Sul fronte degli incentivi è calma piatta. A oggi, il “cruscotto” della disponibilità dei fondi fa segnare un residuo di 180,6 milioni di euro per le vetture con emissioni tra 0 e 20 g/km di CO2, vale a dire le elettriche, e di 199,3 milioni per quelle con emissioni comprese fra 21 e 60 g/km, cioè le ibride plug-in. Esaurita invece, com’è noto, ormai da tempo (nell’arco di una ventina di giorni) la dotazione riservata alla fascia 61-135 g/km, quella delle auto a benzina ibride, ma anche diesel, per le quali la disponibilità era inferiore (170 milioni), la rottamazione obbligatoria e, soprattutto, la domanda molto più alta.
Flop annunciato. Il meccanismo d’incentivazione, dunque, non funziona. Ma non è una sorpresa, ché la sua formulazione portava vizi d’origine che era facile immaginare ne avrebbero minata l’efficacia. Stanziare 220 milioni di euro per le full electric e 225 per le ibride ricaricabili (importi che si riducevano a 209 e 213,75 milioni detraendo le quote riservate al car sharing) escludendo però dai benefici le imprese e il noleggio a lungo termine ha significato eliminare dalla partita proprio i soggetti che più avrebbero potuto fruire degli stanziamenti pubblici. Al contrario dei privati che, anche in presenza di un significativo contributo statale, all’elettrico e all’ibrido ricaricabile faticano a convertirsi. Il problema, per inciso, riguarda anche il car sharing, per il quale valgono gli stessi vincoli: i quasi 22 milioni di euro oggi ancora complessivamente disponibili per incentivare le auto condivise si scontrano con il fatto che, anche in questo caso, dai benefici è escluso il noleggio delle vetture. Ma quale società di sharing oggi è disposta a comprare, invece che acquisire in renting come fa abitualmente, delle vetture che, poi, dovrà oltretutto tenere obbligatoriamente per almeno 24 mesi (e se le percorrenze fossero alte, non potrebbe neppure sostituirle)?
La denuncia. A sottolineare la situazione è anche Motus-E, l’associazione delle aziende e degli enti impegnati nel mondo elettrico, che in una nota denuncia come “gli incentivi non funzionano: i modelli disponibili nella fascia di prezzo incentivata, fino a 35 mila euro (+Iva), sono meno del 30% di tutti quelli disponibili e già questo dato spiegherebbe il procedere a rilento delle prenotazioni; a questo va aggiunto che le flotte e tutte le persone giuridiche, che rappresentano una buona fetta del mercato e garantirebbero poi un usato di qualità, non possono accedere ai benefici. Dunque, è necessario rivedere il sistema”.
Errori di fondo. Chi ha scritto le norme, dunque, ha preso degli abbagli o, quanto meno, ha cercato d’incidere sulle abitudini degli italiani, senza riuscirci. Ora è troppo presto per tornare indietro: difficile che il governo ammetta dopo poco più di un mese dall’entrata in vigore del provvedimento di aver sbagliato e decida una diversa allocazione delle risorse. Qualcosa, però, si potrebbe fare, come chiedono insistentemente le associazioni di categoria: aprire presto la disponibilità alle imprese e al noleggio. Se il timore (infondato) è quello di un accaparramento dei fondi da parte dei dealer, si possono mettere altri paletti per evitarlo. Ma, se si crede veramente nella transizione energetica (e anche se non ci si crede, ma ci si vuole comunque preparare alla svolta imposta dalla Ue), qualcosa bisogna fare. E presto, nonostante le ricorrenti minacce di crisi di governo.
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