I punti chiave
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Tra i grandi assenti di queste prime battute di campagna elettorale c’è il Pnrr, che fatica a farsi largo fra pensioni, alberi, flat tax e «mensilità in più» per i lavoratori. Eppure proprio dalla capacità di replicare il filotto di obiettivi raggiunti garantito dal governo Draghi nelle prime due verifiche dipende un pezzo importante della ripresa, forte come indicato venerdì dall’Istat ma attesa da prove complicate dall’autunno-inverno.
Fondi e crescita
La centralità del Pnrr nasce da due ragioni principali. La prima è strutturale, perché agli investimenti del Piano tocca il compito di rafforzare la crescita potenziale italiana spingendola lontano da quella stagnazione ventennale a cui può tornare in fretta se si affida solo a edilizia e servizi in rimbalzo post-pandemico. La seconda è più immediata: perché a quel contratto che prevede fondi europei in cambio di riforme italiane sono collegate le rate del Recovery. Tra prefinanziamento e prima rata l’Italia ha ricevuto 45,9 miliardi. Altri 21 sono in arrivo per gli obiettivi raggiunti a giugno. Ne mancano 124,6. I primi 19 sono previsti con la terza rata, in calendario a inizio 2023 se l’Italia centrerà anche gli obiettivi del secondo semestre di quest’anno. Sono 55, elencati nel grafico qui a fianco, in un’agenda fittissima che va dalla giustizia tributaria alla spending review, dalla digitalizzazione della Pa fino a istruzione e salute; e che per un lungo tratto coincide con la crisi e la campagna elettorale, per concludersi nei mesi dominati da una legge di bilancio battesimo del fuoco per il prossimo governo.
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Le misure già in corso
Ma c’è anche un’altra contabilità utile a misurare i rischi diretti che sarebbero prodotti sul bilancio pubblico da un eventuale deragliamento del Pnrr. Il 26,8% dei fondi del Recovery, 51,3 miliardi su 191,5, serve a far viaggiare misure già previste dai programmi nazionali prima del Pnrr. In questo ambito, un’eventuale caduta del Recovery non potrebbe in ogni caso cancellare le misure, ma imporrebbe di rifinanziarle con risorse nazionali: con maggiori spese per gli interessi nel caso dei prestiti, mentre se a incepparsi sono le sovvenzioni il costo extra comprende evidentemente anche la quota capitale. I contributi a fondo perduto previsti per le misure nazionali già in essere valgono 20,08 miliardi. Per esempio l’Italia dovrebbe ricevere nei prossimi anni oltre 10 miliardi per Ecobonus e Sismabonus, tre miliardi abbondanti per l’edilizia scolastica e 1,6 miliardi per asili nido e scuole dell’infanzia.
Naturalmente il rischio stop per il Pnrr è al momento solo potenziale. Ma già sono stati costruiti argini nel tentativo di contenerlo.
Niente spoils system
La prima è la continuità delle strutture amministrative chiamate a gestire il Piano. L’architettura si fonda sulla Segreteria tecnica a Palazzo Chigi e il Servizio centrale alla Ragioneria generale dello Stato, e si dirama nelle unità di missione create nei ministeri coinvolti. Sono tutte strutture escluse dallo spoils system, e quindi destinate a una «durata superiore a quella del Governo che la istituisce», che «si protrae fino al completamento del Pnrr» come recita l’articolo 4 del decreto sulla governance del Piano (Dl 77/2021) quando parla della Segreteria tecnica. L’altra è l’accelerazione impressa dal governo Draghi, grazie anche ai margini ampi dell’«ordinaria amministrazione», a riforme come quella della giustizia tributaria o della concorrenza, che però rischiano di soffrire nella fase cruciale dei decreti attuativi.
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