Dal Cigno verde 10 proposte di modifica
«Disparità importanti rischiano di aiutare solo la fetta di popolazione che può permettersi tali interventi, o in grado di gestire i complessi sistemi d’accesso»
[17 Maggio 2022]
Il settore edilizio è tra i maggiori responsabili del cambiamento climatico: secondo il vecchio Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) incide per il 17,4% sulle emissioni totali in atmosfera, ma nonostante i vari bonus edilizi affastellatisi c’è ancora molto da fare per intraprendere un’opera strutturale di efficientamento energetico. A partire da chi ne avrebbe più bisogno: l’edilizia popolare.
I nuovi monitoraggi condotti da Legambiente nell’aggiornare il suo rapporto Civico 5.0 attraverso termografie, in grado di rivelare il comportamento termico dei manufatti edilizi, hanno interessato cinque Regioni italiane, sette città e nove diversi quartieri, denunciando in particolare lo stato di inefficienza dell’edilizia popolare in Italia: un’edilizia poco manutenuta e curata, cui si accompagnano dispersioni degli infissi, involucri poco coibentati e sistemi murari disperdenti.
Un paradosso ancora più cocente di fronte all’aumento delle bollette, che porterà la spesa energetica a incidere per il 20% delle spese complessive del 44% delle famiglie in Edilizia residenziale pubblica (Erp), con un reddito inferiore a 10 mila euro l’anno, nessuna politica strutturale è stata messa in campo in questi mesi.
Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, Legambiente stima che occorrerebbe intervenire in maniera strutturale per riqualificare oltre 93 mila condomini l’anno a partire dal 2022. Se a questa riconversione si aggiungesse anche quella degli altri alloggi, tra abitazioni unifamiliari e indipendenti stimabili in oltre 900 mila case, in otto anni si ridurrebbero ben 29,2 milioni di tonnellate di CO2 e 14,55 miliardi di mc di gas fossile, pari al 19,4% degli attuali consumi totali del Paese.
Senza dimenticare i vantaggi di cui, nello specifico, beneficerebbero i nuclei familiari dal vivere in abitazioni in classe A, a partire dalla riduzione dell’80% dei consumi rispetto a una Classe G. O, ancora, le opportunità per le imprese e per il Paese: basti pensare agli investimenti del settore smart building che nel 2020 in Italia ha fatto registrare un volume di affari di oltre 7,6 miliardi di euro.
«Nell’ultimo anno il Superbonus, l’incentivo più generoso al mondo, è stato mal gestito, attaccato e rimodulato, con una riduzione della platea e delle opportunità, mettendo a nudo l’inadeguatezza dell’intera filiera», osserva Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente.
Il Superbonus, argomentano dal Cigno verde, è di fatto – insieme al più modesto ecobonus – l’unica politica di efficienza energetica esistente in Italia e, se non adeguatamente gestito, rischia di inasprire disparità territoriali e sociali.
I dati di Enea ci dicono che dal 2007 al 2019 l’Ecobonus ha incentivato circa 4 milioni d’interventi, di cui oltre la metà rappresentate da semplici sostituzioni di infissi, mentre nel 2020, a fronte di oltre 486mila interventi, appena 2.117 hanno riguardato riqualificazioni totali. Nel 2021, primo anno di concreta applicazione del Superbonus, gli interventi asseverati sono stati invece 40.029, tra 5.218 condomini, 20.548 edifici unifamiliari e 14.263 unità immobiliari indipendenti.
Numeri importanti, commenta Legambiente, anche se non soddisfacenti per stare in linea con gli obiettivi climatici e sociali: «Si rilevano inoltre disparità importanti, legate a reddito, condizione occupazionale, età e titolo di studio, nelle opportunità d’accesso al Superbonus che rischiano di aiutare e sostenere solo la fetta di popolazione che può permettersi tali interventi o in grado di gestire i complessi sistemi d’accesso». Basti pensare che, ad esempio, soltanto i detentori di un immobile o i percettori di un reddito possono accedere alle detrazioni fiscali del 50% per acquistare un pannello solare domestico, e che invece una persona disoccupata che vive in una casa popolare non ne ha diritto.
«Serve una riforma sostanziale del sistema incentivante, che premi le soluzioni più efficaci e corregga le distorsioni – dichiara il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani – Paradossale che ad esempio, di fronte all’emergenza climatica e al caro bollette, si continui a spingere sulle fossili incentivando le caldaie a gas anziché sostenere le famiglie nell’optare su pompe di calore e pannelli solari. Così come è necessario semplificare l’accesso agli incentivi, ancora complesso per molte famiglie e piccole imprese: una criticità che lascia margini ad abusi della burocrazia e non garantisce maggiore trasparenza».
Non a caso un altro tema importante sollevato da Legambiente è quello della cessione del credito posta in relazione alla crescita delle frodi: a torto, osserva l’associazione, si è puntato il dito contro il Superbonus, nonostante le maggiori responsabilità arrivino dal Bonus Facciate, con il 46% di frodi riscontrate, e dall’Ecobonus (36%). Il Superbonus, invece, si colloca all’ultimo posto, con il 3% di frodi.
Eppure, la caccia alle streghe contro il Superbonus e il blocco delle cessioni del credito hanno creato problemi al 23% delle famiglie con interruzioni o blocchi degli interventi e intoppi in fase di attivazione dell’iniziativa. Il tutto dimenticando che la misura è stata partorita a supporto del settore edilizio nella fase pandemica e che proprio la cessione del credito, fondamentale per quasi il 72% delle famiglie italiane, ha permesso di attivare i cantieri.
Che fare, dunque? Legambiente chiede un riordino dell’intera materia con la produzione di norme tecniche specifiche che trasformino l’attuale sistema incentivante da politica a esclusivo sostegno al settore delle costruzioni nella principale politica finalizzata alla riduzione dei gas climalteranti, al contrasto alla povertà energetica e alla messa in sicurezza del fragile patrimonio edilizio del nostro Paese.
Per l’associazione serve, anzitutto, stabilizzare la misura del Superbonus, almeno in funzione del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, così da ridurre gli effetti della speculazione sui prezzi dei materiali e dare tempo a famiglie e imprese di organizzarsi.
Occorre poi passare da un’intensità di aiuto fissa come il 110% a una variabile, in funzione del combinato tra classe d’efficienza energetica raggiunta e reddito; rapportare i massimali alle superfici interessate dagli interventi; consentire l’accesso al Superbonus anche agli immobili privi d’impianto termico fisso; avviare la progressiva decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento degli edifici, nella prospettiva di elettrificazione e diffusione di pompe di calore integrate con fonti rinnovabili; riconoscere un aumento dell’intensità di aiuto nei casi in cui gli interventi siano parte di un più generale progetto di rigenerazione urbana; riconoscerlo in quelli in cui l’immobile riqualificato sia messo sul mercato dell’affitto a canone calmierato; semplificare le procedure d’accesso per eliminare inutili farraginosità e l’arbitrio della burocrazia; creare un fondo di garanzia pubblica per incentivare il finanziamento da parte degli istituti di credito anche degli interventi più piccoli e delle famiglie in condizione d’indigenza; sostenere la formazione di uffici comunali di consulenza e accompagnamento.
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