Negli acquisti on line, esplosi con la pandemia, il trasporto non è gratis come ci hanno abituato a pensare gran parte dei portali protagonisti dell’e-commerce, del commercio elettronico. Secondo la Commissione europea le esternalità negative (i costi non pagati dai produttori, che ricadono sulla collettività) della logistica urbana nell’UE ammontano a 100 miliardi di euro l’anno, come mezzo Pnrr italiano. Dal settore arrivano il 30% delle emissioni di CO2, dipende il 20% del traffico urbano, e poi inquinamento, incidenti, lavoro non garantito dei riders e delle cooperative della logistica nei grandi poli di distribuzione nelle periferie urbane, cementificazione del suolo agricolo, ecc. Nulla è gratis in natura, e il costo nascosto delle consegne ricade sull’ambiente. Come è possibile allora attuare una transizione ecologica di questo settore?
Alla domanda vuole rispondere il position paper sulla “City logistic” pubblicato dall’ASviS, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, un lavoro nato dall’incontro di una trentina di professionisti, associazioni, lavoratori di aziende ed enti pubblici del settore. Il richiamo unanime è che la politica faccia sentire la sua voce forte e chiara, dal governo nazionale alle amministrazioni regionali e comunali, per evitare che un presunto progresso senza regole generi veri e propri “mostri”.
Nell’Italia della pandemia ci sono 2 milioni di nuovi consumatori che acquistano on line. Abbiamo ricominciato a passeggiare per le strade, guardiamo le vetrine ma poi ordiniamo sempre di più sul web. Per capire come migliorare la logistica nelle nostre città partiamo dall’esempio di Parigi. Qui la politica ha deciso di porre un argine allo spazio urbano occupato dai parcheggi e dalla logistica, imponendo al magazzino Ikea di usare un “modesto” parcheggio sotterraneo: la consegna è a domicilio e ormai il catalogo e parte dell’esposizione si trova anche in metropolitana. Al negozio si va in autobus, come in diverse città italiane. La merce on-line, persino la spesa al supermercato, si ritira in stazione o nel negozio sotto casa.
C’è poi la questione tecnologica. Le nuove tecnologie verdi e digitali stanno trasformando il settore. Nel 2030 la metà della flotta di Volvo Trucks sarà composta da e-camion. Figuriamoci i furgoni. Si stima che in Italia il carico medio sia inferiore al 30%. Con il tracciamento continuo dei pacchi non è più accettabile che i mezzi tornino indietro vuoti. Un raddoppio del carico dimezza i viaggi: anche in elettrico vuol dire dimezzare consumi e soprattutto ore di lavoro, aumentare la sicurezza, le garanzie e le retribuzioni. Chi vende potrebbe esibire un disciplinare etico e ambientale (un marchio green e sociale riconoscibile) che sarebbe una garanzia per il consumatore. Un modo per pagare il “prezzo giusto”, certamente più credibile ed etico della dichiarazione “consegna gratis” a spese di tutti.
Ma chi paga la transizione? Servono politiche nazionali e locali credibile e coerenti. In Olanda una trentina di Comuni hanno delimitato le aree urbane in cui saranno consentiti solo mezzi e camion a zero emissioni entro il 2025. Gli amministratori locali si sono assunti la responsabilità di preavvisare cittadini e operatori con 4 anni di anticipo, mentre il governo centrale ha assegnato 185 milioni di contributi per le imprese di trasporto che convertono la propria flotta per tempo, anche con cargo bike elettriche. Amsterdam ha già definito un’area ZEZ (Zona a emissioni zero) di 70 chilometri quadrati. E la spesa pubblica è del tutto paragonabile ai bonus distribuiti al settore dallo stato e dalle regioni italiane.
* Cristina Bargero, ricercatrice Ires Piemonte, Andrea Poggio, responsabile nazionale mobilità sostenibile di Legambiente
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