Le manovre di risparmio introdotte dalla bozza della
Legge di bilancio 2022 hanno inaspettatamente
stretto le maglie per l’accesso al Superbonus 110%
per alcune tipologie di immobili e per alcune categorie di
contribuenti.
Superbonus 110%: vantaggi degli interventi
frazionati
Nella lista nera ci sono anzitutto le unità
unifamiliari di proprietà di persone fisiche con ISEE
superiore a 25.000 euro che, se qualcosa non cambierà in questi
giorni, saranno costrette a rinunciare ai lavori o a
ridimensionarli visto che, a quanto pare, il 30 giugno
2022 su di esse calerà il sipario. Quella del 30 giugno,
infatti, è una scadenza pressoché ingestibile se si considera che
gli ordinativi di alcuni materiali (legname, isolanti e infissi in
primis) devono essere pianificati con 4 o 5 mesi di anticipo.
I proprietari delle villette singole e degli edifici
plurifamiliari
In molti casi il problema dei proprietari delle villette singole è
che sono arrivati lunghi con i progetti, magari perché i loro
tecnici hanno fatto tutti i passi canonici, dall’accesso agli atti
in poi. Altri invece sono partiti un po’ ritardo, dando per
scontata la classica proroga all’italiana.
Gli uni e gli altri sono scontenti del Superbonus che ha
rappresentato, per loro, un’illusione che probabilmente svanirà nel
nulla, tra complicazioni, proroghe e ripensamenti. Conosco molte
famiglie in questa condizione, che ci avevano creduto, e che ora
stanno pensando di rinunciare. Sono dispiaciute.
Tralasciando quei pochi (pochissimi) che hanno iniziato i lavori in
tempo e che li finiranno entro giugno, ci sono poi i
proprietari di edifici plurifamiliari da due a quattro
unità immobiliari e quelli che possiedono unità in
condominio. Per loro tutto sommato le cose vanno meglio,
potendo arrivare col 110% rispettivamente al 31 dicembre 2022 e
2023.
I proprietari “trasformisti”
C’è però un’ulteriore categoria di proprietari di immobili, i
“trasformisti”.
Sono generalmente persone fisiche che possiedono
edifici unifamiliari o plurifamiliari che, perlustrando le pieghe
delle norme e delle circolari in cerca di buone idee, certamente
con l’aiuto di consulenti esperti, hanno scelto di giocare la carta
(lecita e vincente) del frazionamento degli edifici o degli
interventi. Ovviamente per massimizzare i vantaggi
derivanti dagli incentivi fiscali.
So di alcuni che, frazionando, sono già al secondo giro di
Superbonus sullo stesso immobile. Altri che sono riusciti a
bypassare il problema delle scadenze.
Sono i furbetti del Superbonus?
Assolutamente no, i furbetti sono altri, queste sono operazioni del
tutto lecite. La colpa è non farle.
Ad esempio, ormai lo sanno tutti, il singolo proprietario di un
immobile unifamiliare, grande quanto basta, ha la
possibilità di dividerlo in più unità, anche solo in due, oppure in
tre o quattro e magari individuare delle pertinenze. In tal caso si
configura un edificio plurifamiliare “composto”,
che può arrivare col 110% al 31 dicembre 2022 con
“4+m” plafond di spesa, dove 4 è il numero massimo di unità
immobiliari ed “m” il numero di pertinenze.
Ma non solo. Lo stesso proprietario, dopo aver fatto questa
divisione, può fare di più. Se per qualche motivo ritiene di non
riuscire a eseguire il 60% dei lavori entro il 30 giugno
2022 – condicio sine qua non per la proroga a fine anno –
sarà libero di donare una delle unità che
costituiscono il suo edificio a un figlio o alla moglie, anche solo
un magazzino, generando in tal modo un condominio. E allora massimo
relax, perché per concludere i lavori (anzi per concludere i
pagamenti) ci sarà tempo fino al 31 dicembre 2023 e l’equazione
diventa “96.000*(n+m)” con “n” numero di unità immobiliari, anche
maggiore di 4, ed “m” numero di pertinenze facenti parte dello
stesso edificio.
Il frazionamento degli edifici
Che il frazionamento degli edifici sia lecito è stato scritto
più volte dall’Agenzia delle Entrate con
riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio:
“Nel caso di interventi di recupero edilizio che comportino
l’accorpamento di più unità abitative o la suddivisione in più
immobili di un’unica unità abitativa, per la individuazione del
limite di spesa, vanno considerate le unità immobiliari censite in
Catasto all’inizio degli interventi edilizi e non quelle risultanti
alla fine dei lavori”.
Tale concetto, con riferimento al Superbonus, è stato poi
esplicitato nella circolare 30/E/2020 e richiamato
in varie risposte a interpelli, tra cui la n.
791/2021 dell’altro ieri, quindi è una cosa
certa, e molto vantaggiosa. Sicuramente meglio frazionare
l’edificio che fare i lavori (e i progetti) in fretta, col
rischio che vengano male.
Il frazionamento degli interventi
C’è poi la categoria dei proprietari di immobili, trasformisti
pure loro che, anziché il calendario, hanno preso di mira i
massimali, o l’una e l’altra cosa. Mica male come
idea…
In effetti non tutti sanno che, frazionando le opere in
anni diversi, è possibile raddoppiare o, perché no, anche
triplicare (nei casi in cui l’orizzonte temporale arrivi al 2023),
i massimali di spesa concessi dal Superbonus.
È un’operazione lecita, il Fisco la ammette, a condizione che gli
interventi siano “autonomamente configurabili”.
I limiti di spesa dei bonus edilizi, infatti, sono
“annuali e riguardano il singolo immobile” comprese le
pertinenze e sono da riferirsi ai singoli interventi. Lo dice la
circolare n. 17 del 24 aprile 2015, alla risposta 3.2.
È un principio esplicitato anche nelle circolari n.7 del 4 aprile
2017 e n.19 dell’8 luglio 2020, ove si può leggere che
“Nell’ipotesi in cui gli interventi realizzati in ciascun anno
consistano nella mera prosecuzione di lavori iniziati negli anni
precedenti sulla stessa unità immobiliare, ai fini della
determinazione del limite massimo delle spese ammesse in detrazione
occorre tenere conto anche delle spese sostenute negli anni
pregressi. Si ha, quindi, diritto all’agevolazione
solo se la spesa per la quale si è già fruito della relativa
detrazione nell’anno di sostenimento non ha superato il limite
complessivo.
Questo ulteriore vincolo non si applica agli interventi
autonomi, ossia non di mera prosecuzione, fermo restando
che, per gli interventi autonomi effettuati nel medesimo anno sullo
stesso immobile, deve essere rispettato il limite annuale di spesa
ammissibile. L’intervento per essere considerato
autonomamente detraibile, rispetto a quelli
eseguiti in anni precedenti sulla medesima unità immobiliare, deve
essere anche autonomamente certificato dalla documentazione
richiesta dalla normativa edilizia vigente”.
In effetti nessuno può obbligare una persona ad eseguire il
miglioramento sismico “totale” del proprio
fabbricato in una volta sola. Può cominciare un anno (ad esempio
nel 2021) con un intervento locale, magari che riguarda le
fondazioni e parte delle pareti
perimetrali, poi può chiudere i lavori e, in un anno
successivo (ad esempio nel 2022), può decidere di aprire una nuova
pratica per eseguire altre opere, come il
rifacimento del tetto e il
rinforzo dei solai interni.
In questo modo il proprietario o il condominio avranno diritto
(nell’ipotesi del Sismabonus) a un massimale pari
a:
- 96.000 euro per il primo intervento locale (fondazioni e pareti
lato esterno) per ogni unità immobiliare; - altri 96.000 euro (sempre per ogni unità immobiliare comprese
le pertinenze) per l’intervento sui solai e in copertura.
In pratica l’equazione diventa
“96.000*a*(n+m)”, con n ed m già definiti prima ed
“a” il numero di anni in cui viene organizzata la
ristrutturazione globale del fabbricato.
Tutto ok dal punto di vista fiscale e giuridico, perché i due
interventi non sono la prosecuzione l’uno dell’altro. Tutto ok
anche dal punto di vista tecnico perché entrambi i progetti
determinano un aumento della sicurezza sismica:
gli effetti del primo (l’intervento del 2021) saranno apprezzabili
rispetto allo stato ante, mentre quelli del secondo (svolto nel
2022) determineranno una riduzione del rischio sismico rispetto
allo stato post derivante dal primo intervento.
Il concetto dell’autonoma configurabilità degli interventi
edilizi
Importante che non vi sia continuità tra i lavori, quelli
dell’anno successivo non devono essere una mera prosecuzione di
quelli precedenti e quindi devono essere “autonomamente
configurabili”, accompagnati da una nuova
SCIA e una nuova CILAS, con
annessi depositi dei progetti strutturali, della
fine lavori, delle asseverazioni e dei relativi
collaudi. Tanto per intenderci non valgono le
varianti.
Si trova conferma di questo principio, ancor più chiaramente, nella
circolare n.17/2015, ove è scritto che “L’autonoma
configurabilità dell’intervento, è subordinata ad elementi
riscontrabili in via di fatto oltre che, se richiesto,
all’espletamento degli adempimenti amministrativi relativi
all’attività edilizia, come la denuncia di inizio attività ed il
collaudo dell’opera o la dichiarazione di fine lavori. L’intervento
per essere considerato autonomamente detraibile, rispetto a quelli
eseguiti in anni precedenti sulla medesima unità immobiliare, deve
essere anche autonomamente certificato dalla documentazione
richiesta dalla normativa vigente. Ciò premesso, si rileva che
l’art. 16-bis del TUIR non prevede che debba
trascorrere un periodo di tempo minimo tra i diversi
interventi di recupero del patrimonio edilizio per
poter beneficiare nuovamente della detrazione, nel rispetto dei
limiti in precedenza indicati. Quindi, se su un immobile già
oggetto di interventi di recupero edilizio negli anni precedenti,
sia effettuata una nuova ristrutturazione che non
consista nella mera prosecuzione degli interventi già realizzati,
il contribuente potrà avvalersi della detrazione nei limiti in
vigore al momento dei bonifici di pagamento”.
Tra l’altro in questi ragionamenti vale il principio di
cassa, ovvero ciò che conta è la data dei pagamenti, che
devono avvenire entro l’anno di riferimento. La chiusura (e
riapertura) dell’iter autorizzativo può avvenire anche
nell’annualità successiva. Anche in due momenti molto
ravvicinati.
L’articolo 16-bis del Tuir infatti non prevede che debba
trascorrere un periodo di tempo minimo tra i diversi interventi di
recupero del patrimonio edilizio per poter beneficiare nuovamente
delle detrazioni fiscali.
La buona fede del contribuente
Tutto vero e, credo, molto interessante. Ma attenzione a
non abusare delle possibilità offerte dalla legge.
Ancora una volta è doveroso precisare che non esiste una regola
generale e che ogni caso va analizzato singolarmente, tenendo conto
che per l’amministrazione finanziaria vale sempre il principio per
cui il comportamento del contribuente deve essere improntato alla
“normale ed usuale diligenza” e deve essere conforme ai
canoni “della buona fede”. Quindi, come in effetti dicono
le circolari, devono sempre sussistere elementi riscontrabili in
via di fatto, oltre che amministrativi.
Un meccanismo di precisione, molto delicato, che richiede
particolare competenza nell’inquadramento dell’edificio e delle sue
parti, nonché estrema padronanza degli interventi di
miglioramento sismico che, anche questo, deve essere
sempre riscontrabile con parametri oggettivi.
Source: lavoripubblici.it
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