Da quattro giorni e quattro notti i sopravvissuti sull’Atlante scavano a mani nude su ciò che resta di case fatte perlopiù di mattoni e argilla asciugata al sole. Il terremoto, la catastrofe più imprevedibile, subdola e distruttiva, alle 23 e 11 di venerdì scorso, con uno spietato colpo di magnitudo 6.8 sulla scala Richter partito dalle faglie a 11 km di profondità, in 30 secondi ha ridotto in un inferno di polvere e macerie villaggi e paesini adagiati sulle montagne del Grande Atlante del Marocco meridionale e sventrato i vicoli della medina di Marrakech, città dal fascino imperiale un tempo fortezza a guardia dei deserti. Degli oltre 2mila morti finora estratti dalle macerie, con migliaia di feriti di cui 1.500 in condizioni critiche, il 90 per cento sono nell’epicentro sui monti di Al Haouz tra Taroudant e Moay Brahim, dove ancora manca tutto, dall’acqua al cibo ai soccorsi organizzati con
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