
Economia e sviluppo, ambiente ed emergenze sociali. Il confronto fra Cgil e molte associazioni italiane sulla manovra economica. Le osservazioni di Legambiente
Da molti mesi la Cgil e le principali associazioni italiane, che si occupano di welfare, sostenibilità ambientale, legalità e diritti di cittadinanza, hanno avviato una condivisione sui principali temi economici e dello sviluppo, sociali ed ambientali del Paese. Per condividere le proprie opinioni e ragioni sulla legge di bilancio 2022, con una raccolta delle proposte concrete elaborate, la Cgil e le associazioni si incontrano in un’iniziativa pubblica martedì 14 dicembre 2021 a Roma. Interverranno: Maurizio Landini, Rosy Bindi, Giulio Marcon, Vittorio Cogliati Dezza, e i giovani di Friday For Future e delle organizzazioni studentesche.
Le osservazioni alla Legge di Bilancio di Legambiente
L’impianto della Legge di Bilancio non è coerente con l’impegno di combattere seriamente la crisi climatica. Anche le scarse risorse del bilancio nazionale possono essere usate per dare un indirizzo a nuove politiche industriali ed agricole, mettere in sicurezza il territorio, innovare il sistema del welfare per sostenere i lavoratori e i territori maggiormente coinvolti dalla transizione. Una coerenza necessaria per concretizzare la sfida della giustizia ambientale e sociale di cui il paese ha bisogno.
La Legge di Bilancio in discussione in Parlamento riflette la timidezza e le troppe contraddizioni con cui il Governo italiano sta affrontando la transizione ecologica ed energetica nel segno della giustizia sociale.
Da alcuni mesi stiamo assistendo ad un dibattito sul nucleare di quarta generazione e sui piccoli reattori modulari che distolgono l’attenzione sulle tecnologie pulite già a disposizione sul mercato in grado di produrre elettricità senza emettere anidride carbonica, produrre scorie radioattive, aumentare i rischi di incidenti catastrofici. Si discute dei rincari in bolletta, da alcuni addebitati alla transizione ecologica, senza puntare il dito sulla vera causa da ricercare nella eccessiva dipendenza del nostro Paese dall’uso del gas. Intanto, si stanno rilasciando autorizzazioni per sostituire le centrali a carbone che chiuderanno entro il 2025 con centrali a gas, senza che sia stato aggiornato il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) per renderlo coerente con l’impegno europeo di abbattere le emissioni climalteranti di almeno il 55% entro il 2030.
Il progetto di cattura e confinamento dell’anidrite carbonica nei fondali marini in Alto Adriatico davanti alla costa di Ravenna, scelta tecnologica sinora dimostratasi inefficace, economicamente catastrofica e rischiosa per procedere sulla strada della decarbonizzazione, è stato escluso dai finanziamenti del Pnrr grazie all’Unione Europea ma la Legge di Bilancio lo ha inserito tra i progetti finanziabili con fondi pubblici.
Si è riaperta la discussione sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina per collegare due regioni meridionali il cui sistema di trasporti di merci e persone non è degno di un paese civile. Si sta lavorando sul Piano Strategico Nazionale in agricoltura per dare attuazione a quella riforma della Pac che ha completamente disatteso le condivisibili strategie europee Farm to Fork e biodiversità, mentre non ci sono azioni concrete per raggiungere l’obiettivo europeo del 30% di territorio protetto a livello nazionale entro il 2030.
La decarbonizzazione va perseguita con determinazione
Sussidi Ambientalmente dannosi
La Legge di Bilancio anche per il 2022 lascia inalterati i Sussidi Ambientalmente Dannosi (Sad) nonostante l’istituzione di una apposita Commissione che avrebbe dovuto produrre nel 2020 una proposta di graduale eliminazione/rimodulazione.
Legambiente ha calcolato che il costo che i contribuenti italiani pagano annualmente ammonta a 34,6 miliardi di euro, suddivisi tra i settori energia, il più numeroso, per complessivi 12,86 miliardi di euro; il settore trasporti per 16,6 miliardi di euro tra diretti e indiretti; il settore agricolo per 3,1 miliardi di euro; quello edile con 1,1 miliardi di euro e quello legato alle concessioni ambientali con 812,59 milioni di euro l’anno. Riteniamo che dei 34,6 miliardi di euro ben 18,3 miliardi di euro sono eliminabili entro il 2025, cancellando i sussidi per le trivellazioni, i fondi per la ricerca su gas, carbone e petrolio, ma anche intervenendo sul diverso trattamento fiscale tra benzina gasolio, gpl e metano, sul meccanismo di Capacity Market per le centrali a gas e l’accesso al superbonus per le caldaie a gas. Molti di essi sono anacronistici da un punto di vista sia ambientale che di equità sociale. Sono risorse che potrebbero essere utilizzate per spingere le innovazioni e aiutare le famiglie più in difficoltà.
Mobilità
L’Italia è malata cronica d’inquinamento atmosferico. La mobilità delle persone e il trasporto delle merci nazionale sono causa di un quarto delle emissioni nazionali climalteranti e di parte considerevole dell’inquinamento atmosferico in ambito urbano. A cui si aggiungono i costi sociali degli incidenti stradali e le disuguaglianze, a partire da quelle territoriali, nell’accesso alla mobilità. Il settore della mobilità è tra quelli maggiormente coinvolti dall’innovazione tecnologica e da una nuova domanda sociale di mobilità attiva, a cui è necessario dare risposte. Ci sarebbe bisogno di un progetto industriale che affronti tutta la filiera dell’automotive invece di attardarsi a dare bonus per l’acquisto di autoveicoli a combustione interna che nei prossimi anni non potranno più circolare.
Per perseguire l’obiettivo della decarbonizzazione al 2050 dell’intero settore, è necessario e possibile in ambito urbano prefiggersi una mobilità a zero emissioni e zero incidenti mortali in città al 2030. Servono però servizi di trasporto per le persone e le merci plurimodale, trasporto collettivo, condiviso, composto unicamente da nuovi mezzi a zero emissioni locali (elettrici). E serve la riorganizzazione degli spazi pubblici delle città verso un sistema integrato dei trasporti, resa ancora più necessaria dopo la pandemia.
A fronte di queste esigenze nella Legge di Bilancio è previsto sì un “Fondo per la strategia di mobilità sostenibile per la lotta al cambiamento climatico”, per investire nel trasporto pubblico locale, ma interviene inspiegabilmente solo a partire dal 2023 e con soli 50 milioni.
Nelle città italiane c’è una crescita degli spostamenti in bici, anche grazie ai bonus previsti negli anni scorsi. A fronte però di tali investimenti pubblici e di un aumento della domanda di mobilità attiva, l’estensione delle piste ciclabili è assolutamente inadeguata e molto lontana dagli altri paesi europei. La Legge di Bilancio deve prevedere risorse certe per i Comuni per la realizzazione di nuovi percorsi ciclabili protetti, in modo da dare continuità agli investimenti e conseguire un obiettivo ambientale e di sicurezza di interesse nazionale.
La Legge di Bilancio potrebbe sostenere la mobilità dei lavoratori riconoscendo al datore di lavoro un ammontare defiscalizzato da destinare ai dipendenti per raggiungere il luogo di lavoro, utilizzando mezzi di mobilità condivisa a uso individuale.
Così come è opportuno prevedere l’allineamento dell’Iva al 10%, come avviene già per il trasporto pubblico, a tutti i servizi di sharing mobility per incentivarli, visto che giocano un ruolo chiave nella diversificazione degli spostamenti urbani in maniera sostenibile.
Sono misure che non hanno un costo elevato ma che perseguono coerentemente l’obiettivo di diminuire inquinamento ed emissioni con la dovuta attenzione all’equità sociale.
Riqualificazione del patrimonio residenziale pubblico e privato e delle periferie
Il Superbonus del 110% va stabilizzato perché è l’unica misura concreta per ridurre le emissioni climalteranti entro il 2030, rilancia il settore dell’edilizia, permette l’emersione dal nero delle ristrutturazioni, diminuisce i costi di approvvigionamento energetico. Va stabilizzato anche per scongiurare il continuo aumento dei prezzi delle materie necessarie all’efficientamento e per dare il giusto tempo a imprese, amministrazioni pubbliche, famiglie e condomini di organizzarsi.
Vanno però apportate alcune correzioni: riportare al 50% gli incentivi per impianti che utilizzano fonti fossili, come le caldaie a condensazione a gas; inserire anche le case prive di impianto termico fisso la cui esclusione estromette le famiglie più povere e molte abitazioni del Sud; rimodulare gli incentivi premiando gli interventi più efficienti da un punto di vista energetico e le fasce di reddito più deboli.
Più di attenzione va posta verso il patrimonio di edilizia popolare per ragioni ambientali e sociali. Le analisi di Federcasa evidenziano che oltre metà del patrimonio presenta uno stato di degrado che comporta una maggiore spesa del 10% per il riscaldamento delle abitazioni, per famiglie in difficoltà economica. L’intervento su questo patrimonio è quello più complesso per i tempi più lunghi di procedura di progettazione, appalto e realizzazione di interventi da parte di soggetti pubblici e rischiano di non poter intervenire con le attuali scadenze.
Nelle periferie costruite nel secondo dopoguerra vivono milioni di persone, testimoni di una cattiva edilizia e di una cattiva urbanistica. Serve una strategia per intervenire sulla rigenerazione urbana, elaborando e finanziando progetti che permettano di realizzare un insieme coordinato di interventi di riqualificazione degli spazi pubblici con la creazione di nuove piazze e parchi, di interventi di forestazione e piste ciclabili, di riqualificazione energetica e antisismica, sostituzione del patrimonio edilizio esistente con la creazione di nuovi alloggi di edilizia sociale, il pieno riutilizzo sociale dell’ingente patrimonio di beni immobili confiscati alle mafie, a cui si dovranno unire, in modo integrato, interventi per l’accesso e la qualità dei servizi fondamentali della salute, dell’istruzione, culturali e sociali. Per evitare interventi frammentati, bisogna istituire una struttura ad hoc che si doti di una strategia pluriennale, in grado di individuare priorità, risorse, interventi innovativi che tengano conto dei cambiamenti climatici, fornire supporto con un forte ruolo dei Comuni e dei percorsi partecipativi.
Sostegno alle comunità energetiche
Le comunità energetiche, introdotte nel 2020 nell’ordinamento italiano, permettono di agire collettivamente allo scopo di usufruire dei benefici dati dalla condivisione di energia elettrica autoprodotta da fonti rinnovabili (solare fotovoltaico, eolico, idroelettrico, biogas, geotermico) e di generare benefici ambientali e sociali, tra cui combattere la povertà energetica. Esse beneficiano di incentivi e garantiscono un ritorno dell’investimento nell’arco di cinque-dieci anni ma trovano problemi di finanziamento da parte delle banche, in particolare per le fasce di popolazione più deboli. Basterebbe prevedere nella Legge di Bilancio una garanzia da parte dello Stato, permettendo di accedere al Fondo di Garanzia Green di Sace (la società di Cassa Depositi e Prestiti).
Potenziamento dei controlli ambientali e sanitari
È in atto un’accelerazione delle procedure autorizzative di carattere ambientale per la realizzazione di opere pubbliche, bonifiche dei siti inquinati, impianti industriali vari, anche restringendo di molto i tempi di consultazione e partecipazione delle organizzazioni della società civile. Sarebbe necessario, a maggior ragione per la quantità degli interventi previsti dal PNRR, destinare risorse adeguate per garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale i controlli ambientali e sanitari da parte delle Agenzie regionali per la tutela dell’ambiente (ARPA). Ad oggi però non è possibile perché mancano i decreti attuativi e continua a rimanere la clausola di invarianza dei costi per la spesa pubblica prevista nella Legge 132/2016 con cui è stato istituito il Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente. È prioritario rimuovere quella clausola.
Nuovo welfare per i Territori in transizione
In Italia sono diversi i territori che stanno pagando un caro prezzo in termini di salute, di ambiente, di opportunità negate per la presenza di impianti industriali fortemente inquinanti ed energivori che hanno bisogno di essere riconvertiti (vedi ex ILVA) o definitivamente chiusi (centrali a carbone). Territori che hanno bisogno, e non c’è ancora traccia, di una politica industriale capace di diversificare l’economia e offrire nuove opportunità occupazionali. Nel periodo di transizione non bisogna però lasciare indietro nessuno. Gli attuali ammortizzatori sociali garantirebbero i soli lavoratori diretti, lasciando senza tutele tutti i lavoratori dell’indotto con il rischio di impoverire ulteriormente i territori già pesantemente provati dalla disoccupazione. È necessario ridisegnare un nuovo welfare che sappia sostenere questi territori per evitare l’acuirsi delle disuguaglianze e dei conflitti sociali tra ambiente e lavoro.
Solidarietà internazionale per il clima
Gli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici non hanno confini politici. Vanno ascoltate le richieste di aiuto dei paesi più in difficoltà anche per arginare il dramma dei profughi ambientali. La Legge di Bilancio istituisce un Fondo per il Clima che sarà gestito da Cassa Depositi e Prestiti con una dotazione di 840 milioni l’anno dal 2022 al 2026 e di 40 milioni a partire dal 2027. Fondo rotativo istituito perché dal 2020 l’Italia deve contribuire al fondo da 100 miliardi di dollari individuato nell’ambito dell’Accordo di Parigi. Se vogliamo però contribuire a perseguire l’impegno preso a Parigi con i paesi più poveri la dotazione del Fondo deve essere aumentata a 1500 milioni annuali dal 2022 al 2026 e deve essere fissato un percorso che renda trasparente l’uso del finanziamento dei progetti di cooperazione internazionale.
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