Quanto inquina davvero un’auto elettrica? La risposta, apparentemente semplice, in realtà è complicatissima perché occorre misurare sia l’intero ciclo di vita della macchina che le diverse tipologie di utilizzo. Da qui l’interesse per il primo studio, completo, sul tema, presentato agli Electric Days in programma in questi giorni al MAXXI di Roma. Un appuntamento promosso da motor1.com e insideevs.It con talk, dirette streaming, approfondimenti, live social e un fitto cartellone di appuntamenti dedicati alla transizione verso la mobilità green.
Realizzato dalla Fondazione Caracciolo e dal Centro di ricerca CARe dell’Università degli Studi Guglielmo Marconi, lo studio che certifica quanto inquina un’auto elettrica dalla sua nascita alla rottamazione – per diverse tipologie di utilizzo e ricarica – alla fine spiega che una vettura a batteria arriva ad avere emissioni fino a 29 volte più basse rispetto alle vetture con motore a scoppio.
Battezzata “Le variabili emissive dell’auto elettrica: ricarica, utilizzo e stili di guida”, questa ricerca analizza il cosiddetto impatto ambientale dell’auto elettrica valutando il suo intero ciclo di vita (il Life Cycle Assestment), prendendo in considerazione cicli reali di guida sul territorio nazionale di specifiche tipologie di utenza (dal manager aziendale con abitazione dotata di impianto fotovoltaico fino al nucleo familiare che ricarica sul suolo pubblico).
L’auto elettrica che estrae criptovalute
Chiaro che la Carbon Footprint (l’impronta di emissioni di carbonio in atmosfera) varia molto da modello a modello. Ad esempio, un veicolo costruito e assemblato in Cina (con attuale mix in prevalenza di energia derivante da carburanti fossili) supera di oltre il 35% quella dello stesso veicolo costruito e assemblato in Europa (mix EU), a parità di tutti gli altri parametri di utilizzo.
Non solo: se le modalità di ricarica (domestica o pubblica, a bassa o alta potenza) incidono limitatamente sulla Carbon Footprint globale, in quanto i rendimenti medi dei diversi sistemi di ricarica sono molto simili tra loro, le modalità di produzione e distribuzione dell’energia elettrica (da fonti rinnovabili o da fonti fossili) per la ricarica del veicolo incidono, invece, fortemente sull’impronta carbonica.
A parità di tutti gli altri parametri di costruzione, assemblaggio e utilizzo del veicolo, prelevando l’energia elettrica dalla rete si può avere una Carbon Footprint di circa 9 volte maggiore rispetto al prelievo da un impianto di produzione da fotovoltaico (100% fonte rinnovabile).
La citycar si allunga e spunta il secondo posto
“Anche le caratteristiche del veicolo (massa e capacità della batteria) – spiegano i ricercatori – incidono significativamente sulla Carbon Footprint. Ad esempio, un’auto di segmento D (ad esempio Tesla Model 3) -tra le più virtuose in termini di efficienza nella sua gamma – supera la Carbon Footprint di un’auto di segmento A (ad esempio Smart EQ) di quasi il 40%”.
Interessante poi capire i cosiddetti “casi migliori”. Ossia quelli relativi a un veicolo costruito con energia 100% rinnovabile, con ricarica di energia da impianto fotovoltaico di autoproduzione e basse percorrenze annue. E quelli “peggiori”, ovvero quelli di un veicolo costruito con più del 70% di energia da fonti fossili, con percorrenze sensibilmente maggiori e prelievo di energia elettrica nella fase di ricarica da una rete con elettricità prodotta in prevalenza da fonte fossile.
Va bene, ma allora quanto inquinano davvero le auto elettriche nel loro intero ciclo di vita? Prendendo il range di migliore e peggiore casistica possibile, lo studio mostra che le vetture elettriche, nel loro completo ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento, possono arrivare a produrre emissioni che oscillano da un minimo di 5,5 g/km (100% rinnovabili) per una Smart elettrica (nel migliore dei casi), molto vicino allo zero effettivo, a un massimo di 155 g/km (ricarica ≥ 70% fossili). Per una Tesla Model 3, invece si va da un minimo di 10,1 g/km a un massimo di 263,8 g/km, un divario che può crescere ulteriormente in funzione delle abitudini di spostamento.
“Va sottolineato che questi valori – spiegano ancora i ricercatori – sono relativi all’intero ciclo di vita e non sono pertanto direttamente confrontabili con i valori di omologazione delle vetture, riferiti alle sole emissioni allo scarico. Inoltre, non esistono studi analoghi sulle emissioni complessive delle vetture endotermiche, ma secondo stime formulate dallo stesso gruppo di ricerca, per una vettura come una Smart a benzina il valore minimo è oggi stimabile in 146 g/km CO2 (29,2 volte superiore ai 5,5 g/km del “migliore elettrico”), mentre il valore massimo è dello stesso ordine di grandezza della peggiore condizione per l’auto elettrica oggetto dello studio (oltre 250 g/km CO2).
L’Italia in ritardo
Stabilita la validità della scelta elettrica, l’Italia appare in forte ritardo sulla transizione dalla mobilità fatta con veicoli a batteria. Lo ha spiegato molto bene il segretario generale della Fiom Michele De Palma, intervenendo agli Electric Days rispondendo alle domande del direttore di Motor 1 Alessandro Lago, nel corso della tavola rotonda “L’auto elettrica fa bene o male all’Italia?”. “In Italia – ha spiegato il sindacalista – su questo tema c’è un forte ritardo perché da noi – a differenza di Germania e Francia – non si investe sull’industria dell’auto, che sta cambiando rispetto al passato”.
“In tutta Europa – aggiunge De Palma – una scelta è stata fatta. Essere cauti in Italia ha determinato un delta rispetto ad altri sistemi industriali, che noi abbiamo la necessità di recuperare. Ora ci sono stabilimenti che devono fare una transizione, altrimenti siamo costretti a fare una battaglia di difesa che può portare alla conclusione del percorso di alcune aziende. Perché se non sei in grado di stare nel futuro i cancelli te li chiudono”. Per De Palma “è necessario governare la transizione, e questo è possibile con un accordo a tre: imprese, governo e sistema della rappresentanza dei lavoratori e delle lavoratrici. Il mondo universitario e quello ambientalista possono essere fattori di cambiamento e garanzia”.
“E poi, ha concluso, vi pare normale che un operaio che a Mirafiori produce una 500 elettrica non se la possa permettere? Si va contro uno dei principi cardine dell’automotive, realizzati negli anni Trenta da Henry Ford”. Il grande assente in tutto questo è infatti il Governo. E fa impressione sentire il segretario generale della Fiom dire che è stato ricevuto dal ministro dell’economia francese ma non da quello italiano. E che per parlare con lui ha dovuto manifestare davanti Montecitorio con i lavoratori. “D’altra parte – ha concluso amaramente – da noi questi discorsi non si fanno con il governo”.
100 mila lavoratori a rischio
Il palazzo però non è stato assente agli Electric Days. Anzi: “La crisi energetica – ha spiegato la vice ministra dello sviluppo economico, Alessandra Todde, durante il talk con Giovanni Floris – sta aprendo scenari non previsti per la ripresa economica del nostro Paese. Ad oggi abbiamo 70 tavoli di crisi aperti e 100mila lavoratori a rischio. Per il prossimo inverno prevediamo sacrifici contenuti, per esempio con la riduzione del riscaldamento fino a 3°C, ma le preoccupazioni maggiori riguardano l’inverno 2023″. Non solo: Todde ha evidenziato come “sia necessario gestire con la giusta attenzione la situazione energetica del nostro paese, anche alla luce degli attuali scenari bellici. Abbiamo accettato di imporre sanzioni alla Russia e questo rende necessaria un’accelerazione sul fronte del processo di transizione energetica che ci dovrà rendere indipendenti dagli altri Paesi.
Questa rappresenta un’opportunità per accelerare sul fronte delle rinnovabili che ci consentiranno in futuro di avere una bolletta energetica più leggera di quella attuale. Oggi abbiamo intere filiere che si poggiano sul gas e questo impone un’emancipazione più rapida possibile dalle forniture russe. Poi andranno prese decisioni che comporteranno per ora limitati sacrifici, a esempio con la riduzione dei riscaldamenti delle case degli italiani di almeno 3°C nel prossimo inverno. Il vero problema sarà però l’inverno 2023, se non saremo veloci a diversificare le fonti energetiche e non saremo bravi ad aumentare la capacità di rigassificazione e questo impone oggi scelte serie e condivise. Diversificare le fonti è fondamentale, ma lo è ancor di più procedere all’elettrificazione dei consumi civili. Un’energia che costa cara ci rende meno competitivi”.
Giovannini: “Avanti tutta sull’elettrico”
“L’elettrico è l’investimento di cui non ci pentiremo. Le altre tecnologie – ha spiegato poi il minsitro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili Enrico Giovannini – potranno essere utilizzate nei settori non elettrificabili. Abbiamo escluso le imprese dagli incentivi auto in quanto le imprese già oggi acquistano veicoli ibridi ed elettrici, per seguire politiche di sostenibilità e quindi non necessitavano di sostegni”. Non solo: Giovannini ha anche evidenziato come “A oggi non prevediamo di chiedere alcun sacrificio agli italiani. L’economia italiana continua a crescere, nonostante le difficoltà. Il Governo sta lavorando per rafforzare l’autonomia del nostro Paese sul fronte delle forniture del gas. La Guerra è arrivata nel momento in cui l’Italia è impegnata nel mettere a terra il Pnrr e questo aumento dei prezzi e l’indisponibilità delle materie prime mettono a dura prova il sistema produttivo, su tutti il settore delle costruzione, elemento chiave per l’attuazione del Piano.
Non va rallentato il percorso avviato che ci renderà meno dipendenti dagli altri Paesi e adeguerà le nostre infrastrutture rendendo il Paese più resiliente a eventuali futuri shock. D’altro lato le persone già stanno pagando la crisi. Oggi, complice anche l’allentamento delle misure restrittive, è evidente la forte accelerazione nell’uso dei mezzi pubblici, anche a causa del rincaro dei carburanti”.
Spazio poi al tema della mobilità locale: “Oggi stanno partendo investimenti in tecnologie digitali per rendere il trasporto locale più efficace e sostenibile. Negli ultimi due mesi le attività di sharing mobility hanno subito un balzo in avanti del 30% rispetto allo scorso anno. Queste forme di mobilità vanno estese anche a città di medie dimensioni. Soprattutto in una fase come quella attuale in cui anche la diffusione dello smart working sta ridefinendo i consumi di mobilità”. Giovannini si è poi soffermato sul tema elettrificazione: “Oggi è tempo di scelte. La via maestra è l’elettrico, è un investimento di cui non ci pentiremo, anche per le moto e i veicoli commerciali leggeri. L’idrogeno e i biocombustibili possono essere utilizzati in settori del mondo dei trasporti in cui l’alternativa elettrica non è perseguibile.
Una transizione inevitabile
Sulla difficoltà della transizione ecologica è intervenuto anche Massimo Nordio, vice president group government relations and public affairs · Volkswagen Group Italia e presidente di Motus-E, principale associazione di categoria, spiegando di comprendere il timore di alcune categorie “che devono affrontare una transizione importante, quello dei lavoratori, delle reti di vendita, di imprese che devono investire per cambiare il loro prodotto. Ma non possiamo pensare di aspettare che arrivino ulteriori segnali, ci vuole una comunione di intenti per far sì che la transizione avvenga. Non ha senso parlare di perdita di posti di lavoro senza considerare tutti quelli nuovi che stanno nascendo”.
A lui ha fatto eco il segretario generale di Motus-E Francesco Naso: “Finalmente – aggiunge – c’è stata un’importante iniziativa governativa da 8,7 miliardi di euro che è il Fondo automotive e dobbiamo essere bravi e uniti nel decidere come utilizzare questi soldi. È necessario che ci sia coerenza e misure che si devono parlare tra loro. Abbiamo incentivi che limitano ad auto che non ricaricano oltre 50 kilowatt e poi nel Pnrr facciamo una politica da 740 milioni che incentiva stazioni di ricarica a 100-150 kilowatt: infrastrutture di ricarica cioè che non vengono utilizzate dalle auto incentivate. Ci piacerebbe coerenza e visione comune”.
Auto green a tutto tondo
Ma non è solo una questione di emissioni delle auto. E agli Electric Days è intervenuto anche Marco Santucci, presidente e Ad di Jaguar Land Rover Italia: “La transizione ecologica – ha spiegato – rigurarda tutto il nostro mondo. Per la fine del decennio, Jaguar Land Rover ridurrà del 46%, le emissioni di gas serra relative alla produzione rispetto al 2019. La società si è inoltre impegnata a ridurre le emissioni dei gas serra per veicolo, mediamente del 54%, lungo l’intera catena del valore, ivi compresa una riduzione del 60% nella fase di utilizzo del veicolo.
Questi obiettivi rappresentano l’impegno Jaguar Land Rover per il 2030, seguito da un ulteriore obiettivo per il decennio successivo, che mira all’azzeramento delle emissioni di CO2 su tutta la filiera produttiva entro il 2039, nell’ambito della strategia Reimagine. Per raggiungere questo obiettivo, l’azienda decarbonizzerà la progettazione e i materiali, le operazioni di produzione, la catena di approvvigionamento, l’elettrificazione, la strategia delle batterie, i processi di economia circolare e il trattamento di fine vita”.
Gli incentivi? Bene, ma…
A proposito di incentivi, cosa pensano gli ospiti dell’ecobonus auto? Risponde il direttore generale di Unrae, Andrea Cardinali: “Di buono c’è che le misure non sono retroattive, come abbiamo visto talvolta in passato, ma ritengo che l’allocazione dei fondi su tre fasce avrebbe potuto essere ottimizzata”. Perché?
“Probabilmente – spiega – ci sarà un esubero sulla fascia 21-60 grammi di CO2 per chilometro, mentre i soldi saranno sufficienti per la fascia 0-20 ed evaporeranno per la terza fascia”. Spazio anche per un commento su una “novità negativa”: la “preclusione alle persone giuridiche”, che sembra essere stata inserita per “evitare le autoimmatricolazioni”, quando “sarebbe bastato inserire il vincolo dei 12 mesi”. Così “si ammazza il motore della transizione, che sono le imprese”. E poi c’è il price cap a 35.000 euro che “grida vendetta”. In più, le lungaggini che stanno rallentando l’entrata in vigore del decreto automotive provocheranno un “effetto limitassimo sul mercato 2022”. I benefici si vedranno solo “a novembre, quando i bonus andranno a regime”.
Non solo elettrico
Meno decisa è invece l’adesione di Marco Stella, vicepresidente di Anfia: “Il treno della transizione è partito, va velocissimo e noi vogliamo salire”. Ma le vetture a batteria, dal suo punto di vista, pur essendo “una delle soluzioni più importanti”, non sono le uniche. “L’industria – specifica – chiede un approccio neutrale dal punto di vista tecnologico”, che “non sposi solo l’auto elettrica”, perché “ci sono altre tecnologie, come i biocarburanti e i carburanti sintetici”. La priorità deve essere mantenere i livelli di occupazione, aiutando i lavoratori ad acquisire le nuove competenze.
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