25 Aprile 2021
di Roberta Amoruso e Marco Conti
(Lettura 3 minuti)
Le ultime garanzie necessarie chieste da Bruxelles sulla coerenza del piano italiano con le linee indicate dalla Commissione Ue e sulle riforme per raggiungere gli obiettivi indicati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza sono arrivate ieri ai tempi supplementari. Ma comunque in tempo per sbloccare in giornata l’impasse che aveva spinto al rinvio del Consiglio dei ministri convocato per le 10 di mattina e riunito dodici ore dopo per annunciare la svolta: «C’è la green light della Commissione Ue», ha esordito il ministro dell’Economia, Daniele Franco in apertura.
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È stata un’ultima telefonata di Mario Draghi con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e con il suo vice, il lettone Valdis Dombrovskis, a sciogliere gli ultimi nodi sulle riforme richieste da Bruxelles per approvare il Recovery Fund che farebbe scattare a luglio la prima tranche (circa 24 miliardi) dei 191 miliardi previsti destinati a disegnare in 5 anni un’Italia più verde e più digitale. Di questi, 122,5 miliardi saranno sotto forma di prestiti e gli altri a fondo perduto. Una dote a cui vanno aggiunti i 30 miliardi che arriveranno dal fondo complementare nazionale.
I NODI
Al centro delle attenzioni Ue in particolare i tempi dell’attuazione delle riforme e la richiesta di entrare ancor più nei dettagli. Che la giornata fosse difficile lo si era compreso dalla sera prima quando i tecnici del Mef e di Palazzo Chigi avevano fatto presente che con i continui “stop and go” di Bruxelles sarebbe stato difficile chiudere anche per la mattinata di sabato. E così è stato. La riforma della pubblica amministrazione, quella della giustizia, della semplificazioni amministrative e della concorrenza rappresentano ciò che l’Italia deve fare per meritarsi gli oltre 200 miliardi, ma la diffidenza nei confronti del nostro Paese è forte e le «rifiniture» richieste sui dossier – in testa fisco e business environment per le imprese – sono tante. Bruxelles che chiede un cronoprogramma più dettagliato sino al 2026 che gli viene fornito, ma non sembra mai bastare. I contenuti delle 300 pagine del Pnrr sono da ponderare con attenzione, sia sul fronte della coerenza con gli obiettivi di sostenibilità che della normativa sugli aiuti di Stato, nessuno – soprattutto Draghi – vuole bocciature ma nemmeno veder slittare a dopo il 30 aprile la presentazione ufficiale del Piano. Fin qui il piano del confronto con l’Ue, ma la partita di Draghi sul Recovery si era giocata di prima mattina anche sul fronte interno. Al centro dei nodi, quello sulla proroga del superbonus al 2023 che esce dal Recovery Plan e finisce nel “fondo extra” da 18 miliardi che dovrà essere inserito nella prossima manovra di bilancio. Il M5S ha puntato i piedi per un’intera giornata e alla fine ottiene una sorta di impegno politico. Il testo finale verrà ancora limato oggi e poi inviato alle Camere dove Draghi è atteso domani e martedì prima a Montecitorio e poi a Palazzo Madama. L’ultimo via libera del consiglio dei ministri ci sarà giovedì prossimo.
LE MISURE
Tra le altre misure ci sono i 6,7 miliardi per le rinnovabili, internet veloce a 8 milioni di famiglie e 9mila scuole, 25 miliardi per la rete ferroviaria veloce, 228mila nuovi posti negli asili (sono 4,5 i miliardi per gli asili e le famiglie). Ma sparisce dal piano il cashback (anche se resta finanziato e dunque per ora in vigore). E a fine 2021 scadrà anche quota 100, cara alla Lega, e sarà sostituita da misure pensionistiche per chi svolga lavori usuranti. Resta ancora non definito il capitolo della governance. Il coordinamento e l’attuazione dovrebbero essere assegnati al ministero dell’Economia così come già deciso in altri Paesi Ue. Resta da definire chi avrà al supervisione politica del tutto. Su questo nodo i problemi non vengono da Bruxelles ma dai partiti che immaginano una loro presenza all’interno del board che sarà guidato dal presidente del Consiglio.
Ultimo aggiornamento: 11:12
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