L’attività dei cantieri che compiono opere legate al Superbonus sta rallentando e anche i dati più recenti di Nomisma segnalano un calo di interesse delle famiglie per l’agevolazione.
Il caro materiali ormai spesso porta a superare largamente non solo i costi di preventivi fatti qualche mese fa, ma anche i tetti di spesa previsti dalla normativa, vanificando in parte il vantaggio fiscale per i contribuenti; le regole più stringenti su sconto in fattura e cessione del credito varate a seguito della scoperta di un diffuso sistema di truffe (crediti su lavori inesistenti o per cifre gonfiate all’inverosimile e derivanti perlopiù dal bonus facciate) stanno portando molti condomini a ripensare le loro scelte.
A questi due fattori, denunciati da mesi da costruttori e amministratori condominiali, se ne aggiunge un terzo: i rischi per le banche che ritirano il credito.
Se alcuni recenti orientamenti della giurisprudenza non trovassero rimedio in un chiarimento della normativa il rischio di un blocco pressoché totale dell’operatività sarebbe concreto. Va infatti ricordato che la cessione del credito è fondamentale per il superbonus: la quota di contribuenti che optano per ottenere direttamente il rimborso fiscale è irrilevante.
Ipotesi di illecito nella cessione del credito
Ma da dove nascono i rischi per le aziende di credito? Ne parla al CorriereFabrizio Capponi, dottore commercialista, Partner, Head of International Tax, per l’Italia dello studio internazionale Dentons. Tutto parte, precisa, da quanto prescrive la norma che consente la cessione, il decreto 34/20 noto come Decreto Rilancio. «L’art. 121 al comma 4 prevede che i fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto, salvo naturalmente che – come previsto nel successivo comma 6 – il cessionario abbia concorso alla realizzazione della frode. Pertanto, nel caso di illecito il recupero degli importi viene effettuato nei confronti dei soggetti beneficiari della detrazione mentre il cessionario è responsabile in solido solo se ha concorso alla violazione». Successivamente, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito, con il provvedimento dirigenziale dell’8 agosto 2020, che nel caso venisse accertata l’insussistenza, totale o parziale, dei requisiti necessari per l’agevolazione, l’Agenzia provvede al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante, più interessi e sanzioni, nei confronti dei beneficiari della detrazione mentre i cessionari rispondono solo se utilizzano il credito di imposta in maniera impropria o in misura maggiore rispetto a quanto ricevuto.
Le conseguenze penali
Ora, «nell’ambito di indagini penali relative all’accertamento di alcune frodi – riprende il nostro interlocutore – la Procura della Repubblica è intervenuta disponendo, in capo ai cessionari, inclusi taluni istituti di credito, specifici provvedimenti di sequestro preventivo dei crediti ceduti, nonostante questi istituti di credito siano stati pacificamente ritenuti dalla stessa Procura della Repubblica soggetti incolpevoli e a loro volta persone offese dalle condotte fraudolente oggetto di indagini». Fin quando non avviene il dissequestro, i crediti non sono utilizzabili e, stando al Decreto Rilancio, della quota di credito d’imposta non utilizzata nell’anno non si può usufruire negli anni successivi e non può essere richiesta a rimborso.
Il periodo di sequestro
L’Esecutivo, con l’art. 3 del decreto legge 13/22 ora in attesa di conversione, ha pensato di porre rimedio al problema, disponendo che il periodo di sequestro non rileva ai fini del calcolo del limite annuale. In pratica, se il recupero fiscale dell’annualità 2022 dovesse avvenire entro il 31 dicembre di quest’anno e il 1° aprile avvenisse un sequestro fino a tutto settembre il cessionario avrebbe tempo fino a giugno 2023 (sei mesi in più) per ottenere il rimborso fiscale. «In realtà – riprende Fabrizio Capponi – la norma non appare in grado di fornire una soluzione dato che i Tribunali del riesame in alcuni casi hanno confermato l’efficacia dei provvedimenti di sequestro ritenendo che il credito originatosi in occasione di frodi non possa essere in nessun modo utilizzato e, quindi, di fatto il dissequestro delle somme non verrà mai disposto».
Possibilità di chiedere il rimborso dei crediti
È chiaro che un orientamento generalizzato in questa direzione porterebbe gli istituti a rallentare, se non a fermare del tutto, l’attività di acquisto dei crediti e, anche per le pratiche accettate, si richiederebbe un onerosissimo supplemento di verifiche, che si ribalterebbe sul costo dell’operazione (il contribuente che cede, cioè, riceverebbe meno soldi). Secondo il nostro interlocutore è quindi necessario un intervento in sede di conversione parlamentare, consentendo «ai cessionari la possibilità di chiedere a rimborso i crediti non appena scaduto ciascun termine di utilizzo della singola rata, per non incorrere in vincoli di bilancio. Bisognerebbe rendere inequivoco il principio che lo Stato tiene comunque indenne il cessionario in buona fede, anche in presenza di crediti che siano il prodotto, il profitto o in generale il corpo di un reato, riservandosi lo Stato ogni azione risarcitoria nei confronti degli autori della condotta fraudolenta».
Source: corriere.it
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