta di co-beneficio: fa bene alla salute, e fa bene all’ambiente. Chissà se questa possa essere considerata una piccola conseguenza positiva di questo periodo. Io credo che il futuro dovrà fare assolutamente conto delle due ruote, casomai delle due ruote elettriche per chi non ha la “gamba” da ciclista. Occorrono grandi investimenti sulle ciclabili. Io vivo a Genova e lì è un po’ più dura perché ci sono le pendenze del 12-13% ovunque si voglia andare. Però anche quella è una buona occasione per fare allenamento”.
In questo senso il bonus mobilità del 2020 è stato un grande successo. Pensate a qualcosa di simile anche per il 2021?
“In questo momento a causa dei problemi che abbiamo avuto questo è rimasto un argomento che non abbiamo ancora trattato. Io credo che possa essere ragionevole continuare a dare una mano. Oltre a essere andato molto bene, quel tipo di incentivo aiuterebbe i produttori di biciclette, anche tra quelli di altissima gamma, colpiti sia dalla pandemia sia dalla crisi dei chip con cui si costruiscono le moderne biciclette da strada. Dobbiamo quindi recuperare la normalità e sperare che questa cosa avvenga prima possibile. Personalmente ritengo che potenziare il ciclismo nelle città sia una soluzione comunque sempre auspicabile”.
Abbiamo un parco circolante che sfiora i 40 milioni di auto, di cui Euro 5 e 6 poco più di 17 milioni. Lei e il Governo avete in mente qualcosa per incentivare la rottamazione dei veicoli più inquinanti?
“Il problema principale è l’impossibilità per le famiglie a comprare la macchina nuova. Quindi prima bisogna dare una mano a chi non riesce, specialmente in periodo di pandemia che ha messo tutti in ginocchio. Secondo problema: io ho vissuto in Germania e lì c’è un gran culto dell’automobile a cui però corrispondono eccellenti trasporti urbani. Sono certo che con una rete di trasporti urbani efficiente anche gli italiani rinuncerebbero all’automobile per potersi muovere. Potenziare il trasporto urbano pubblico è uno sforzo che bisogna fare. Noi su questo stiamo lavorando anche nell’ambito del recovery plan e persino sul trasporto urbano ci sono tanti mezzi vecchi inquinanti. Abbiamo misure che aiuteranno l’industria italiana a sviluppare sorgenti alternative, che comprendono anche l’idrogeno per autobus più grandi. C’è un’attenzione particolare per il trasporto pubblico, che si estende fino al trasporto navale”.
Il comparto auto nel nostro paese è molto importante anche per l’indotto. Gli incentivi che hanno sorretto il mercato nei primi mesi del 2021, sopratutto per l’acquisto di full e mild hybrid, sono finiti. Pensate possano essere riproposti?
“Al momento sia il precedente governo che quello attuale hanno erogato somme molto alte. Probabilmente non sufficienti, ma è stato fatto uno sforzo enorme. Inoltre, gli incentivi per questa fascia di vetture sono andati in secondo piano rispetto ad altri. Credo che la questione meriti una riflessione che immagino verrà fatta a breve. Adesso facciamo partire il recovery fund e credo che questi incentivi verranno riconsiderati”.
Potremmo quindi attenderci delle novità dopo il recovery fund?
“Secondo me è ragionevole. Ci sarà certamente una riflessione su questo”.
Lei ha parlato dell’importante transizione tra il termico e l’elettrico. Ha in mente una strategia per quanto riguarda questa mutazione che si può considerare epocale per l’automotive?
“Sì, per la mobilità è una transizione senza precedenti. È paragonabile a quando è comparso il motore a combustione interna, quindi un nuovo sistema di trazione. In questi primi anni dobbiamo scontrarci su elementi come l’offerta, la domanda e la complessità del mercato. È chiaro che oggi prendere una Euro 6 lasciando una Euro 1 è un enorme vantaggio dal punto di vista dell’impatto ambientale e nei prossimi 5-10 anni avremo sempre meno mezzi Euro 0, 1, 2, 3 soppiantati auspicabilmente da Euro 6. Vedremo crescere ancora le ibride e prepareremo la transizione verso le elettriche. Per favorire la penetrazione dell’elettrica sul mercato occorre che la tecnologia consenta di alzare la capacità e abbattere i costi, altrimenti le elettriche restano, a parità di categoria, troppo costose. Nel frattempo bisogna produrre molta più energia elettrica rinnovabile per evitare che la stessa venga prodotta da sorgenti fossili. Quindi, nel momento in cui aumentiamo il consumo di energia elettrica rinnovabile dobbiamo anche adeguare la rete che deve diventare smart, favorendo sorgenti discontinue, come l’eolico e il fotovoltaico, e quelle continue, come il gas. Questa è una transizione molto complessa che non si fa in un anno”.
Nel piano nazionale di ripresa e resilienza avete destinato circa 740 milioni allo sviluppo dell’infrastruttura di ricarica. Con questo tipo di finanziamento quante colonnine pensa potrebbero essere installate nel nostro Paese e in quanto tempo?
“Il recovery plan dura cinque anni. La nostra prima data di verifica è il 2030, in cui dovremo aver dimostrato di aver abbassato del 55% i gas climalteranti rispetto al 1990. Quindi, dal 2021 al 2026 dobbiamo accelerare la predisposizione del Paese. Contiamo di installarne circa 10 mila, che vuol dire adeguare la rete e portare sia la corrente continua che l’alternata. Però ricordiamoci che sono cinque anni. Fino al 2050, quando dovremo essere tutti decarbonizzati, ne passeranno altri 25. Quindi, quello che faremo con il recovery plan non risolverà tutti i problemi del futuro. È un acceleratore che ci consente di partire e poi dovremo gestire questa crescita avendo adeguato le infrastrutture principali. Oggi, anche installando 50 mila colonnine, non avremmo la rete per alimentarle in maniera appropriata: bisogna far crescere di pari passo l’offerta e la domanda”.
Una curiosità: lei ha un’auto elettrica o elettrificata? Ne ha mai guidata una?
“Ho guidato auto a zero emissioni e possiedo auto ibride da molti anni ormai. Mi piacerebbe passare a un’elettrica se possibile, casomai avendo più possibilità di ricarica anche facendo viaggi lunghi. Parte della transizione è anche questo”.
Che prospettive abbiamo sull’idrogeno?
“Ci sono già esempi di veicoli funzionanti a idrogeno. Per i mezzi pesanti l’idrogeno è una tecnologia promettente. Sicuramente c’è da fare molto, ma questa è una strada da guardare con molto interesse. Per quanto riguarda l’automobile a idrogeno, al momento ci sono credo tre compagnie che producono auto commerciali. È un po’ difficile comprare un’auto simile per mancanza di infrastrutture, però anche questa è una tecnologia che si svilupperà in fretta. Noi abbiamo messo oltre 3 miliardi sulle tecnologie a idrogeno, non solo per la mobilità ma anche per i settori industriali molto inquinanti come le acciaierie, e abbiamo tutto un programma di sviluppo per navi, grandi camion e grandi bus. È una cosa che il mondo sta facendo con molta attenzione. Ricordo che queste erano tecnologie usate per lo spazio. Produrre idrogeno verde è una grande sfida perché attualmente costa molto. L’idrogeno non verde, invece, è molto più economico ma inquinante. Anche questa è una strada che abbiamo intrapreso come gli altri Paesi europei e su cui continueremo a fare investimenti massicci”.
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