Caro direttore,
prendo spunto dalla recente approvazione, nelle pieghe del decreto sostegni, dell’ art. 1-septies. inerente “disposizioni urgenti in materia di revisione dei prezzi dei materiali nei contratti pubblici“, segnale inquietante dopo anni di blocco delle revisioni prezzi nei contratti pubblici, per riprendere il tema, già trattato sul suo giornale, circa l’attuale situazione congiunturale delle materie prime.
I dati, come da un’indagine del centro studi di CNA di fine giugno, sono da inflazione “sudamericana“: acciaio +37,1%, rame +31,4%, polipropilene (base di riferimento per la più parte delle tubazioni in uso) +30%, PVC (altro componente plastico rilevante) +22,8% solo per citare alcuni dati. Ma una delle conseguenze operative meno rilevate è il ritardo nelle consegne, tempi medi di 25 giorni e punte di 40 giorni nella componentistica elettronica o nella carpenteria metallica pesante.
Le ragioni generali di questa situazione sono state già analizzate; vorrei soffermarmi invece su un aspetto specifico nel settore dell’edilizia, correlando questa situazione con l’ormai noto superbonus del 110%. Non è necessaria un’approfondita analisi economica per comprendere come si tratti di una circostanza anomala, in cui il privato cittadino può realizzare interventi importanti con costi nulli, costi che, sotto le mentite spoglie del credito d’imposta, in realtà non sono altro che debiti finanziari che le banche sono “costrette” ad assorbire e che poi avranno rivalsa nei confronti dello Stato in dieci anni. La conseguenza è quella di una “esplosione drogata” del mercato edilizio con un incremento impressionante di commesse private che così incidono pesantemente e ulteriormente nella situazione sopra descritta di spinte al rialzo dei prezzi (che soprattutto nessuno percepisce come dannose in quanto di fatto nessuno paga) aggravando le sempre più grave indisponibilità dei materiali da costruzione.
Chi invece subisce pesantemente questa situazione sono gli investimenti infrastrutturali dei cantieri pubblici (scuole, strade, ospedali, ecc.), dove è oggettivamente sempre più difficile avanzare con i lavori perché mancano i materiali e i costi crescono; ma anche difficile rispettare i tempi di consegna stante la scarsa disponibilità di operatori, attratti dal ben più vantaggioso mercato privato, mentre vengono messe in grave sofferenza economica le imprese. Infatti, nell’ambito dei contratti pubblici abbiamo situazioni giuridicamente molto rigide in cui non può essere liberamente applicata la contrattazione tra le parti a porre rimedio, almeno parziale, a questi problemi emergenti, specie di natura economica.
E qui torno all’esordio con il riferimento al provvedimento legislativo in cui con meccanismi molto complicati, limitazioni temporali di applicabilità inspiegabili (solo per interventi contabililizzati nei primi sei mesi del corrente anno) e dotazioni economiche risibili (di fatto solo 100 milioni a dispetto della decretata disponibilità di altre somme derivanti da ribassi d’asta e artifici contabili, già normalmente usati e quindi di fatto impegnati) vorrebbe porre una “pezza” alla situazione.
In conclusione mi sorgono due interrogativi:
1) Sicuramente cappotti termici per le abitazioni, pompe di calore per riscaldare, pannelli solari, ecc. sono utili, ma è ragionevole “sacrificare” risorse importanti, tra l’altro senza alcuna compartecipazione economica del beneficiario, a discapito di interventi nelle infrastrutture così essenziali per il futuro sviluppo del Paese? Il tutto in nome forse di uno sviluppo ecosostenibile; l’esperienza, solo per fare un esempio, di ormai quasi venti anni addietro dell’incentivazione indiscriminata del fotovoltaico con i costi pesanti che ancora paghiamo non pare sia servita a nulla.
2) Dopo tanta pubblicità fatta anche negli ultimi mesi per accelerare i cantieri pubblici, sbloccare i lavori, infinite riforme del codice degli appalti, ecc., perché non contribuire alla risoluzione dei reali problemi emergenti in questo settore come nella situazione attuale?
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Source: ilsussidiario.net
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