«Tutti pazzi per le due ruote», titolava il Sole 24 Ore qualche giorno fa in occasione della Giornata mondiale della bicicletta del 3 giugno, aggiungendo che tra i motivi del ritrovato amore per i mezzi a pedali vi sono certamente le difficoltà di spostamento dovute alla pandemia, ma anche il bonus governativo del 2020 e le nuove piste e corsie ciclabili sorte in seguito allo stanziamento di fondi strutturali per la mobilità sostenibile. Insomma, citando testualmente, «un vento in poppa che, in prospettiva, sarà nuovamente alimentato dal caro carburante che inevitabilmente spingerà nuovi adepti a tornare a usare le due ruote per spostamenti a breve e medio raggio».
Secondo un recente sondaggio Ipsos, la maggior parte degli adulti ritiene che la bicicletta ricopra un ruolo importante nella riduzione delle emissioni di Co2 (in media l’86%) e nella riduzione del traffico motorizzato (80%). Tuttavia, la metà afferma che pedalare nella propria zona è troppo pericoloso. Non a caso, nel quotidiano, la bici viene utilizzata molto di più in quei Paesi dove la percezione della sicurezza sulle strade è maggiore: Cina, Giappone, Paesi Bassi, Danimarca.
Noi italiani pensiamo spesso che i ciclisti siano un pericolo per pedoni e automobilisti. Il 76% di noi (la nostra è la percentuale più alta tra tutti i 28 Paesi esaminati nel sondaggio, oltre a essere più alta di 12 punti rispetto alla media internazionale) riconduce questo giudizio al mancato rispetto delle regole del traffico da parte dei ciclisti. Il 70% sostiene che siano un pericolo tanto per i pedoni quanto per le automobili, le moto e i motorini.
Pur nel dichiarato amore per il mezzo a pedali, noi italiani ci muoviamo in automobile molto di più di quanto non lo facessimo prima della pandemia. Secondo la ricerca “La mobilità che non cambia”, presentata a Milano recentemente da Aniasa (l’Associazione che all’interno di Confindustria rappresenta il settore dei servizi di mobilità), negli ultimi mesi siamo tornati a utilizzare l’auto con una frequenza maggiore (+60%) rispetto al pre-pandemia. Un dato certificato anche dall’app “Mappe” di Apple.
«Nonostante la ritrovata mobilità – recita la ricerca di Aniasa – il mercato è nel suo momento di peggior crisi dagli Anni 70 e il parco auto circolante continua a invecchiare, lasciando presagire per la nostra mobilità nazionale un “Effetto Cuba” preoccupante» in termini di sicurezza, ma anche di emissioni inquinanti.
I consumatori, quindi, non hanno ancora sposato le nuove tendenze della mobilità, che faticano a imporsi nel contesto attuale e – per quanto allettanti possano essere gli attuali incentivi sulle vetture a zero e a basse emissioni di CO2 – non ci si può aspettare risultati eclatanti o salvifici verso una mobilità sostenibile, ma solo un po’ di movimento rispetto alle immatricolazioni. Prova ne è che le auto full electric aumentano di quota ma sono ancora poco rilevanti: spesso, il consumatore sceglie di non scegliere comprando un veicolo ibrido. Il mercato delle auto elettriche è per ora appannaggio quasi esclusivo delle città del Nord e delle flotte aziendali.
Ritenuto dai consumatori eccessivamente costoso, l’elettrico è (per ora) un bene per pochi. E questo è un elemento che corrobora l’aumento del divario di mobilità tra i pochi che possono permettersi vetture con nuove motorizzazioni e i molti che restano aggrappati alla vecchia auto. Ancora oggi, scegliere comportamenti e consumi sostenibili è un privilegio per pochi.
Nel corso degli ultimi anni, da queste pagine ho sempre parlato della seguente possibilità. A fronte della situazione di stallo in cui i governi si sono ritrovati nell’affrontare le complesse sfide per la costruzione di un futuro più sostenibile ed equo, potrebbero essere i mondi dell’impresa e della società civile a indicarci la via verso un reale cambio di paradigma. E in un periodo di transizione come quello attuale, sia i produttori sia i consumatori devono sviluppare (da un lato) e stimolare (dall’altro) maggiori sensibilità e competenze. Senza un’adeguata comprensione del reale potere dei singoli atti quotidiani di acquisto – i quali rappresentano una vera e propria forma di voto politico e sociale – nessuna svolta sarà possibile.
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