Giorni fa la società ha dovuto annunciare il rinvio della pubblicazione del bilancio del 2021. Di solito non è quasi mai una buona notizia. In ballo ci sono le rinegoziazioni con le banche, divenute azioniste con oltre il 30% delle quote dopo le conversioni dei crediti in capitale. È scaduto infatti a inizio dell’anno l’accordo di moratoria e standstill con gli istituti di credito sottoscritto nell’estate del 2021.
E il gruppo ingegneristico, posseduto al 25% da Cdp e al 6,7% da Sace, sta provando a tutt’oggi a negoziare i termini di una nuova manovra finanziaria e di un rafforzamento patrimoniale con le banche. Si tratta di un nuovo giro di ristrutturazione, dopo il primo accordo con i finanziatori che data dal lontano 2019.
A oggi ancora non si sa se si troverà un’intesa che, nella prima versione dello scorso dicembre, prevedeva un aumento di capitale da 20 milioni; un ulteriore conversione di crediti in azioni da parte del pool di banche e un riscadenzamento del debito complessivo. Evidentemente la situazione continua a essere compromessa. Del resto basta vedere i numeri dell’indebitamento finanziario netto che ogni mese Trevi deve comunicare alla Consob, dato che figura nella lista nera delle società sotto stretta sorveglianza dell’Authority.
L’ultima fotografia è di fine marzo del 2022 e vede complessivamente un livello di indebitamento finanziario netto dell’intero Gruppo per 263 milioni di euro. Di cui a breve per ben 193 milioni. Tra l’altro a marzo risultavano scaduti debiti per un totale di 58 milioni, 20 finanziari e 38 commerciali. Subito dopo il primo accordo con le banche, a inizio del 2021 Trevi già non aveva rispettato il covenant sul rapporto tra mol e indebitamento.
Da qui la necessità di nuove rinegoziazioni che si trascinano da tempo. Anche il piano industriale ha dovuto essere rivisto, dimezzando di fatto la crescita annua dei ricavi attesa. E così il rinvio dell’approvazione dei conti la dice lunga sulla criticità della situazione. L’ultimo bilancio è quello lontano della semestrale del 2021 che vedeva una perdita per 29 milioni a fronte di ricavi per 216 milioni con un margine operativo lordo a 20 milioni. Non fa testo il bilancio precedente, chiuso con un utile di 250 milioni, frutto della plusvalenza dalla vendita della divisione Oil & gas, uno dei pilastri dell’accordo di ristrutturazione che ha visto l’azienda dimagrire cedendo asset. Sia i ricavi che il Mol erano in forte calo già a giugno del 2021 e si suppone che la seconda parte dell’anno sia stata ancora debole.
E così il peso di ben 263 milioni di debiti finanziari continua a pesare come un macigno sulla capacità dell’azienda (per anni proprietà della famiglia Trevisani) di andare avanti senza il sostegno di banche e Cassa depositi. Che ha visto il suo investimento complessivo di 140 milioni (101 milioni all’atto dell’ingresso nel 2014 e altri 39 milioni sotto forma di aumento di capitale nel 2020) andare di fatto bruciato. Oggi con il titolo che vale in Borsa solo 93 milioni, il 25% in capo a Cdp è valorizzato meno di 24 milioni. Un passivo per la Cassa di oltre 110 milioni per il salvataggio di Trevi. Un salvataggio non ancora andato in porto.
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