La garanzia che l’Italia farà le riforme l’ha data Mario Draghi a Ursula von der Leyen. Con quel “garantisco io” che è la cifra di un’esposizione politica imponente e soprattutto determinante per tirare il Recovery plan italiano da 222,1 miliardi fuori dall’operazione di smontaggio che nel frattempo stavano portando avanti i tecnici di Bruxelles. Ma la missione salvifica di Draghi ha anche una contropartita. E si capisce chiaramente se si confronta il testo (quasi) definitivo inviato al Parlamento con la bozza al centro del confronto lungo e nervoso tra Roma e la Commissione europea. Il disco verde è legato a una corsa tra palazzo Chigi e le Camere: le riforme devono diventare decreti e disegni di legge tra maggio e dicembre, in appena sette mesi, in un 2021 caricato di scadenze nonostante il Recovery ha un orizzonte temporale molto più lungo, fino al 2026.
Il messaggio che arriva dall’Europa dice che la parola data da Draghi conta, anzi è stato l’elemento risolutivo, e per questo dopo una no stop di 48 ore si è arrivati a quello che palazzo Chigi per primo ha rivendicato come “un accordo politico”. Ma il messaggio dice anche che il Governo non solo ha dovuto riscrivere la tabella di marcia delle riforme, ma anche fornire rassicurazioni sui contenuti, in alcuni casi riscrivendoli per rassicurare Bruxelles sul fatto che la direzione politica concordata non cambierà e anzi sarà vincolata a impegni presi prima, non cambiati in corsa.
La contropartita, tra l’altro, genera un’appendice rischiosa per Draghi e più in generale per la sorte dei soldi del Recovery. La garanzia del premier deve necessariamente reggersi sull’unità e sul lavoro del Parlamento. Ora è evidente che il Recovery non è il coprifuoco e che i partiti, quindi, non solleveranno problemi sui soldi, meglio non con l’intensità che usano quando ad esempio c’è da scrivere la legge di bilancio. Ma le riforme sono un’altra cosa e il Recovery sono prima le riforme e poi i 222,1 miliardi, non il contrario. Le riforme, soprattutto, toccano temi come la giustizia, la concorrenza, le tasse, ancora gli appalti e la Pubblica amministrazione. Ogni volta che un governo si è avvicinato a questi temi è riuscito a fare qualcosa (il bonus 80 euro di Matteo Renzi), qualcuno ha forzato la mano (la riforma della giustizia di Silvio Berlusconi), ma il più delle volte è finito tutto prima di iniziare. E le riforme, come quella del fisco, più in generale quelle definite organiche, non sono state mai fatte. Al Parlamento è chiesto ora un cambio di passo, nel ritmo e nella qualità del lavoro, e la tabella di marcia riscritta da Bruxelles ha un sottotitolo definito: niente soldi se il lavoro non ingrana.
Il fisco, la riforma più contestata da Bruxelles. Revisione Irpef calibrata sull’equilibrio dei conti entro luglio. Assunzioni all’Agenzia dell’Entrate
È stata la riforma su cui Bruxelles ha insistito di più. Sia per i tempi, da dettagliare, sia per i contenuti. L’ultima versione del Recovery dice che la riforma del fisco dovrà arrivare in Parlamento, sotto forma di legge delega, entro il 31 luglio. Ma l’Italia dovrà fare passi in avanti significativi anche sul federalismo fiscale, tema assai sensibile alla politica per l’effetto leva che questo tema costituisce per la Lega. I tempi sono più lunghi, ma il processo che impatta sui cosiddetti costi standard, dovrà essere definito entro il primo quadrimestre del 2026. L’accento più forte dopo l’interlocuzione con Bruxelles è quello sul contrasto all’evasione: più personale e nuove professionalità all’Agenzia delle Entrate per il controllo fiscale in Italia e all’estero con 2.000 assunzioni che si aggiungono al concorso pubblico bandito per 4.113 posti.
Ritornando alla riforma del fisco la direzione è quella di rivedere l’Irpef, ma non solo preservando la progressività dell’imposta. Bisognerà fare tutto nel rispetto dell’equilibrio dei conti pubblici. Quindi niente riforme onerose.
Più trasparenza per le nomine nella sanità, troppa discrezionalità
In materia di concorrenza si parla anche di sanità. E c’è una sollecitazione, in ambito regionale, quindi a livello delle Asl, di “introdurre modalità e criteri più trasparenti nel sistema di accreditamento. Ma il passaggio più forte è quello sulla necessità di intervenire sulle norme che regolano le nomine dei dirigenti ospedalieri. C’è una valutazione tecnica da parte di una commissione composta da medici, ma c’è anche “un’eccessiva discrezionalità” in capo “ai direttori delle Aziende sanitarie locali nella scelta definitiva dei primari”. Per molti altri profili, si legge nel testo, “la legislazione in materia sanitaria attribuisce poteri discrezionali eccessivamente ampi nella nomina di personale delle Asl e nella gestione dei servizi da rendere al pubblico”.
Subito il decreto Semplificazioni, entro la prima settimana di maggio
Il Governo aveva indicato un generico “dopo l’invio del Piano” alla Commissione europea, ma la stessa Commissione ha chiesto che il decreto Semplificazioni sia approvato dal Consiglio dei ministri entro la prima settimana di maggio. Subito. Con una conversione in legge che quindi dovrà avvenire entro metà luglio. Ma anche tutti gli altri interventi che devono semplificare le norme e agire soprattutto sulla riorganizzazione e la digitalizzazione della Pa devono essere approvati entro quest’anno. Gli interventi si chiamano leggi ordinarie, leggi di delegazione legislativa e relativi decreti delegati. Strumenti che il Parlamento solitamente maneggia nell’arco temporale di molti mesi e che quando sono di origine governativa sono viziati da tempi di gestazione che a volte durano anche anni. Non è un caso che quando si lega una riforma a una legge delega, la prima considerazione che viene fatta, dentro e fuori il Parlamento, è: non si farà o si farà chissà quando.
Il monitoraggio “costante” del Governo, le semplificazioni al ministero della Pa di Brunetta. Stop all’Unità centrale di semplificazione a palazzo Chigi
“La semplificazione amministrativa e normativa richiede un impegno sistematico, che va ben al di là dei tempi e dei contenuti del PNRR”, si legge nel testo del Piano italiano. Il cervellone sarà il Dipartimento della Funzione pubblica guidato da Renato Brunetta che sarà potenziato in termini di personale. Così come il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, la struttura di supporto al presidente del Consiglio nella funzione di coordinamento dell’attività normativa del Governo. Ma a differenza dell’ultima bozza non ci sarà l’Unità centrale di semplificazione a palazzo Chigi.
Controlli antimafia, tempi contingentati per l’aggiudicazione degli appalti, meno stazioni appaltanti. La normativa speciale fino al 2023
L’ultima bozza parlava di un generico “rafforzamento” delle semplificazioni previste nel decreto approvato l’anno scorso dal governo Conte e solo per quelle relative al termine massimo per l’aggiudicazione di un appalto. Il testo inviato dal Parlamento, invece, prevede una proroga dell’efficacia della normativa speciale fino al 2023. La direzione è doppia: da una parte più verifiche antimafia e protocolli di legalità, dall’altra la limitazione della responsabilità per danno erariale ai casi in cui la produzione del danno è “dolosamente voluta dal soggetto che ha agito”. Ma anche l’individuazione di un termine massimo per l’aggiudicazione degli appalti, con una riduzione dei tempi tra la pubblicazione del bando e l’aggiudicazione, oltre a misure per contenere i tempi di esecuzione degli stessi appalti. Queste ultime azioni vanno nella direzione di legare gli appalti a un numero minore dei cosiddetti lacci e lacciuoli. Tra l’altro altri provvedimenti che si possono inquadrare in questa direzione, come la riduzione del numero delle stazioni appaltanti, sono misure urgenti che possono, anzi devono, essere messe in campo subito, senza un provvedimento legislativo.
Meno regole per gli appalti, modello Germania. Le misure in un decreto da approvare entro maggio
Per gli appalti ci saranno misure a regime – e il modello a cui guardare è la Germania – ma anche misure urgenti. Anche qui i tempi sono stringenti: le misure urgenti andranno adottate con un decreto che il Governo è chiamato ad approvare entro maggio. Le misure a regime, invece saranno varate utilizzando il disegno di legge delega: andrà presentato in Parlamento entro il 31 dicembre e i decreti legislativi collegati andranno adottati entro nove mesi dall’entrate in vigore della legge delega. Nella vecchia bozza, invece, non era precisato il timing delle misure urgenti: si parlava genericamente di un decreto che sarebbe stato approvato dopo la trasmissione del Recovery a Bruxelles.
Cosa dovrà fare la legge delega spiega il cambio di passo sugli appalti. Dovrà ridurre le norme, ma soprattutto recepire le direttive europee, quelle che semplificano le autorizzazioni e velocizzano la progettazione di opere pubbliche, piccole e grandi, ma anche l’avvio dei cantieri. Tra le azioni di semplificazione figura la riduzione dei documenti da presentare per partecipare a un bando, ma anche l’individuazione puntuale dei casi nei quali è possibile ricorrere alla procedura negoziata senza la pubblicazione precedente di un bando. Ancora prevedere casi in cui le stazioni appaltanti possono legare l’aggiudicazione degli appalti solamente al criterio del prezzo o del costo inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta.
Autorizzazioni ambientali più veloci a maggio. Se restano come quelle di oggi ci vorranno 100 anni per raggiungere gli obiettivi sul fotovoltaico
Quello che non va lo scrive il Governo. Le norme vigenti sulla Via, la Valutazione di impatto ambientale, “prevedono procedure di durata troppo lunga e ostacolano la realizzazione di infrastrutture e di altri interventi sul territorio”. Ma senza le valutazioni ambientali non si possono fare le opere pubbliche né spingere gli investimenti privati, a iniziare da quelli per le rinnovabili. Il ministero dell’Ambiente ha fatto una simulazione di come la burocrazia sta mettendo a rischio i target dei prossimi anni: i tempi medi per la conclusione dei procedimenti di Via sono di oltre due anni, con punte quasi di sei anni, mentre per la verifica di assoggettabilità alla Via sono necessari 11 mesi, quasi un anno. Se le cose non cambiano l’Italia impiegherà 24 anni per centrare gli obiettivi della produzione di energia da fonte eolica e ben 100 per il raggiungimento dei target per il fotovoltaico. Anche in questo caso si è parlato da un decreto da approvare “dopo la trasmissione del Pnrr” a Bruxelles a un timing più dettagliato: le misure urgenti sempre a maggio, quelle a regime con un disegno di legge delega da presentare in Parlamento entro fine anno e con i decreti legislativi da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge delega.
A maggio anche il decreto per semplificare le norme del superbonus al 110%
I partiti, 5 stelle in primis, hanno spinto per la proroga del superbonus al 110 per cento. Il ministro dell’Economia Daniele Franco ha assicurato che i soldi necessari arriveranno in autunno con la manovra, ma prima c’è un altro problema. Il superbonus è incastrato in una serie di norme che rendono complessa anche solo la richiesta di usufruire dell’agevolazione. Il decreto legge per cancellare gli ostacoli burocratici sarà approvato, anche questo, entro maggio.
Le norme sulla concorrenza in due tempi. Legge annuale approvata in Parlamento entro luglio, altre norme legate agli sviluppi della pandemia
La legge annuale sulla concorrenza sarà presentata in Parlamento entro luglio, mentre altre norme arriveranno negli anni successivi, quando lo consentirà il superamento delle criticità create dalla pandemia. Si riducono anche i tempi per il disegno di legge sugli incentivi per le imprese che operano al Sud: la presentazione del disegno di legge alle Camere entro il 30 giugno (prima era entro il 30 settembre).
Salta il salario minimo legale, in arrivo un ammortizzatore sociale per i lavoratori autonomi
Nella versione del Recovery inviata al Parlamento non figura più il salario minimo legale. Confermata invece la riforma degli ammortizzatori sociali: tutti avranno la cassa integrazione che sarà modulata sulla base delle dimensioni dell’impresa e tenendo conto delle caratteristiche del settore in cui operano. La novità è “un sistema di tutele” per i lavoratori autonomi.
Occhio alla spesa. Il potenziamento del Tesoro per la revisione e la valutazione
Capitolo 1.3.10: Rafforzare le misure di revisione e valutazione della spesa. Ci sarà un ulteriore rafforzamento del ruolo del ministero dell’Economia, anche attraverso il potenziamento delle strutture esistenti, per le tre fasi del processo di spesa: valutazione ex ante delle proposte, monitoraggio sulla loro effettiva implementazione, valutazione ex post dei risultati. “L’obiettivo – si legge nel testo del Recovery – è di rendere maggiormente effettive le proposte di revisione/riprogrammazione della spesa” per una maggiore efficienza della stessa spesa e per trovare soldi necessari anche ad abbattere le tasse.
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