Il Consiglio dei ministri di sabato 24 aprile è stato prima rimandato poi affrontato dal premier Mario Draghi in una situazione di altissima tensione che ha portato l’esecutivo a veder messa più volte in discussione la presentazione ufficiale della bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) impostata nei giorni scorsi.
La pietra d’inciampo è stata in questo caso la questione legata al Superbonus, l’intervento fortemente voluto dal Movimento Cinque Stelle e promosso ai tempi del governo Conte II nel quadro del Decreto Rilancio di maggio 2020, che inizialmente pareva destinato a non venir prorogato oltre la naturale scadenza del 2022. Il Superbonus è nato con l’obiettivo di ridare slancio al settore dell’edilizia portando le detrazioni per alcuni interventi di efficientamento energetico e per le misure antisismiche dal 65% e 50% ad un’aliquota del 110%, disponibile anche per gli interventi di ristrutturazione delle facciate o di installazione di pannelli fotovoltaici e erogata sotto forma di cinque crediti annuali d’imposta, che i soggetti titolari (persone fisiche, aziende, condomini etc.) possono anche vendere a terzi.
L’asse formatosi in Consiglio dei Ministri tra i pentastellati e Forza Italia, che sostiene la misura in chiave di ripresa dell’economia, ha prodotto un accordo ritenuto soddisfacente dalle forze politiche: il Superbonus sarà finanziato con 10 miliardi di euro della componente dedicata alla Transizione ecologica e studiata dal Ministro Roberto Cingolani nel Recovery Fund e con 8 miliardi di euro di un fondo per investimenti complementari per la componente legata alla sua attuale scadenza. Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco hanno inoltre promesso un impegno diretto a reperire i 10 miliardi necessari a garantirne la proroga fino al 2023, da mettere nero su bianco nella prossima legge di bilancio.
La scelta di mantenere il Superbonus, avvallata dai forzisti, si inserisce nel solco delle negoziazioni politiche e dei cambiamenti strutturali attesi nel Paese per l’era Draghi, sottolineando come sia emersa la convinzione che le problematiche e i ritardi connessi al bonus non fossero legati tanto alla ratio dell’unica, vera norma di impronta keynesiana e anti-ciclica varata dal governo Conte II quanto piuttosto dall’eccessiva necessità di documentazione burocratica e dall’incertezza sulle approvazioni che, ad ora, hanno fortemente limitato l’impatto economico dell’intervento. Sui 9 miliardi di euro di detrazione che arano stati previsti dal governo e dall’Ance (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) per il 2021, a febbraio erano stati raggiunti solo 340 milioni di euro con oltre 3100 interventi in tutto il Paese, ovvero circa il 3,8%.
Un vero problema, se si considerano gli impatti potenziali del Superbonus sull’economia italiana che il dipartimento per la Programmazione Economica di Palazzo Chigi ha, nel marzo scorso, analizzato assieme a Open Economics e alla Luiss Business School: nel rapporto si nota che in Italia “a fronte di un aumento della spesa per edilizia abitativa pari a 8,75 miliardi nel triennio 2020-2022, si registrerebbe un incremento del valore aggiunto complessivo per il Paese di 16,64 miliardi nel periodo di attuazione del provvedimento e un ulteriore incremento di 13,71 miliardi negli 8 anni successivi a fronte di un impatto netto attualizzato sul disavanzo pubblico pari a -811 milioni di euro”. Un effetto moltiplicatore pari a 3,5 difficilmente raggiungibile da altre misure di spesa, fattispecie che segnala la natura centrale e vitale del comparto dell’edilizia per il sistema-Paese e che è stato un problema frenare, nell’ultimo anno, inserendo cavilli burocratici e responsabilità civili per i progettatori che hanno fortemente disincentivato la misura.
Intestandosi la difesa della misura i Ministri di Forza Italia hanno, in un certo senso, spinto il governo Draghi a valorizzare sia gli effetti ambientali che quelli produttivi del Superbonus. E l’incardinamento di parte della misura nel progetto di Recovery a cui Ursula von der Leyen avrebbe informalmente garantito il semaforo verde apre la strada a possibilità di riforme della Pubblica amministrazione, che saranno opera del ministro Renato Brunetta, capaci di snellire gli iter burocratici e le procedure che misure ad alto impatto potenziale come quella studiata dal Decreto Rilancio comportano.
E dunque il nuovo testo del Recovery targato Draghi mostra gli effetti di questo importante compromesso e incardina, al contempo, la visione pragmatica del ministro Cingolani fondata sulla necessaria complementarietà tra transizione ecologica e sviluppo: “Per far fronte ai lunghi tempi di ammortamento delle ristrutturazioni degli edifici, per stimolare il settore edilizio, da anni in grave crisi, e per raggiungere gli obiettivi sfidanti di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni al 2030, si intende estendere la misura del Superbonus 110% recentemente introdotta (articolo 119 del Decreto Rilancio) dal 2021 al 2023 (al 30 giugno 2023 per gli interventi effettuati dagli Iacp, a condizione almeno il 60% dei lavori siano stati effettuati alla fine del 2022; al 31 dicembre 2022 per gli interventi effettuati dai condomini, a condizione che almeno il 60% dei lavori sia stato effettuato entro il 30 giugno precedente)”.
Il Recovery imporrà tempi certi, un’accelerazione delle procedure e una visione sistemica: quanto serviva per dare senso a misure come il Superbonus che, altrimenti, rischiano di esser estemporanee, fini a sé stesse, prive di veri obiettivi strategici. Paesi come la Francia hanno promosso in analoghi piani di rilancio dell’economia interventi strutturali di ampio respiro a sostegno dell’edilizia in funzione della transizione ecologica, e anche l’Italia dovrà saperlo fare garantendo, al contempo, che la fibra dello Stato sia forte e capace di rispondere alle necessità amministrative e burocratiche del Pnrr. Vera premessa per immaginare una crescita continua e sostenuta.
Source: it.insideover.com
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