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Ristrutturazione del compendio immobiliare in comproprietà con dissenso degli altri contitolari: se e quando può procedersi – 7giorni

Una lettrice si rivolge alla redazione 7giorni per chiedere se, stante la volontà del marito di ristrutturare il fabbricato di cui è proprietario in comunione con altri parenti, è possibile procedere nel dissenso degli altri comproprietari e percepire, altresì, i relativi incentivi fiscali. Avanza, inoltre, paralleli quesiti relativi al tema della occupazione senza titolo dell’immobile. Alle sue domande risponde l’Avv. Luigi Lucente, coadiuvato dall’Avv. Davide Pistone.

QUESITO: “Buonasera, mio marito è coerede per
successione ereditaria con la madre e il fratello di due unità abitative e
relative pertinenze… Prima della morte di mio suocero la situazione era già questa:
il fratello di mio marito viveva in un immobile con la sua famiglia e
nell’altro immobile vivevamo noi e i miei suoceri. … Il fratello, nonostante
goda di un intero immobile e relative pertinenze, accampa diritti anche
sull’immobile in cui viviamo utilizzando la presenza dell’ anziana madre che da
sempre si lascia manovrare da lui (ha le chiavi di uno dei portoni esterni).
L’immobile in cui abitiamo con mia suocera necessita di importanti lavori di
manutenzione ordinaria e straordinaria (messa a norma di impianti di
riscaldamento, di impianto elettrico, infissi esterni, porte interne, ecc…).
Inoltre, condividendo l’immobile con mia suocera, abbiamo dovuto ricavare la
cucina e il secondo bagno in parte del deposito dove non è stato possibile
rispettare le norme del regolamento d’igiene e il rapporto aero-illuminante.
Vorremmo pertanto approfittare dei
vari bonus statali (Bonus Facciate, Bonus Ristrutturazione, Bonus 110) per fare
parte dei lavori necessari a sistemare l’ immobile in cui viviamo. Se mio
cognato e mia suocera ci impediscono di usare gli incentivi statali posso
chiedere il risarcimento del danno? Inoltre, visto l’atteggiamento prevaricante
di mio cognato … si può chiedere un indennizzo perch
é gode di una quota maggiore del patrimonio
comune (godimento esclusivo della casa in cui vive)? Grazie
”.


Gent.le Signora, ho analizzato il suo quesito e, in riscontro, le riferisco
quanto segue.

La dinamica da lei esposta meriterebbe un approfondimento in
quanto omette dati non di dettaglio di cui lo scrivente – ca va sans dire non può essere a
conoscenza, quali, a titolo esemplificativo, la consistenza delle quote
ereditarie dei protagonisti, la configurabilità o meno di titoli usucapitativi,
la presenza di accordi scritti o verbali tra i soggetti coinvolti ovvero di un
regolamento della comunione, e non solo.

Sulla scorta delle informazioni in mio possesso, però, mi è possibile
prospettarle quanto segue.

 Anzitutto, preme denotare come sia suo marito, che sua
suocera, che suo cognato, abbiamo tutti posto in essere condotte di fatto
difformi rispetto a quelle espresse dal titolo detenuto, ossia quello della
comproprietà del bene. Difatti, la comproprietà di entrambi i fabbricati
(ereditaria od ordinaria) comporta in principalità il diritto pro quota di
ciascun comproprietario di godere del bene, di amministrarlo, e, a contraltare,
di sopportarne i relativi pesi. Per cui, di fatto, suo coniato ha diritto, fra
l’altro, ad accedere e fin anche a godere di quota parte del vostro fabbricato!
E viceversa, suo marito e sua suocera vantano il medesimo diritto pro quota
sul cespite ora nella disponibilità di suo cognato!

Pare quindi di solare evidenza come, anzitutto, sarebbe stato
preferibile attivarsi fin da subito per la divisione dei beni a ricalco
degli effettivi utilizzi
– con eventuale compensazione delle differenze e
conguaglio – così da elidere a monte tale realtà di promiscua contitolarità e
di sfasamento tra stato di fatto e stato di diritto.

Perché a ben vedere l’esistenza di altri comproprietari
comporta un notevole ingombro nella gestione del bene. E tale ingombro si
manifesta sia per l’eventuale alienazione o costituzione di diritti reali o
rapporti locativi ultranovennali – per cui è richiesto il consenso unanime di
tutti i comunisti e quindi ciascuno di essi ha un sostanziale diritto di veto –
e sia anche per attività di minor rilievo, quali possono essere per esempio
quelle di cui al presente quesito.

E dunque, è possibile per il comproprietario ristrutturare
il bene senza il consenso degli altri?

Dipende.

Il Codice Civile all’uopo offre un articolato schema
normativo volto a salvaguardare, da un lato, l’esigenza di conservazione e
funzionale amministrazione del bene, e, dall’altro, la volontà di ogni singolo
compartecipe. Nel quesito si scrive di opere di manutenzione ordinaria e
straordinaria fra cui si annoverano il rifacimento degli impianti, degli
infissi esterni e interni, e, pertanto, non rappresentando questi delle “innovazioni
ex art. 1108 c. 1 c.c., la principale normativa di riferimento è la
seguente:

     art.
1102 c.c.: “Ciascun partecipante … può apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa
” purché
non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto
”;

     art.
1105 c.c.: “Per gli atti di ordinaria amministrazione” occorre “la
maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle loro quote
”.
Se, tuttavia, tali provvedimenti di amministrazione sono “necessari per
l’amministrazione della cosa comune
” e non vengono presi (o su di essi non
si forma una maggioranza, o se la deliberazione adottata non viene poi
eseguita) “ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria” per
chiedere che tale provvedimento venga disposto;

     art.
1108 c.c.: per gli “atti eccedenti l’ordinaria amministrazione” è
necessaria, invece, “la maggioranza dei partecipanti che rappresenti
almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune
” (cd.
maggioranza qualificata), fermo il limite delle attività “pregiudizievoli
all’interesse di alcuno dei partecipanti
”;

     art.
1109 c.c.: le violazioni di queste e altre tutele del singolo comunista
legittimano la sua impugnativa d’innanzi all’Autorità Giudiziaria;

     Art.
1110 c.c.: “in caso di trascuranza” o rifiuto degli altri
partecipanti o dell’amministratore, il partecipante che ha sostenuto “spese
necessarie per la conservazione della cosa comune
ha diritto al rimborso
pro quota
.

Stante l’esposto quadro normativo è possibile, dunque,
delineare il seguente ventaglio di possibilità.

Disponendo delle quote di maggioranza necessarie, suo
marito potrà procedere con tali attività, purché non idonee a pregiudicare gli
interessi degli altri contitolari eventualmente dissenzienti
.

Diversamente:

     se
l’attività è mirata al suo miglior godimento della cosa, non altera la
destinazione del bene e non pregiudica l’uso degli altri comproprietari
, suo
marito potrà procedere ma a sua esclusiva cura e spese, ossia senza possibilità
di rimborso pro quota
, e così nella consapevolezza di investire
somme di danaro su un bene che non è di sua esclusiva proprietà, e quindi di
fatto di arricchire anche gli altri comproprietari;

     se
l’attività può definirsi necessaria per la conservazione del bene
, e quindi
vi è una seria esigenza di intervenire, costui potrà sostenere la spesa e
chiedere il rimborso
;

     se
l’attività è di ordinaria amministrazione ed è necessaria per l’amministrazione
della cosa comune
, costui potrà stimolare una delibera negativa e
rivolgersi all
Autorità competente per ottenere lautorizzazione a
procedere
;

     se
l’attività è di straordinaria amministrazione e l’assenza è pregiudizievole per
il proprio
interesse,
costui potrà stimolare una delibera negativa e rivolgersi allAutorità competente
per ottenere l
autorizzazione a procedere;

     negli
altri casi
, costui non sarà legittimato a procedere, non potendo la
sua intenzione di modificare lo stato dei luoghi prevalere sulla volontà opposta
degli altri comproprietari.

Inoltre, le conseguenze di una attività modificativa
occulta o contraria al parere dissenziente espresso dagli altri comproprietari

– come ha ricordato anche Cass. Civ., SS UU, 16.02.2018 n. 3873 – comporta il
diritto del comproprietario dissenziente a ottenere il ripristino dello status quo ante.

 E non solo. Anche sotto il profilo amministrativo la
situazione non pare più rosea, tenuto conto che con più arresti – fra cui Tar
Calabria, Sez. II, 10.01.2019 n. 56 – la Magistratura ha esatto quale
documentazione a corredo dell’istanza (PDC, SCILA o CILA) anche la deduzione
dell’assenso degli altri comproprietari, essendo che “la pubblica
amministrazione è sempre tenuta ad accertare, con serietà e rigore, che il
soggetto interessato abbia titolo per attuare detto intervento
”.

 E ancora. Qualora i lavori eseguiti o in progetto dovessero
essere fin contrari a dispositivi di legge (come i lavori di cui al quesito
operati nel locale adibito a deposito), ciò esporrebbe l’intera proprietà ai
profili sanzionatori di legge, su cui a maggior ragione i comproprietari ignari
o dissenzienti potrebbero rivalersi poi in sede civilistica verso il
committente responsabile dell’opera abusiva.

 Sicché – in definitiva – nel quadro prospettato l’aspetto
relativo agli incentivi fiscali pare invero dover passare in secondo piano
,
in quanto a fronte del quesito il primo vivo consiglio deve essere quello di
rivolgersi a persona competente per la gestione a monte dell’intero compendio
immobiliare e, in primis, la sanatoria delle difformità edilizie.

 Dunque è per mera completezza che si rappresenta come, ai
fini fiscali, anche il comproprietario – sussistendone i requisiti di
legge – può beneficiare delle detrazioni fiscali scaturenti da attività di ristrutturazione
(o sconto in fattura o cessione del credito), a patto però di sostenere egli
stesso la relativa spesa
, e quindi a prescindere dall’esistenza di altri
comproprietari e dall’ammontare delle rispettive quote (così la Circolare
Agenzia Delle Entrate n. 24/E/2020).

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 Infine – con riferimento all’ultimo quesito posto – si
rappresenta altresì che, seppur l’uso esclusivo del bene da parte del
comproprietario legittima astrattamente gli altri a domandare e ottenere il
ristoro del danno per l’occupazione sine titulo, al contempo, tuttavia,
nel caso di specie non possono omettersi ulteriori e salienti precisazioni.
Ossia considerare, ad esempio, che l’acquiescenza dei legittimati ovvero l’esistenza
di eventuali accordi, anche verbali, potrebbe elidere in radice la bontà di
tale pretesa (così la recente sentenza Trib. Busto Arsizio, 03.03.2021 n. 335).
Ossia valutare che tale danno non può dirsi presunto (in re ipsa) ma
esige la deduzione, pur anche presuntiva, del pregiudizio economico patito.
Ossia tenere in debito conto che, se anche fosse, del pari anche gli altri
comproprietari (i.e. suo cognato e sua suocera) potrebbero all’inverso
attivarsi, in via principale o riconvenzionale, per chiedere analogamente
ristoro per tale pregiudizio. Ossia ricordare che tale diritto, comunque, si
prescrive nel termine ordinario pari ad anni dieci dall’insorgere dell’occupazione.
E ossia, infine, valutare anche che tale azione non può farsi valere per il
periodo di occupazione precedente all’exitus di suo suocero, sui cui
cespiti de quibus era stata concessa inter vivos l’occupazione ai
figli. Il tutto a delineare, quindi, una realtà immobiliare che, anche sotto
questo aspetto, merita a ben vedere un vaglio tecnico-giuridico molto accurato
e prudente prima di intraprendere una qualsivoglia iniziativa, e che all’uopo
mi porta dunque a suggerirle di incaricare, prima di tutto, competente persona
di sua fiducia per esperite tale approfondimento.

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